Amaròtico e amaròstico: due insoliti concorrenti lessicali

Svariati quesiti sono stati inviati all’Accademia della Crusca su due parole poco note, solo apparentemente simili, amarotico e amarostico, la cui illustrazione consente di proiettare lo sguardo in diverse direzioni. Dei due aggettivi, evidentemente derivati da amaro, e soprattutto di amarotico ‘amarognolo’, alcuni lettori chiedono chiarimenti sulla valenza e sulla diffusione dialettali. In effetti, le due voci ci riportano ad aree dialettali, come vedremo.

Risposta

Partiamo dalla constatazione della abbondanza di derivati dall’aggettivo base amaro, che rendono sfumature diverse, ma che per la maggior parte significano ‘amarognolo, cioè lievemente e non sgradevolmente amaro’: amarognolo, appunto, anche nella variante desueta amarogno, e amaretto, amarino, amaroso, amarastro, amariccio; amaricante e amaricato sono derivati dal verbo amaricare, e amarulento è voce dotta dal lat. ămārŭlentus. Un’abbondanza che colpisce se la compariamo con la minore presenza di derivati dagli altri gusti base, dolce, aspro, salato, e che sarà da attribuire alla maggiore sgradevolezza del sapore amaro.

Concentriamo dunque l’attenzione sui due insoliti termini amarotico e amarostico, oggetto dei quesiti dei lettori, a partire dalla loro registrazione sui dizionari, passando poi alla documentazione sul loro uso e sulla loro diffusione offerta dagli strumenti elettronici.

Amarotico ‘amarognolo’ non è registrato dai dizionari della lingua italiana, ma soltanto da dizionari dialettali, soprattutto di area veneta (XIX secolo: Boerio veneziano, Rosamani giuliano, Nazari triestino, e altri). Come attesta il ricchissimo LEI, Lessico etimologico italiano (e dei dialetti) la voce amarotico è documentata anche in area molisana e abruzzese. Meno comune, ma attestato, come sostantivo.

L’utile strumento Stazione lessicografica offerto dal sito dell’Accademia della Crusca, confermando la mancata registrazione da parte dei principali vocabolari italiani, documenta la voce sul quotidiano “la Repubblica”, in un articolo dello scrittore triestino Paolo Rumiz del 2002 (“Alla stazione di Villaco mi faccio una birra imperial-regia. Ah, l’oro freddo, amarotico, mitteleuropeo”), e nella banca dati del web Coliweb: le occorrenze, dell’ordine di una decina, sono tutte in ricette della blogger di cucina, veneta, Alice Mazza, in riferimento al sapore o retrogusto amarotico, cioè amarognolo, di svariati alimenti (il cardo, l’aloe, la pasta lievitata con il lievito madre, ecc.).

Un’indagine con la ricerca avanzata di Google ci offre una significativa quantità di esempi in testi italiani diversi, di oggi, ma anche dei due secoli scorsi, dai quotidiani, ai blog di cucina e ricettari, a trattati o manuali di agricoltura e viticoltura, oltre che nei dizionari dialettali di cui abbiamo già detto, con una decisa prevalenza di testi provenienti dall’area veneta. Il significato è sempre quello di ‘amarognolo, lievemente e gradevolmente amaro’, e il termine è usato soprattutto in riferimento a vini, liquori, birra, ma anche a erbe.

Per i quotidiani, la ricerca negli archivi elettronici aggiunge all’occorrenza sopra citata di Paolo Rumiz due esempi dal “Corriere della Sera” (23/12/1949, per un vino si parla di “retrogusto piacevolmente amarotico e persistente”) e dal “Corriere d’informazione” (11/5/1956, nell’intervista di Mike Bongiorno a un concorrente napoletano di Lascia o raddoppia, che parla per un primo piatto di un “saporino un po’ amarotico… un sapore amarotico che si accompagna ed è in contrasto col dolce del burro e parmigiano”). Esempi, questi due, che si allontanano sia dall’area veneta sia dal riferimento ai vini.

Amarostico. Anche questa parola è poco presente sui dizionari della lingua italiana, ma ha qualche registrazione lessicografica in più rispetto ad amarotico. La si trova sul DEI Dizionario etimologico italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, che, con il significato di ‘alquanto amaro’ la marca come dialettale, di area meridionale, ma richiamando anche la voce settentrionale (emil. ven.)  marostegana ‘marasca, visciola’, che riprenderemo tra poco toccando il problema della formazione e dell’etimologia di amarotico e amarostico. La fondamentale documentazione del LEI attesta la voce amarostico in veste italiana nel 1681 nel Dizionario italiano-francese di Giovanni Veneroni (e nel suo Dizionario imperiale del 1700 troviamo, sotto la voce amaro, i due aggettivi amarognolo e amarostico ‘un peu amer’); e il LEI attesta varie forme dialettali della parola nell’area istiano-giuliana, ma poi soprattutto nei dialetti meridionali e nei loro vocabolari (napoletano, pugliese, irpino, salentino, siciliano). Per il napoletano abbiamo addirittura un’attestazione nell’antico testo del XIII secolo Regimen Sanitatis: “lo vino amarostico lo corpo no notrica" (cfr. TLIO Tesoro della Lingua italiana delle Origini). Per l’area siciliana, amarostico è inoltre presente, oltre che come voce del dialetto (amarosticu, anche in senso figurato, detto di persona) come parola dell’italiano regionale.

La localizzazione soprattutto meridionale del regionalismo amarostico è pienamente confermata dalle attestazioni offerte dalla ricerca con Google: due più antiche (un trattato di agricoltura del ’500 e una enciclopedia del ’700), le altre concentrate nell’800 e nel ’900, soprattutto nei dizionari dialettali, nei manuali di agricoltura e di enologia. La voce è usata infatti prevalentemente in riferimento a vini e a piante e verdure, nel significato di ‘amarognolo, gradevolmente amaro’, del tutto simile se non identico a quello di amarotico, anche se, come visto nel DEI, qualcuno indica invece il significato piuttosto diverso di ‘alquanto amaro’.

Per l’oggi, la rete ci offre una maggiore varietà e diffusione di usi per amarostico rispetto al suo concorrente: non solo dai blog di cucina, infatti, ma anche dai quotidiani emergono parecchi esempi, come dimostra la quindicina di occorrenze sulla “Repubblica” dal 1999 al 2020. Amarostico, come aggettivo e talvolta come sostantivo, ricorre in relazione ad alcune verdure, in particolare cicoria, cardi, radicchio, e, tipici delle regioni meridionali, lampascioni, cime di rapa, senape selvatica, friarelli ecc.; più raramente è usato per connotare il sapore di vini, bevande (chinotto), o addirittura in senso traslato, come in questi esempi, il primo dei quali di ambito gastronomico, il secondo politico: “portando con sé il sapore dolce del senso di appartenenza e il lieve retrogusto amarostico del ricordo, per un gusto complessivo rotondo e morbido”, “Al di là del sapore amarostico che ha per come è maturata, la candidatura di Orlando potrebbe non essere la sciagura che sembra”.

Prima di tirare le fila, un accenno alla formazione delle due parole dall’aggettivo base amaro: amarotico ha il raro suffisso -òtico che ha la stessa funzione di -ògnolo, suffisso composto da -ogno + -lo; più problematica l’etimologia di amarostico, che qualcuno ha pensato di collegare con il toponimo veneto Marostica, anch’esso di dubbia etimologia (ma certo pare difficile trovare un collegamento semantico, indicato in passato da qualcuno in una ipotetica sorgente di acqua amara), o forse con il frutto aspro e amarognolo della marasca (si veda sopra nel DEI la parola emiliana e veneta marostegana ‘marasca, visciola’). Per altre ipotetiche ma piuttosto improbabili derivazioni si potrebbe pensare al composto dei due aggettivi amaro + ostico (ma il secondo, nel senso di ‘ripugnante al gusto’, sarebbe ridondante rispetto al primo) oppure all’aggiunta ad amaro del segmento -òstico, sul modello di aggettivi greci come diagnostico (attestati però posteriormente).

Possiamo concludere sottolineando come, cercando risposte ai quesiti su queste due parole davvero insolite e poco note, ci si sia ancora una volta resi conto del frequente emergere nel web di parole di origine dialettale, soprattutto se di ambito gastronomico, un ambito che al giorno d’oggi appare molto presente nella rete e funge da volano per quelli che altrimenti sarebbero stati dialettismi o regionalismi di uso circoscritto. Del resto, è proprio dall’ambito gastronomico che, in tempi lontani e senza il bacino di circolazione della rete, sono penetrate nell’italiano dai dialetti parole ora comunissime e italianissime come grana ‘formaggio’, grissino, mozzarella, pizza, e tante altre.


Nota bibliografica
:

  • Boerio: Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Tip. di G. Cecchini, 1856.
  • Nazari: Giulio Nazzari, Dizionario bellunese-italiano e osservazioni di grammatica ad uso delle scuole elementari di Belluno, Oderzo, Tipografia di G. B. Bianchi, 1884.
  • Rosamani: Enrico Rosamani, Vocabolario giuliano dei dialetti parlati nella regione giuliano-dalmata, quale essa era stata costituita di comune accordo tra i due Stati interessati nel Convegno di Rapallo del 12-12-1920, Bologna, Cappelli, 1958.

Ilaria Bonomi

2 luglio 2021


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