Sparadrappo / Sparatrappo

Rispondiamo a Emanuele T. (di Palermo) che ci chiede se l’uso della parola sparatrappo per indicare il ‘cerotto’ sia solo dialettale o generalmente italiano.

Risposta

Sparadrappo / Sparatrappo

Il Grande dizionario italiano dell’uso (GRADIT 2007) registra la voce sparadrappo con due accezioni: 1. ‘piccola garza imbevuta di liquidi medicamentosi, da applicare su ferite o piaghe’, accezione bollata come “obsoleta”; 2. ‘cerotto’, che è invece segnalata come “meridionale”.
Il Sabatini-Coletti 2008 e lo ZINGARELLI 2013 precisano che oggi sparadrappo (e – aggiungiamo noi – soprattutto la sua variante dialettale sparatrappo, con passaggio -dr- > -tr- tipico dei dialetti del Sud) è un termine in uso nell’italiano regionale meridionale per indicare il cosiddetto ‘cerotto adesivo’, cioè quel nastro di tela o simili ricoperto da un lato da uno strato di sostanza adesiva, impiegato nelle medicazioni, per fissare le bende o le garze (vedi immagine sotto).


Il quadro tracciato dai vocabolari dell’uso è sostanzialmente confermato dal dizionario storico del Battaglia, il GDLI, il quale, alla voce sparadrappo1, presenta solo due esempi cinquecenteschi (ricavati dallo Specchio di scienza universale del medico bolognese Leonardo Fioravanti e dalle Opere di Tommaso Garzoni) per i significati ‘tessuto imbevuto di liquido medicamentoso da applicare su piaghe e ferite’ e ‘unguento da spalmare su tale tessuto’, mentre riporta esempi di due autori meridionali moderni dell’uso di sparadrappo per ‘cerotto adesivo’ (i corsivi nelle citazioni sono miei):

a. Don Gerolamo, grattandosi la testa, prese con sé lo sparadrappo e la garza e corse a fasciare i feriti (Federico De Roberto [Napoli, 1861-Catania, 1927], La sorte, I ed. 1887).

b. Non c’erano stoffe. Si fece la lana cardata... Si doveva incollare lo sparatrappo alle finestre per attutire il rumore delle strade (Domenico Rèa [Napoli, 1921-1994], Gesù, fate luce, I ed. 1950).

I vocabolari dialettali ci mostrano che quest’uso è diffuso in tutto il Mezzogiorno continentale e nella Sicilia: la forma più comune nei dialetti è sparatrappǝ, ma si registrano anche le varianti sparatraccu in Calabria, sparatracchǝ, sparatrappu e il femminile sparatrappa in Salento, sparatrappu in Sicilia, sparaṭṛaccu a Castelbuono (PA) e sparaṭṛappi a S. Alfio (CT) e Mòdica (RG). Va inoltre notato che vari lessici meridionali ottocenteschi “traducono” la voce sparatrappo con la locuzione drappo inglese o con la parola taffettà, le quali furono adoperate in passato in italiano per indicare delle bende o garze medicamentose impiastrate di una sostanza adesiva.
Sulla base della documentazione fin qui fornita, risulta insomma che l’uso del termine sparadrappo era giudicato come desueto già a metà Ottocento (il Tommaseo-Bellini lo “marca” infatti con una croce) e nell’italiano comune di oggi è sentito come un meridionalismo.
Ciò detto, va altresì notato che sparadrappo è stato adoperato come termine tecnico medico-farmaceutico almeno fino alla metà del secolo scorso, come dimostra la voce cerotto (del 1931) dell’Enciclopedia Treccani:

c. Quando gli empiastri vengono distesi, con l’aiuto di apposite macchine, in strato sottile, di circa 1/2 millimetro, sopra un tessuto leggiero di cotone, di lino o di seta, costituiscono gli sparadrappi (anch’essi detti volgarmente cerotti): questi sono molto numerosi, e comunemente prendono il nome dall’uso a cui sono destinati (sparadrappi vescicatorî, epispastici, revulsivi, ecc.).

Anzi, possiamo dire che in italiano sparadrappo è stato sempre un termine “tecnico”, tant’è vero che la Crusca non lo registra, ma compare in due vocabolari particolarmente attenti ai linguaggi specialistici: il Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana (Lucca, 1797-1805) di F. D’Alberti di Villanuova e il Vocabolario universale italiano comunemente detto Tramater (Napoli, 1829-1840), i quali parlano esplicitamente di "termine chirurgico" (il Tramater ha anche il lemma sparadrapio: "Strumento atto a preparare lo sparadrappo, ed il cui effetto consiste nel far passare la tela sopra della quale si cola l’empiastro tra una lamina di ferro tagliata ad ugnatura, ed una tavoletta di legno acciocché lo strato di cerotto abbia da per tutto una eguale grossezza").
Si consideri inoltre che la ricerca della forma sparadrappo (e varianti) in Google libri rimanda sostanzialmente a testi di medicina e farmacia, dai quali veniamo a sapere che in passato esistevano vari tipi di sparadrappo, che venivano impiegati principalmente, ma non solo, per curare le ulcere delle gambe o delle braccia:

d. Piglia di oglio di perforata, di oglio di camamilla una oncia per sorte, di oglio di mandole dolci meza oncia, si mescola il tutto, e si fa l’untione doppo la quale si pone anco una tela misturata detta da i Cirugici sparadrappo sopra il ventre della donna, lasciandovela portare almeno per quindici giorni accomodata con una fascia (da La Commare o raccoglitrice [Venezia, 1595] del medico romano Scipione [Girolamo] Mercurio [Mercuri], che è uno dei primi trattati di ostetrica in volgare).

e. Lo sparadrappo è valoroso per curar le piaghe putride delle gambe. Si fa in questo modo: prendesi di canfora oncia una, di minio, e litargitio [leggi litargirio] ana libre due, di piombo brusciato libre una, di tutia dramme sei, d’oglio comune e oglio rosato ana libre v, d’acqua vita dramme sei, di cera oncie sei. Mette gli ogli al fuoco, e fatti caldi v’aggiungerai il litargirio, il minio e il piombo, e messeda [cioè mescola] con la spatola fin ché venga a forma di cera, al fine vi darai l’acqua vite, e la cera, e metti in ultimo la canfora (Ricettario medicinale di m. Giuseppe Santini Lucchese, Venezia, 1604).

f. Sparadrappo. Nome dato dai farmacisti a certe liste di pelle, di tela, di taffetà o di carta, che si spalmano in una delle loro superficie con un lieve strato di cerotto. Lo sparadrappo bene preparato deve essere pieghevole, ricoperto con eguaglianza e leggerezza, e tanto conglutinante da aderire facilmente, ma non però in modo che non lo si possa levare senza dolore, o senza che rimangano sulla pelle traccie dell’empiastro (Dizionario compendiato delle scienze mediche, Venezia, 1830).

Una più antica attestazione di sparadrappo proviene da un trattato medico toscano del Trecento:

g. Et se vederai ogni cosa stare bene, sopraporraivi tale sparadrappo, cioè: *** togli polvere di mastici, olibano, pece greca, bolio, et poni cera et sevo di castrone a fuoco, et struggile; dapo mettine sopra peza et ponilo tiepido in sul luogho, et se sarà di bisogno aggiugnevi apostolicon (Maestro Bartolomeo, Chirurgia di Ruggero da Parma volg., TLIO).

Il TLIO ci fornisce anche un altro significato di sparadrappo, che però con la medicina c’entra ben poco: "contenitore in tessuto entro il quale si conservavano o si spedivano lettere o documenti. Estens. L’insieme dei documenti contenuti", attestato in testi toscani trecenteschi:

h. Una borselina là ue sono le ras(ioni) di Lantino (e) la scrita che io (e) Dino facemo a Ving(n)one. Uno sparadrapo di carte di Fiorençe dela conp(angnia). Uno sparadrapo là u è la ras(ione) di Lantino (Testi pistoiesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento).

i. Questo dì ebi una tua letera e uno isparadrappo sugiellatto del tuo sugiello da Petro Testa compangnio di Ciuchino Avogadri: la letera fue fatta a dì IIII di novembre (Carteggio dei Lazzari).

l. Possa che io ebi iscritto fino a quie, ricievetti dal Priore per uno fantte propio uno isparadrappo co’ lettere innvolte in una cartta di ba[n]baccia sugiellatte e soprascritte a te: lo sparadrappo disugiellai io, a vedere se istavano cossie come lo Priore mi scrivea (idem).

m. A dì X settembre ebi uno sparadrappo di lettere de le quali vi risposi per lo detto Nuto; e a dì primo d’ottobre ebi una lettera per Tribuletto che fue fatta dì XXVII d’agosto; respondovine per questa (Lettera di Giachino a Baldo Fini e fratelli in Firenze).

Inoltre, il GDLI registra anche uno sparadrappo2: "Che ha gli abiti laceri e sbrindellati; mal ridotto, male in arnese", ricavato però da un testo molto particolare e di dubbia attribuzione, il Pataffio (sec. XIV?), un vero e proprio esperimento letterario la cui lingua ha messo a dura prova editori e commentatori.
In ogni caso, tale significato, come pure quello di ‘contenitore per lettere’, non ha avuto seguito, a differenza di quello medico-farmaceutico, che ritroviamo anche in altre lingue: nel francese sparadrap (anticamente anche spanadrap, da cui dipende probabilmente il piemontese spanadrap) e nello spagnolo esparadrapo, in passato (come in italiano) ‘pezzo di stoffa ricoperto di uno strato di impiastro medicamentoso’, oggi (come nei dialetti italiani meridionali) ‘cerotto adesivo’ (cfr. Trésor de la Langue Française, s. v. sparadrap: "Bande de tissu, de papier ou de matière plastique, plus ou moins poreuse, élastique, perforée ou non, enduite sur une face de matière adhésive, qui s’applique sur la peau par simple pression et sert à maintenir un pansement").
Venendo all’etimologia di sparadrappo: il DEI rimanda a un latino medievale sparadrapus, che sembra però un calco della forma italo-romanza sparadrappo, composto da spara(re) + drappo. Si tenga conto che anticamente sparare voleva dire ‘fendere, tagliare per lungo’ (anche una stoffa): sparare una camicia, lo sparato di una veste, ecc. Il composto sparadrappo è però di un tipo particolare: di solito nei composti verbo + sostantivo, il sostantivo fa da complemento oggetto (taglialegna ‘chi taglia la legna’, apribottiglie ‘[strumento] che apre le bottiglie’), qui invece siamo di fronte a un composto del tipo batticuore, tornaconto, dove il secondo elemento fa da soggetto (e il composto in questo modo è endocentrico). Quindi come batticuore vuol dire ‘cuore che batte’, così sparadrappo vuol dire ‘drappo che è tagliato per lungo, a formare una lunga striscia’. È così che si spiegano tutte le accezioni che la parola ha avuto nel corso del tempo:

- ‘involucro di stoffa, o meglio una striscia piuttosto lunga in cui venivano avvolte e legate le missive per il loro trasporto’;
- ‘benda di medicazione, di solito una fascia abbastanza lunga da poter esser avvolta o legata intorno alla ferita’;
- ‘cerotto (di tela ingommata) per medicazioni (di solito avvolto in un rotolo)’;
- ‘abito pieno di strappi e fenditure’, quindi ‘straccione’.

In tutte queste accezioni, infatti, si scorge sempre una striscia di drappo ottenuta strappando per lungo una stoffa.

 


Per approfondimenti:

  • A. Altamura, Dizionario dialettale napoletano, Napoli, Fiorentino, 1956.
  • R. Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano [1887], rist. Napoli, Berisio, 1966.
  • R. Bigalke, Dizionario dialettale della Basilicata, Heidelberg, Winter, 1980.
  • M. Dardano, La formazione delle parole nell’italiano di oggi, Roma, Bulzoni, 1978, p. 150.
  • E. Giammarco, Dizionario Abruzzese e Molisano, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1968-1990.
  • G. Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini, München, Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 1956-1961.
  • G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. I, Torino, Einaudi, 1966, p. 372.
  • G. Rohlfs, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, Ravenna, Longo, 1977.
  • G. Romito, Dizionario della lingua barese, Bari, Levante, 1985.
  • Vocabolario siciliano, fondato da G. Piccitto, dir. da G. Tropea, Catania, ecc., Stianti, 1977-2002.

A cura di Antonio Vinciguerra
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

14 aprile 2014


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