Il termine performance è un anglismo? Come va pronunciato? Non sembra una parola italiana. Performare, performante addirittura mancano in qualche vocabolario: che cosa significano? Si può usare performazionale al posto di performativo? Questi i dubbi di alcuni nostri utenti.
Intorno alla performance
Uno tra i molti visitatori del nostro sito che hanno chiesto chiarimenti sul termine performance definisce la propria richiesta “una domanda che non ha a che fare con la lingua italiana”. In questo caso specifico, tuttavia, ci troviamo di fronte a una parola attestata nell’italiano scritto dalla fine dell’Ottocento (Piccola Enciclopedia Hoepli, diretta da G. Garollo, Milano, 1892-1895) nel significato di ‘prestazione’, ‘prova’: in particolare una prestazione sportiva, specialmente riferita ad animali. Bruno Barilli (1880-1952), per esempio, racconta “le favolose performances di animali familiari, cani e maiali comicissimi”, in Lo spettatore stralunato. Cronache cinematografiche (pubblicato postumo a Parma nel 1982).
Sebbene ancora nel 1942 performance figurasse nella lista dei Forestierismi da eliminare compilata dall’Accademia d’Italia, che proponeva di sostituirlo con prova, impresa o saggio (A. Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, Milano, 19428, pp. 891), oggi la sua presenza nel dizionario sembra pacifica.
L’urgenza di trovarne il traducente preciso è sfumata progressivamente in parallelo all’ampliarsi del suo spettro semantico: se al performance primonovecentesco sarebbe stato possibile sostituire in modo quasi indolore il termine prestazione, lo stesso traducente risulterebbe riduttivo per il termine contemporaneo, il cui uso spazia dall’ambito sportivo a quello commerciale (in cui si parla della performance di un prodotto come della sua capacità di affermarsi sul mercato), tecnico (in cui la performance è il rendimento di una macchina), artistico (in cui dagli anni Settanta il termine indica una forma artistica ben precisa, basata sull’improvvisazione e sul coinvolgimento del pubblico, ma anche – in un senso non tecnico e molto generico – una messa in scena, uno spettacolo, una recitazione). La riflessione linguistica generativista ne ha arricchito il significato di un’ulteriore accezione, per la quale la performance intesa come attività linguistica effettiva è opposta alla competenza, che è invece la capacità, astratta dall’effettiva realizzazione, di capire le frasi che si ascoltano e di produrne di nuove. In questo senso, performance viene tradotto spesso con esecuzione, e talvolta con performanza. La prima delle due proposte, allo stesso modo del precedente prestazione, non riesce a coprire tutte le altre accezioni del termine in questione; diverso il caso di performanza: non un traducente già vivo in italiano, ma un termine appositamente pensato per ricalcare l’estensione di performance. Ma il calco performanza non ha avuto, dalla sua comparsa (la traduzione italiana a cura di G. Franceschi di Teoria e metodo nella sintassi di S. Stati, Bologna 1972), altre applicazioni che quella tecnico-specialistica, finendo per risultare ormai quasi dimenticato anche dai vocabolari (è comunque registrato sul GDLI).
L’origine allogena del termine getta lumi anche sulla questione della sua pronuncia: sebbene nel parlato italiano, come riportato da GRADIT e GDLI, ricorra anche la pronuncia pèrformans, il corrispondente inglese ha l’accento sulla -o- (il francese, invece, risulta avere l’accento sulla -a-). Nulla di strano: la ritrazione dell’accento è un fenomeno diffuso in italiano che riguarda spesso anche i prestiti non adattati. Comunissimo per i francesismi (basti pensare, per esempio, a cognac, depliant, collant, crème caramel impropriamente pronunciati cògnac, dèpliant, còllant, crème càramel), non è raro per gli anglismi (self-control per i parlanti italiano ha spesso l’accento sulla prima -o-, suspense sulla -u-). Il Dizionario di Ortografia e Pronunzia (DOP), tuttavia, raccomanda, molto giustamente, di seguire più diligentemente l’accentazione inglese (perfòrmans).
Performance sarebbe giunto in italiano dall’inglese, e prima ancora all’inglese dal medio francese parformance (DELI, ZINGARELLI 2013, L’Etimologico), a sua volta deverbale dall’antico francese parformer. Continuando a percorrere a ritroso la storia del termine si finisce per riconoscerne un lontano antenato nel verbo tardo latino performāre, il cui significato ‘dare forma definitiva’ (risultante dall’incontro del prefisso rafforzativo per- con il verbo latino formāre ‘dare forma, modellare, formare’) non rappresenta tuttavia che un lontano antecedente semantico per la parola che ci interessa e per l’insieme di termini che la circonda (performare, performante, performativo).
La storia latino-italiana di performare, per esempio, documenta un forte slittamento semantico: la sua apparizione sporadica nella letteratura nel significato di ‘modellare, costruire, fabbricare’ (significato legato al lessico tecnico delle attività pratiche e perfettamente a suo agio, per esempio, nella cinquecentesca traduzione del De Architectura vitruviano di Cesare Cesariano: “Aciò si sapia… performare li ingeniosissimi e maximi orologi e tuto lo corpo de la mondiale e sferale machina”) è da considerarsi latinismo stretto. Nei vocabolari dell’uso contemporanei, invece, performare è ormai registrato soltanto come adattamento del verbo inglese to perform nel significato di ‘fornire una buona prestazione, ottenere risultati soddisfacenti’. In questo senso si dice, per esempio, che “un fondo monetario promette di performare” (cfr. ZINGARELLI 2013): il significato del verbo appare dunque legato all’idea della performance come prestazione, aggiungendovi una sfumatura valutativa positiva (una performance può essere cattiva, ma il performare di un fondo monetario rappresenta comunque un evento positivo).
Ricapitolando: tra i due significati di performare (1: ‘dare forma, modellare’; 2: ‘fornire una buona prestazione’) corre una differenza sensibile. I vocabolari italiani, inglesi e francesi candidano comunque il performare latino (il concreto 'dare forma, modellare') come antenato di performance (legata al concetto più astratto di esecuzione). Tale evoluzione semantica non è tuttavia di immediata comprensione. L’etimologia di to perform ‘eseguire un’azione’ fornisce un’ulteriore chiave di interpretazione della questione: come suggerito dall’Oxford English Dictionary, sembra che lo sviluppo semantico del termine sia stato incoraggiato e arricchito dall’antica interferenza tra il latino (e romanzo) formare e la radice germanica frumjan, responsabile peraltro dell’origine del verbo francese fournir ‘soddisfare, compiere, eseguire’ (Französisches Etymologisches Worterbuch, Bonn, Klopp, 3. Band, 1934), dell’inglese to furnish, che in un’accezione ormai defunta – ma storicamente molto importante – significava ‘completare, soddisfare, portare a termine’, e anche dell’italiano fornire, nel suo senso di ‘portare a compimento, mettere in esecuzione, terminare’ (senso ugualmente obsoleto, ma ampiamente documentato in letteratura, con esempi anche molto noti: il legnaiuolo descritto da Leopardi nel Sabato del villaggio “s’affretta, e s'adopra di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba”). To furnish, fournir e il letterario fornire veicolano, più che l’idea di un plasmare concreto, quella del compimento di un atto, concetto che sembra più vicino a quello della performance e del performare “attuale”.
L’aggettivo (o in casi più rari participio presente) performante, affermatosi soprattutto nell’ambito della scienza informatica e dell’economia, indica in primo luogo un apparecchio tecnologico (computer, cellulare, ecc.) che restituisce, appunto, prestazioni buone. Per estensione risultano performanti videgiochi, automobili, biciclette, aziende.
Nella prima attestazione italiana nota (un articolo della "Repubblica" del 17 giugno 1987), tuttavia, il termine non è riferito a una tecnologia, ma a un comportamento: “la minaccia dell' Aids preannuncia forse un nuovo libertinaggio, meno performante, ma più divertente, più narcisisticamente perverso?”. L’elasticità di questo primo uso italiano non sorprende se consideriamo la fonte da cui presumibilmente proviene, che è il francese (la giornalista riporta liberamente le frasi della psicoanalista parigina Julia Kristeva), in cui performant è infatti bene acclimatato (come provato dal suo comparire nella lessicografia, in cui è peraltro segnalata la prima attestazione nel 1968 (cfr. ATLIF). Sembrano confermare l’origine francese del termine il fatto che le resistenze che performante incontra da parte dei parlanti italiani sono le stesse che il suo corrispondente performant incontra presso i parlanti inglesi. Presente nella versione online degli Oxford Dictionaries e nel dizionario compilato dagli utenti Urban Dictionary, performant non sembra ancora “a suo agio” nella lessicografia e nell’uso anglosassoni (ne sono prova alcune discussioni in rete, una delle quali è intitolata significativamente “performant non è una parola”), e risulta poco accettabile se prodotto all’esterno del contesto sentito come più appropriato, quello della computer science: “Commonly used by Microsofties but not a real word” (“La usano quelli che lavorano per Microsoft, ma non è una parola vera”).
È ancora l’idea dell’esecuzione che risulta utile per comprendere l’aggettivo performativo, la cui storia è relativamente semplice: già “vivo” in inglese (performative) dai primi del Novecento, portato al successo dalla teoria degli atti linguistici di John Austin, è presente nella letteratura accademica italiana fin dal 1969. È rimasto fino a oggi principalmente legato agli ambiti tecnico-specialistici della linguistica e della filosofia del linguaggio. Performativi sono gli atti linguistici che realizzano ciò che dicono per il solo fatto di essere pronunciati: “ti prometto di andarci”, “mi scuso di averti disturbato”, “ti assolvo dai tuoi peccati”, “vi dichiaro marito e moglie”, ecc. Quest’ultimo contesto esemplifica anche un’altra accezione specialistica del termine: sono performativi anche gli enunciati che configurano una situazione giuridica nuova (per esempio, l’entrata in vigore di un accordo matrimoniale) nel momento in cui vengono pronunciati.
Ancora in relazione all’idea-guida dell’esecuzione, si parla di arti performative per intendere quelle forme artistiche basate sul compimento di alcune azioni (danza, musica, teatro, ecc.).
Risulterebbe ambiguo e poco appropriato sostituire performativo con *performazionale, termine di cui peraltro non si registrano che pochissime occorrenze (4 risultati su Google, 9 risultati su Google Libri). L’uso del termine, su cui un nostro utente ci chiede spiegazioni, sembra tra l’altro limitato ad ambiti specialistici, in particolare artistico-letterari, con il significato di ‘relativo a una performance’ intesa come ‘spettacolo’, ‘messa in scena’.
Il gruppo di parole di cui ci siamo interessati presenta caratteri “esotici”: ci troviamo di fronte a termini privi di una cittadinanza precisa, il cui significato è stato tuttavia capace di determinarsi in virtù delle interferenze e dei passaggi a nuovi ambiti d’uso o a lingue differenti. Le domande a essi relative allora hanno effettivamente “a che fare con la lingua italiana”, come con tutte le altre lingue in cui, l’abbiamo visto, i corrispondenti di tali termini ricorrono stabilmente: per le parole, la cittadinanza è un documento facile da acquisire.
A cura di Simona Cresti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
Piazza delle lingue: Lingua e saperi
10 marzo 2014
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