Whatsappiamo?

Alcuni utenti ci segnalano l'uso del verbo whatsappare.

Risposta

Whatsappiamo?

Il verbo whatsappare fa riferimento alla comunicazione attraverso WhatsApp, un’applicazione di messaggistica istantanea, disponibile per smartphone, che consente lo scambio di messaggi testuali e multimediali tra gli utenti. L’uso dell’applicazione è quasi totalmente gratuito (circa ottanta centesimi l’anno, a partire dal secondo anno dall’installazione) e sfrutta il traffico dati del cellulare; questo aspetto unito all’interoperabilità fra i diversi sistemi operativi spiega la ragione del suo successo mondiale. In Italia, più del 65% dei possessori di smartphone ha installato e utilizza usualmente WhatsApp sul proprio dispositivo mobile (fonte Global Web Index).

Il nome dell’applicazione deriva dall’incrocio, che gioca sull’omofonia, fra la formula fàtica inglese what’s up? tipica della lingua parlata e traducibile con ‘come va?’, ‘che si dice?’ e app, riduzione di application. Whatsappare è una delle numerose parole che, soprattutto nell’ultimo decennio, si sono formate dal nome commerciale di aziende o software informatici e si va ad aggiungere ad altre già da tempo attestate in italiano e accolte nelle più recenti edizioni dei dizionari come googlare (datato 2004 in ZINGARELLI 2009), photoshoppato (2005 in Devoto-Oli 2012) e twittare (2007 in Parole nuove del sito dell’Accademia della Crusca e in ZINGARELLI 2014). Tutti quelli citati sono casi di adattamenti alla morfologia italiana per cui il nome di un marchio di origine inglese si unisce direttamente alla desinenza della prima coniugazione verbale italiana in -are, classe che accoglie quasi tutti i verbi di nuova coniazione. Si tratta di forme sintetiche usate in alternativa a espressioni complesse come appunto “mandare un messaggio su WhatsApp”; “contattare su WhatsApp”. Si rimanda alla scheda della consulenza “Ma quanti nuovi verbi in -are!” per un approfondimento sui risvolti sintattici di questo fenomeno.

Whatsappare è ancora limitato agli usi estemporanei (prevalentemente nel parlato e in rete) degli stessi utenti di WhatsApp e ai contesti a bassa formalità ed è ascrivibile alla categoria dei gergalismi di derivazione informatica in quanto di scarsissima trasparenza e difficile comprensione per chi non conosce l’applicazione (altri esempi di gergalismi informatici sono killare, pinnare, crashare fra quelli segnalati dagli utenti nella sezione Parole nuove). Gli archivi online della “Repubblica” e del “Corriere della Sera” non riportano occorrenze, ma “googlando” la forma whatsappare si ottengono circa 18.000 risultati fra le pagine in italiano. In continua ascesa a partire dalle prime attestazioni del 2011, il verbo è frequente soprattutto in gruppi di discussione, blog, wiki e in generale nelle parti interattive di una pagina web. Si riscontra tuttavia anche fra i contenuti statici di alcuni siti di informazione come “TGcom24”, “Il Messaggero” e “Il Mattino”.

Il verbo non è registrato in nessun dizionario italiano e del resto neanche Oxford Dictionaries e Merriam-Webster  online accolgono to whatsapp, per quanto il verbo sia sicuramente più consolidato nella lingua inglese. L’unica risorsa lessicografica che registra to whatsapp è il sito Urban Dictionary – dizionario inglese online di neologismi e slang compilato dagli utenti, che lo data 2011:

Sending a message through whatsapp. Can be used to refer a message that was sent earlier through whatsapp.

I whatsapped you yesterday. Did you check that?

Ulteriori varianti attestate in italiano sono le forme whazzappare, uotsappare, uozzappare e uazzappare che rappresentano progressivi adattamenti grafici ed esemplificano bene un certo uso creativo e scherzoso della lingua. Casi simili si riscontrano anche in spagnolo, dove la forma wasapear (con adattamento fonetico /gwasape’ar/) si è imposta nell’uso rispetto all’esito più fedele whatsappear e ha ricevuto anche l’avallo della Fundéu - Fundación del Español Urgente, un’organizzazione associata alla Real Academia Española che monitora la lingua dei mezzi di comunicazione. In italiano, le occorrenze di queste varianti sui motori di ricerca si attestano comunque al di sotto del migliaio, dunque in numero molto inferiore rispetto a quelle di whatsappare.

Così come per chattare (prime attestazioni 1995), messaggino e messaggiare (rispettivamente 1996 e 1998) e il citato twittare, la diffusione della parola è motivata dalla percezione di un modo di comunicare nuovo. Lo scambio di messaggi su WhatsApp è per molti versi affine a quello su chat in quanto a immediatezza e multimedialità, ma l’uso dell’applicazione su telefoni cellulari, praticamente sempre a portata di mano, fa sì che venga avvertito come molto più invasivo e coinvolgente. Inoltre, la possibilità di partecipare a conversazioni di gruppo aumenta considerevolmente il volume e la frequenza delle interazioni rispetto ad altri sistemi di messaggistica.

All’uso transitivo più comune (“ti mando la foto che l’amico mio m’aveva whatsappato”; “mi ha whatsappato l’intera storia di come si sono conosciuti”), si affianca una costruzione intransitiva che, oltre a veicolare l’idea di uno scambio di messaggi, restituisce appunto anche il senso di una conversazione fitta e prolungata nel tempo, come in frasi del tipo “ho iniziato a whatsappare con lei mentre facevo colazione”; “whatsappare con la mamy è sempre emozionante!”. Questo uso attiverebbe lo stesso tipo di estensione semantica che distingue a livello colloquiale smessaggiare, variante durativa non registrata nei dizionari, dal puntuale messaggiare.

L’affermazione di un neologismo come whatsappare è legata indubbiamente alla sorte dell’applicazione stessa. Google e Photoshop sembrano per il momento marchi imbattibili e i loro derivati sono stati accolti nei dizionari da circa dieci anni. WhatsApp è ancora relativamente giovane ed essendo limitata all’uso su smartphone non è ancora condivisa da molte fasce di parlanti. Si deve comunque tener presente che non è solo il numero di parlanti a decretare il successo di una parola, ma anche la reale necessità di definire il nuovo concetto.

Prova della vitalità di WhatsApp è anche la diffusione, nella lingua italiana, di altri derivati. Per esempio whatsappino, che indica il messaggio inviato attraverso l’applicazione: “in caso fammi sapere con un whatsappino”; “il whatsappino della buonanotte”. Limitata anch’essa agli usi estemporanei e ludici, la parola si sta diffondendo fra i contenuti interattivi in rete, ma si riscontrano anche due occorrenze nelle edizioni online del quotidiano “La Nazione” del 2014. Altre creazioni linguistiche diffuse in Internet, ma anche in trasmissioni televisive e radiofoniche, sono whatsappamento, whatsappata e il gioco di parole andare a whatsappare la terra diffusosi su Twitter. Da non sottovalutare inoltre la whatsappite, che si manifesterebbe con infiammazione e dolori bilaterali al polso: dopo la diagnosi di almeno un caso in Spagna, la parola ha avuto la sua effimera fama su tutti i quotidiani nazionali, grazie anche al patrocinio di una delle più importanti riviste mediche internazionali “The Lancet” che l’ha ufficializzata in whatsappitis. In realtà, la diagnosi si riferisce ai danni provocati dall’uso eccessivo di qualsiasi apparecchio tecnologico, ma il fatto che sia stato scelto WhatsApp per nominare scientificamente il disturbo è indicativo della percezione che i parlanti hanno dell’applicazione in questione; tanto per dire, negli anni ’90, la stessa rivista “The Lancet” aveva parlato di nintendinitis.

 

A cura di Stefano Olmastroni
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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16 gennaio 2015


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