Firenze, Accademia della Crusca, 27 febbraio 2017
La scorsa settimana si è diffusa la notizia della sentenza della Corte Costituzionale (Decisione del 21/02/2017; Sentenza n. 42) a seguito della nota causa sollevata da un gruppo di professori del Politecnico di Milano.
Inspiegabilmente, importanti fonti di stampa hanno diffuso la notizia, presentandola, con grave fraintendimento, come una “vittoria” del Politecnico contro i professori. Tale affermazione è ingiustificata.
Richiamiamo brevemente i fatti. Il Senato accademico del Politecnico di Milano con delibera del 21 maggio 2012 ha ritenuto di poter determinare l’attivazione, a partire dall’anno 2014, dei corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in lingua inglese. Alcuni docenti dell’ateneo milanese hanno proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ottenendo l’annullamento del predetto provvedimento amministrativo (sentenza 23 maggio 2013, n.1348). Contro la decisione del TAR della Lombardia, hanno proposto appello al Consiglio di Stato il Politecnico di Milano e il MIUR. Il Consiglio di Stato ha espresso il dubbio sulla legittimità costituzionale della disposizione di legge, e si è rivolto alla Corte Costituzionale.
È vero che la Corte costituzionale ha respinto questi dubbi di costituzionalità, ma solo perché la disposizione della legge Gelmini sulla internalizzazione delle nostre università non avrebbe comunque potuto legittimare una decisione come quella assunta dal Politecnico di Milano: cioè di offrire interi corsi di laurea esclusivamente in una lingua diversa dall’italiano. Sarà bene tener conto delle importanti argomentazioni della Corte, e vale la pena richiamarne qui alcune, che l’Accademia della Crusca ritiene di grande significato.
Scrive la Corte che la lingua italiana, nella sua ufficialità, e quindi primazia, è vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall’art. 9 della Costituzione. La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l’erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare tale funzione della lingua italiana, ma tali fenomeni non devono costringere quest’ultima in una posizione di marginalità: al contrario, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, ma diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé.
La Corte prosegue affermando che la “centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana si coglie particolarmente nella scuola e nelle università”. L’obiettivo dell’internazionalizzazione – questo il parere della Corte – “deve essere soddisfatto […] senza pregiudicare i principî costituzionali del primato della lingua italiana, della parità nell’accesso all’istruzione universitaria e della libertà d’insegnamento”. “Ove si interpretasse la disposizione oggetto del presente giudizio nel senso che agli atenei sia consentito predisporre una generale offerta formativa che contempli intieri corsi di studio impartiti esclusivamente in una lingua diversa dall’italiano, anche in settori nei quali l’oggetto stesso dell’insegnamento lo richieda, si determinerebbe, senz’altro, un illegittimo sacrificio di tali principî. L’esclusività della lingua straniera, infatti, innanzitutto estrometterebbe integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica dall’insegnamento universitario di intieri rami del sapere. Le legittime finalità dell’internazionalizzazione non possono ridurre la lingua italiana, all’interno dell’università italiana, a una posizione marginale e subordinata, obliterando quella funzione, che le è propria, di vettore della storia e dell’identità della comunità nazionale, nonché il suo essere, di per sé, patrimonio culturale da preservare e valorizzare”.
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