L'accademico Pietro Trifone risponde alle domande di due nostri utenti, Paolino Dal P., da Milano, e Stefano L., dalla provincia di Modena, a proposito di ma(t)t, o matto, in rapporto all'aggettivo opaco.
Mat, matto, mattizzare
Paolino Dal P. chiede informazioni sulla parola matto con il senso di ‘opaco, non lucido’, e in particolare sulla sua effettiva vitalità nell’italiano di oggi. Un vago riflesso di questo valore dell’aggettivo, attestato fin da epoca antica e di origine incerta, si è conservato nella locuzione oro matto ‘oro falso, similoro’, detto anche oro di Bologna (che proverbialmente diventerebbe rosso o nero per la vergogna).
Il particolare significato è stato recuperato modernamente in alcuni linguaggi tecnici sulla scia del francese mat, passato anche in inglese (mat e matt): la carta matta, per esempio, è la carta fotografica di tipo non lucido. Nel manuale di J. L. Russo Present Day Italian (Boston, Heath, 1947) il termine compare in un’ipotetica conversazione ambientata appunto in un negozio di articoli fotografici: «Mr. Terry. Per piacere, sviluppi questa pellicola e faccia due copie di ciascuna negativa buona. Impiegato. Benissimo, signore. Vuole le copie su carta lucida o su carta matta? Mr. Terry. Le preferirei su carta semilucida» (p. 357). Già alcuni anni prima Paolo Monelli nel suo Barbaro dominio (Milano, Hoepli, 1933) aveva definito «molto diffuso» in vari campi «l’errore di dire matto, dal francese mat, per opaco; specialmente lo dicono i fotografi: carta matta, in contrapposto a carta lucida» (p. 109). Ultimamente mat (francese o inglese) e anche matt (inglese), con il derivato mattizzare, hanno fortuna nel linguaggio della cosmetica: una cipria mat(t), per esempio, è una cipria opacizzante, utile soprattutto per “mattizzare” le pelli che tendono a diventare lucide; invece la locuzione cipria matta risulterebbe astrusa o stravagante. Come si accennava, la forma mat potrebbe essere sia francese che inglese, o se si preferisce franco-inglese; ma il frequente accostamento con altri elementi inglesi (come in clear e mat o mat e oil free) rivela il modello che tende a prevalere nella coscienza dei parlanti.
Un altro lettore, Stefano L., avanza ulteriori dubbi sul medesimo tema, aggiungendo interessanti notizie di prima mano e personali commenti spiritosi: «Nel gergo del settore ceramico nel quale sono impiegato si usa spesso il termine mat (che non so se deriva dall’inglese o dal francese) e altri termini da esso derivati come l’orribile verbo mattizzare per identificare l’azione di rendere mat una superficie lucida (che a me ricorda i mattatoi) o la parola mattificante per definire l’agente che opera il cambiamento della superficie (che suona come la causa di una terribile infermità psichiatrica)». Le perplessità espresse con ironia dal nostro interlocutore potrebbero essere superate sostituendo matt, mattizzare e mattificante con opaco, opacizzare, opacizzante o opacizzatore, con indubbio guadagno di chiarezza o meglio con perdita di oscurità.
Lo stesso lettore chiede inoltre quale sia la parola più indicata «per identificare e distinguere i contrari di lucido e trasparente», visto che dai dizionari di sinonimi e contrari «il termine più idoneo» risulterebbe essere opaco, ma in realtà un materiale opaco può essere trasparente e uno lucido può non esserlo. L’apparente contraddizione dipende sia dalla polisemia di opaco, lucido e trasparente, sia dal fatto che questi aggettivi indicano valori relativi e graduabili. Sulla base di quest’ultimo requisito, la massima opacità (per esempio di un vetro) coincide con la mancanza assoluta di trasparenza, mentre un’opacità minore attenua la trasparenza ma non la impedisce del tutto. Nel contempo il requisito della polisemia fa sì che l’opacità possa opporsi alla lucidità, senza che l’una e l’altra nozione si riferiscano necessariamente a un oggetto dotato di trasparenza: infatti né una foto su carta opaca né una su carta lucida sono trasparenti.
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22 aprile 2016
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