Sia dal nord (Trento e Varese), sia dal centro (Macerata), sia dal sud della penisola (Avellino, Vibo Valentia, Cosenza) e anche dalla Sardegna ci vengono rivolte domande a proposito del termine risalente usato specialmente in ambito giuridico senza alcun “riferimento temporale”: dottrina risalente, fatti risalenti, sentenze risalenti. In alcuni casi ci viene segnalato anche l’espandersi di questo uso anche al di fuori dell’ambito giuridico: un’epoca risalente, un mobile risalente.
Un risalente indefinito
Chi ha fatto studi giuridici non se ne accorge nemmeno, perché si è abituato a trovare certe parole fin dal primo momento in cui ha aperto un manuale universitario, e spesso all’inizio a non capirle (alle volte anche poi).
Alcune sono parole necessarie per definire i connotati tecnici della disciplina e di esse non si può fare a meno, come subito s’impara, se si vuole parlare con la precisione che tutte le scienze richiedono, anche quella del diritto. Ecco i tecnicismi specifici: usucapione, litisconsorzio necessario, anticresi, reato, appropriazione indebita etc.
Altre non servono a esprimere univocamente un concetto tecnico, ma solamente a elevare il tono, il registro del discorso, e far capire a tutti che coloro che stanno parlando o scrivendo sono giuristi, appartengono a una categoria (o a una casta) particolare. Tecnicismi collaterali o soggettivi li chiamano i linguisti. Tutti noi a sera dopo una giornata di lavoro, più o meno stanchi secondo gli impieghi e le attitudini, entriamo nella nostra casa per metterci finalmente in ciabatte. Chi ha avuto la (disav)ventura di ricevere la visita di un ufficiale giudiziario ha imparato che questo signore, nello svolgere una pubblica funzione per l’esecuzione della giustizia come il pignoramento, non entra nelle case dei debitori, ma vi accede.
Alcune di queste ultime parole sono anche più innocue fortunatamente, e molto spesso il giurista che le usa – anche extra moenia – nemmeno si avvede della loro peculiarità. Se ne accorge invece chi giurista non è, soprattutto quando viene introdotto un qualche carattere grammaticale o sintattico diverso da quelli comuni. Eccoci al punto.
Chi mai tra i giuristi dubiterebbe della piena comprensibilità tra le persone normali di una parola come risalente?
Continuamente chi s’occupa di diritto, studiando e scrivendo, s’imbatte in giurisprudenza risalente, interpretazione risalente, e così via risalendo; lo stesso può capitare anche a chi giurista non sia, quando si trovi a leggere un giornale con qualche stralcio di una sentenza o di una ordinanza che disponga la custodia cautelare, e non è detto che intenda alla prima: «Al punto che, “al cospetto dell’attività criminosa, risalente e consolidata, di ***, con ruolo direttivo per non dire padronale, non si può parlare di pericolo”, ma “bisogna parlare di ragionevole certezza” di reiterazione» (Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, “Corriere della Sera”, 22 marzo 2014, p. 20).
Ma provate un po’ a definire un articolo un po’ vecchiotto un saggio risalente, parlando con un non giurista in un contesto completamente fuori “dall’ambito giudiziario”. Questa volta – son sicuro! – non capirà subito, e certo vi interromperà domandandovi: «Risalente a quando?». Perché avrà familiare, lui, solamente la costruzione del verbo risalire, e del participio/aggettivo risalente, con la preposizione a seguita da un’indicazione di tempo, suonandogli del tutto strano l’uso assoluto con il significato di ‘antico’.
Un rapido riscontro sui dizionari e su qualche banca dati potrà fornire conferma. L’uso giuridico di risalente con valenza zero, cioè non specificato da un complemento introdotto dalla preposizione a, solitamente non è attestato sui dizionari e pare invece appartenere alla lingua giuridica a partire almeno dalla fine del XIX secolo: «Influenza di stoicismo si sostenne in un preteso sfavore alle usure, che si volle dedurre da parole di Papiniano che usura non natura pervenit (fr. 62 pr. D. 6, 1): quasiché non fosse risalente e tradizionale il concetto che distingue dai frutti naturali i frutti civili, e in materia d’usura non si avesse in Roma, fin da antico, un’assidua, quanto sterile attività legislativa» (Emilio Costa, La filosofia greca nella giurisprudenza romana, Prolusione a un corso libero d’Istituzioni di diritto romano nell’Università di Parma letta il 14 dicembre 1891, Parma, Casa editrice Luigi Battei, 1892, p. 29).
Si trova talora anche sui quotidiani e fuori dalla cronaca giudiziaria, ma non è proprio sempre detto che sia segno d’un allargamento dai confini originari: «Da storico, Spadolini conosce bene queste cose: e non è davvero cosa da poco che dichiari pubblicamente di volersi sottrarre a questo risalente e pesante impegno». Chi scrive infatti è un giurista, Stefano Rodotà (I poteri occulti, “la Repubblica”, 5 ottobre 1984, p. 8), il quale avrà introdotto – inavvertitamente o meno – nel commento politico una caratteristica tipica della sua lingua professionale.
Oggi quest’uso assoluto di risalente si va estendendo, come dimostrano le domande arrivate alla consulenza, e la comparsa sempre più frequente nelle pagine dei giornali anche al di fuori della cittadella giudiziaria. Come l’altro giorno: «Un problema assai risalente, che la sindaca grillina conta di risolvere entro il 2019: “Il nostro obiettivo è quello di ampliare l'offerta in tre anni per ridurre la domanda e dare la possibilità a 6mila famiglie di accedere a una soluzione abitativa, e poi di chiudere i Caat, ovvero i residence, entro il 2018”» (Giovanna Vitale, Piano casa fotocopia “Chiudere i residence e acquistare palazzi”, “la Repubblica”, 27 luglio 2017, p. 11).
Quando risalente ‘antico’ entrerà, oltre che negli articoli dei giornali, anche nelle voci dei dizionari?
22 settembre 2017
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