Monica Visani dalla provincia di Ravenna ci chiede notizie sull’espressione avere la coda di paglia: alla domanda ha già risposto Raffaella Setti nel n. 41 della Crusca per voi (ottobre 2010).
«I modi di dire, i motti, le frasi idiomatiche di cui è ricca la nostra lingua continuano a incuriosire i nostri lettori. Rossella Pazzini ci chiede che cosa significhi esattamente e come sia nata l’espressione idiomatica avere la coda di paglia.
Modi di dire: avere la coda di paglia
Sul significato dell'espressione avere la coda di paglia non sembrano esserci dubbi e tutti i principali repertori lessicografici e di modi di dire ne danno pressappoco la stessa definizione: chi ha la coda di paglia sa di aver combinato qualcosa, non ha la coscienza tranquilla e, di conseguenza, è sempre sospettoso per timore di essere scoperto; la versione tradizionale (e un po' in disuso) del più recente e “mediatico” avere uno scheletro nell'armadio.
Meno lineare appare invece la ricostruzione dell'origine dell'espressione. La spiegazione tradizionale e largamente conosciuta si fonda su quella data da Costantino Arlia (in Voci e maniere di lingua viva, Milano, P. Carrara, 1895), tratta da Fanfani e ripresa poi in molti dizionari etimologici, che faceva risalire l'espressione alla favola in cui una volpe che aveva perso la coda, per la vergogna, se ne sarebbe messa una posticcia di paglia. Molto più convincente la ricostruzione proposta da Ottavio Lurati (Dizionario dei modi di dire, Milano, Garzanti, 2001) che fa riferimento alla pratica medievale di umiliare gli sconfitti o i condannati attaccando loro una coda di paglia con la quale dovevano sfilare per la città a rischio che qualcuno gliela incendiasse come gesto di ulteriore scherno. La coda naturalmente rappresenta il simbolo del degrado dallo status di persona a quello di animale. Questa origine sembra dar conto dei diversi e contemporanei stati d'animo che caratterizzano chi ha la coda di paglia: la consapevolezza del proprio errore, la vergogna e la diffidenza verso gli altri che possono rendere pubblica la colpa, aggravando il senso di umiliazione. Lurati cita un episodio specifico avvenuto nel Trecento e raccontato da Galvano Fiamma nella sua cronaca intitolata Manipulus Florum: i prigionieri pavesi, sconfitti dai milanesi, sarebbero stati cacciati dalla città con una coda di paglia attaccata in fondo alla schiena.
La stessa espressione è presente in molti dialetti italiani e trova corrispondenti anche nel tedesco e in forme gergali francesi; la locuzione inoltre rappresenta il nucleo da cui si sono formate forme proverbiali, come il toscano chi ha la coda di paglia, ha sempre paura che gli pigli fuoco (proverbio registrato dal Giusti) o il pavese chi gh’a la cua d paia, l gh’a pagüra che la gh brüsa.»
Raffaella Setti
Piazza delle lingue: Lingua e saperi
13 febbraio 2012
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