Rispondiamo a Carlo A. di Napoli e Marisa P. di Gardone Riviera che ci chiedono quale sia l’origine della locuzione battere la fiacca.
Perché la fiacca si batte?
L’espressione battere la fiacca si colloca tra i gergalismi di caserma entrati nell’italiano comune “con connotazioni locali evidenti soprattutto tra Ottocento e inizi del Novecento, quando era marcata la prevalenza di ufficiali piemontesi e napoletani provenienti dai principali eserciti preunitari” (cfr. Marco Biffi, Linguaggio militare in Enciclopedia dell'Italiano (2011)). Si tratta in effetti di un modo di dire nato in ambiente militare piemontese e poi trasmesso alla lingua grazie al contatto “forzoso” tra uomini provenienti da luoghi diversi della penisola riuniti nelle file dell’esercito post-unitario.
Troviamo la spiegazione dell’origine dell’espressione nel paragrafo dedicato ai piemontesismi da Lorenzo Renzi nel suo Parole di caserma, pubblicato nel 1966 sulla rivista “Lingua Nostra” (vol. XXVII - 1966, pp. 87-94: 88-89).
Renzi, dopo aver notato che la locuzione nel senso di ‘stare in ozio, lavorare poco e di malavoglia’ era ormai “nell’uso familiare”, cita da E. De Bono, Nell’esercito nostro prima della guerra (1931) che così scrive: “in fanteria [si dice] battere la fiacca; in artiglieria mettersi sulla braca; in cavalleria: dormire sulla capezza” (p. 174). Vale forse la pena di rilevare che, nonostante fosse registrato come buttarsi, mettersi sull'imbraca ‘scansare la fatica’, ‘ricusarsi di parlare’ nel Novo dizionario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze di G.B. Giorgini (1877-1897), opera pubblicata per interesse del Ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio proprio all’indomani dell’Unità d’Italia, e successivamente ripetuto nella lessicografia novecentesca, il “concorrente dell’artiglieria” ha decisamente avuto molto minor fortuna, almeno al di fuori di Firenze e della Toscana, della locuzione propria dei fanti.
Come detto da Renzi, l’espressione battere la fiacca è attestata in piemontese alla fine dell’Ottocento nel Vocabolario piemontese-italiano (1891) del Gavuzzi come bati la fiaca “star neghittoso”; anche la prima testimonianza in lingua «nella forma: battere... la fiaccona, è nel piemontese De Amicis (in Ricordi d’infanzia e di scuola, 1901, come dal G.D.L.I. s.v. battere)». E sempre all’interno del piemontese Renzi così spiega la sua genesi:
L’espressione presuppone l’allargamento semantico che bati (italiano battere) ebbe in piemontese, fino a diventare una sorta di verbo vicario, come l’italiano fare. Abbiamo così in piemontese una serie di espressioni come: bate la luna ‘avere la luna’, batla da gadan o da fol ‘fare lo gnorri’, batla mola ‘temporeggiare’ e infine batla ‘oziare’ (Sant’Albino e Gavuzzi). Batla fiaca avrà fatto serie con batla mola e batla freida. Il piemontese bati la fiaca (> italiano battere la fiacca) rappresenta allora una sorta di grammaticalizzazione dell’espressione originaria, in cui il la allusivo di batla sarà stato interpretato come un articolo femminile.
Sarebbe cioè avvenuta una reinterpretazione di ciò che in italiano sarebbe suonato come batterla fiacca, modo analogo a locuzioni come farla lunga o farla breve, come una sequenza di infinito + articolo + sostantivo:batter la fiacca, appunto.
Ma lo stesso Renzi sembra avanzare qualche perplessità su questa spiegazione, tanto che in nota allo stesso testo sviluppa una diversa ipotesi.
Ma come mai la differenziazione tra batla mola e bati la fiaca, espressioni sinonimiche, era già nel piemontese? Esiste la possibilità di un’altra spiegazione. Il Sant’Albino [Gran dizionario piemontese italiano, Torino 1859] riporta due espressioni formalmente perfettamente analoghe alla nostra: bate la diana (“si dice del sonare che si fa la mattina il tamburo all’apparire della stella Diana, per destare i soldati o per mutar le sentinelle”), bate la generala (“sonare o batter a raccolta”). I tamburi avevano nel vecchio esercito un segnale particolare per le diverse operazioni, come l’ha oggi la tromba. Il Carbone [G. Carbone, Dizionario militare, Torino 1863] 672 dà l’elenco completo delle espressioni di questo tipo: battere l’assemblea, il bando, la carica, la chiama (chiamata), la diana (sveglia), dove naturalmente l’uso di battere calca il francese battre (le tambour).
All’origine di bati la fiacca e battere la fiacca starebbe allora uno scherzo: i soldati in ozio avranno detto che era stata battuta la fiacca, o che loro stessi la battevano. Una prova a favore di quest’etimologia, che può sembrare troppo avventurosa, si può trovare in un altro passo del De Bono che (230) ricorda che la Fanteria fu l’ultima Arma nelle cui caserme si abolirono i segnali con i tamburi: “tantoché non era raro anche dopo l’adozione delle trombe, di sentire qualche vecchio ufficiale ad [sic] ordinare: ‘tromba, batti la sveglia’”. Nel passo citato sopra dal De Bono [sic] ricorda che anche l’espressione battere la fiacca era peculiare della Fanteria: e forse i Fanti la usarono più a lungo degli altri proprio perché per loro e solo per loro l’espressione, connessa alla pratica di battere gli ordini, era restata comprensibile.Sarebbe quindi il modo tipico della fanteria piemontese di impartire gli ordini col suono del tamburo che avrebbe trasmesso attraverso il servizio militare (o la naia per citare un’altra parola giunta attraverso lo stesso canale del linguaggio militare, questa volta per bocca degli alpini), il motivo per cui, mentre il silenzio si suona, la fiacca si batte.
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
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