Rispondiamo ai numerosi lettori che ci chiedono chiarimenti circa il verbo cernere e derivati (tra cui principalmente discernere).
Secondo la maggior parte delle grammatiche e dizionari (eccezion fatta per il Nuovo Tullio De Mauro e il Vocabolario Treccani online), il verbo italiano cernere è un verbo irregolare, mancante del participio passato e, conseguentemente, di tutti i tempi composti, nonché delle forme passive. Deriva dal verbo latino cernĕre ‘separare, setacciare’, ‘distinguere, discernere’ ma anche ‘decidere, decretare’, il cui paradigma (cerno, -is, crēvi, crētum, cernĕre) ci testimonia che il participio passato, derivante dal tema del supino attivo, era esistente in latino (crētus, -a, -um da crētum). Già in latino, dal verbo cernĕre deriva, per prefissazione, una serie di altri verbi, alcuni dei quali arrivati anche in italiano (per un quadro completo delle parole italiane riconducibili al verbo latino, si veda la voce cernere nel RIF Repertorio Italiano di Famiglie di Parole, a cura di Michele Colombo e Paolo D’Achille):
Concernĕre, discernĕre (da cui, per aferesi di di- nel XIV secolo è nato scernere, cfr. infra), secernĕre sono arrivati in italiano con alcune, seppur trascurabili, sfumature di significato, mentre excernĕre è sopravvissuto in italiano soltanto attraverso la forma del participio passato excretu(m) da cui l’it. escreto, aggettivo e sostantivo usato prevalentemente in ambito medico e fisiologico con il significato di ‘eliminato dall’organismo mediante escrezione’ e ‘materiale espulso dall’organismo’ (cfr. Devoto-Oli online). Dunque rispondiamo subito al lettore che ci chiede se esista un verbo da cui è derivato escreto: non esiste in italiano, esisteva in latino (il verbo excernĕre), sopravvissuto nella forma participiale in questione e in altre parole. Infatti, già in latino derivavano dal verbo anche i sostantivi excretor (da cui l’it. escretore ‘che serve per l’escrezione’), dal part. passato il sostantivo excretio, -onis ‘vagliatura’ (da cui l’it. escrezione ‘formazione nell’organismo di materie destinate a essere espulse’) ed excrementum ‘escrezione’ (da cui l’it. escremento; per tutte le definizioni e gli altri significati si veda il GDLI, vol. V, p. 315 e 316).
Il dubbio del nostro lettore è lecito perché solleva un’altra questione abbastanza complessa: ci chiede anche se escreto sia il participio passato del verbo escrescere. In latino, il participio passato del verbo cresco (cresco, -is, crevi, cretum, crescĕre ‘nascere’, ‘crescere’, ‘aumentare’) è omonimo di quello del verbo cerno. Così come il participio passato del verbo prefissato excresco (‘crescere, ingrandirsi, svilupparsi’) ha la stessa forma di quello del verbo excerno, prefissato a partire da cerno: excretus, -a, -um poteva significare tanto ‘cresciuto, ingrandito’ (da excresco) quanto ‘separato, diviso’ (da excerno). Il verbo excresco è diventato in italiano il verbo escrescere, usato in ambito medico per indicare ‘svilupparsi abnormemente sulla cute o sulle mucose’; da excresco derivava in latino il participio presente excrescens, -entis, il cui neutro plurale excrescentia ha dato l’it. escrescenza che ha, come significato primario afferente al lessico della medicina e botanica, quello di ‘protuberanza, tumefazione di qualsiasi natura, sulla superficie della pelle o delle mucose’ (Devoto-Oli online).
Tra tutti gli altri verbi cernere, concernere, discernere (e scernere), secernere, l’unico che ha mantenuto il participio passato è quest’ultimo, che vedremo nello specifico più avanti. Gli altri, infatti, oggi non hanno questa forma verbale e conseguentemente non hanno nemmeno i tempi composti. Per cernere il discorso è più complesso: al participio perfetto classico crētus, -a, -um, in un secondo momento, si erano affiancati altri due participi passati: certus, -a, -um (da cui deriva l’aggettivo italiano certo, che ha ereditato il significato di ‘deciso, distinto’ e quindi ‘certo’) e, nel latino tardo, cernitus, -a, -um da cui deriva il sostantivo femminile cèrnita ‘selezione di materiale e di prodotti’ (per gli altri significati, cfr. Devoto-Oli online). Al riguardo Giacomo Leopardi, che aveva consultato il Lexicon Totius Latinitatis di Egidio Forcellini, così scrive nel suo Zibaldone:
Del resto certare sta per cernitare (come dice il Forcell.) solamente in quanto l’antico e regolare participio di cernere dovette essere non cretus nè certus ma cernitus. Non già che se cernitare si trovasse, e se certare n’è sincope, esso venga da altro che dal participio passato di cernere. E da che il detto participio fu ridotto a certus (vero participio di cernere, e più antico di cretus ch’è una pura metatesi di certus siccome questo originariamente è sincope di cernitus, come lectus di legitus ec.) regolarissimo suo derivativo è certare, continuativo vero di cernere e per forma e per significato. (11. Gen. 1822.) (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, leopardi.letteraturaoperaomnia.org, pp. 2195-2428: p. 2345-2346)
Non entrando nel merito della questione, spinosa, rileviamo semplicemente che il verbo latino cernere aveva tre participi perfetti: cernitus, cretus e certus da cui l’italiano certo, che però non è participio passato nella nostra lingua (cioè non possiamo dire *è stato certo per intendere ‘è stato scelto’).
Nell’italiano delle origini, invece, esistevano due forme di participio passato del verbo cernere o cernire, che derivavano dal tardo cernitus, -a, -um ossia cernuto e c(h)irnuto (ricordiamo che la concomitanza di più forme per una stessa voce verbale è un fatto tipico dell’italiano delle origini; si veda il fenomeno della polimorfia analizzato da Anna M. Thornton per bevvi, bevei e bevetti):
Item preme l’uva acerba indela pigniata nuova e la polvere cernuta conn | un panno socttile e polla alli occhi: tolle via l’ardore e le lagrime. (Anonimo, Thesaurus pauperum (volgarizzato), in Giuseppe Zarra, Il «Thesaurus pauperum» pisano. Edizione critica, commento linguistico e glossario, Berlin, De Gruyter, 2018, p. 235, v. 15 [area pisana, sec. XIV])
Melenconici tutti e saturnini, | retrogati, spietati e mal nassuti; | non gallici, todeschi né latini, | ma de giudicaia setta son cernuti [...]. (Francesco di Vannozzo, Rime, in Roberta Manetti, Le rime di Francesco Vannozzo [tesi di dottorato in Filologia romanza ed italiana (Retorica e poetica romanza ed italiana)], VI ciclo, 1994, p. 5036, r. 32, v. 12 [area tosc.-ven., sec. XIV s.m.])
Recipe lu sinopido et tritalo suctilme(n)te et mectelo i(n) unu vaso de rame; et sia de sinopido o(nce) j. de farina de granu b(e)n cernuta o(nce) x, et p(r)ima trita lo sinpido et stemperalo diligentem(en)te coll’acqua
[...] et poi ch(e) n’è tracto lu c. della acq(u)a la pulve d(e) la t(er)ra, voi d(e) la cene(re) d(e) la felce cirnuta suctilissimam(en)te, se sp(ar)ga d(e) sup(ra) le cocture. (Anonimo, Volgarizzamento della “Mascalcia” di Lorenzo Rusio in Luisa Aurigemma, La “Mascalcia” di lorenzo Rusio nel volgarizzamento del codice Angelicano V3.14, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998, p. 177, v. 21 e p. 221, v. 11 [area laziale o sabina, sec. XIV ex.])
Su siminatu in Santu Martinu et in Sagana di furmentu chirnutu salmi viij. Item di oriu chirnutu salmi v thumini iiij. (Angelo Senisio, Il “Caternu”, in Il «Caternu» dell’abate Angelo Senisio. L’amministrazione del monastero di San Martino delle Scale dal 1371 al 1381, a cura di Gaetana Maria Rinaldi, Palermo, Centro di Studi filologici e linguistici siciliani, 1989, 2 voll., p. 102, vv. 9-11 [area siciliana, 1371-1381])
Le forme cernuto e cirnuto si alternano in area centrale: i primi due testi sono rispettivamente di area pisana e tosco-veneziana, il secondo di area marchigiana meridionale o abruzzese settentrionale (cfr. Barbato 2019, p. 219); la forma chirnutu invece è tipica del siciliano antico. Questi participi passati si sono poi persi ma attualmente sopravvivono in alcune varietà italo-romanze: le forme participiali affini a quelle appena citate sono elencate nel LEI (vol. XIII 1109ss), diffuse un po’ in tutto il territorio italiano. Per esempio nel dialetto di Anagni, un detto popolare usato per descrivere una persona molto furba, che sfugge con destrezza a qualsiasi vaglio, presenta il participio di cernere: cernùto alle sètte séte (letteralmente setacciato con sette setacci).
Rispondiamo ora al lettore che ci chiede se esista il verbo *cernitare: questo verbo, che abbiamo letto nel passo di (il quale però si riferisce a un verbo latino e non italiano), e che non è attestato nei testi antichi né registrato in alcun dizionario italiano, potrebbe essere una forma probabilmente derivante da un verbo latino tardo di cui però non ci sono riscontri nel Du Cange (Glossarium mediae et infimae latinitatis, Niort, Le Fabre, 1883-1887), oppure una forma ricostruita partendo da cernita, con l’aggiunta del suffisso verbale produttivo -are, che potrebbe avere riscontri dialettali. Una situazione simile, nell’italiano delle origini, è descrivibile per i participi passati di discernere o discernire:
[...] allora segna ne l’animo qualunque menda tu vi puoti notare | o discernere, e poi sempre ti rimanga nella mente e nella memoria tutti | quegli vizii e brutture che vi potrai avere discernute [...]. (Anonimo, Rimedi d’Amore di Ovidio, volgarizzamenti (Volgarizzamento C), in I volgarizzamenti trecenteschi dell’«Ars amandi» e dei «Remedia amoris», a cura di Vanna Lippi Bigazzi, 2 voll., Firenze, Accademia della Crusca, 1987, vol. I, pp. 437-469, p. 453, v. 22 [sec. XIV p.m., area tosc. occ. > fiorentina])
[...] ma | eziandio muove la volontade ad amare il bene, poi | che avrà discernuto, o fuggire il male. (Anonimo, Ottimo Commento della Commedia (L’), Paradiso, L’Ottimo Commento della Commedia, a cura di Alessandro Torri, tomo III, Pisa, Capurro, 1829, p. 111, v. 28 [1334, area fiorentina])
Sì che Stazio dice: io fui prodigo, e quando lessi nel | tuo volume quello ch’è detto, io mi temporai: che se io non vi avessi dicernuto | tale vizio, io sarei al supplizio e pena che sono li prodighi ne lo ’nferno, capitolo | 7° [...]. (Iacopo della Lana, Commento alla Commedia di Dante Alighieri (Purgatorio) secondo il cod. Trivulziano 2263 (= M2), in Commento alla ‘Commedia’, a cura di Mirko Volpi, con la collaborazione di Arianna Terzi, Roma, Salerno Ed., 2009, vol. II, pp. 941-1653 [testo nelle pp. di destra], p. 1391, r. 21[1324-1328, area bologn. > tosc.])
Attualmente in italiano questi participi non sono ammessi dalle grammatiche tradizionali, le quali inseriscono cernere e discernere tra quelli mancanti di participio passato e forme verbali composte (si vedano, a titolo esemplificativo Serianni 1989, pp. 430-431 e Dardano-Trifone 2002, p. 335).
Il participio passato latino del verbo discernĕre sopravvive in italiano come aggettivo: nel passaggio dal latino classico a quello volgare e poi successivamente ai volgari italiani il participio discretu(m) è passato dal significato di ‘che sa distinguere, giudicare’ a quello di ‘moderato nel chiedere, contenuto nel comportamento’ e ‘abbastanza bello’, sganciandosi dalla funzione voce verbale e divenendo aggettivo a tutti gli effetti già a partire dal XIII secolo (cfr. l’Etimologico). Rispondiamo così a numerosi lettori: essendosi sganciato dalla funzione verbale, divenendo aggettivo e avendo sviluppato un significato a sé stante, discreto non è participio passato di discernere, né può essere considerato tale.
Precisiamo, inoltre, che l’aggettivo concreto non deriva dal participio passato del verbo latino concernĕre: esso deriva dal participio passato di concrescĕre ‘crescere in maniera forte’, e significava ‘denso, solido’, poi ‘che esiste realmente, positivo, pratico’ (cfr. l’Etimologico).
L’unico verbo italiano derivato da cernĕre che mantiene il participio passato (e dunque tutti i tempi composti, e la diatesi passiva) è secernere: da secrētus, -a, -um deriva il participio passato secreto (da cui l’aggettivo segreto, che parte dal significato di ‘separato, appartato’). Alcuni lettori ci chiedono se sia ammissibile il participio passato secernuto: questa forma, non rara nell’italiano antico, e ancor presente nei trattati scientifici e medici ottocenteschi, probabilmente si era formata per analogia con l’antico participio passato cernuto, di cui abbiamo parlato precedentemente:
Un etere sparso nell’universo, estremamente sottile, penetrante, efficace, che s’insinua per ogni parte del nostro corpo che ha più di affinità col sistema nervoso, e va poscia secernuto e disperso per mezzo dei nervi (misto alla linfa che n’è il veicolo) ed impartisce la vita agli organi tutti. (Domenico Andrea Renier, Delle febbri da Ippocrate sino a noi, parte II, “Annali Universali di Medicina”, CLXXVIII/532, ottobre 1861, pp. 3-36: p. 30)
Attualmente questa forma participiale risulta desueta e anacronistica mentre si preferisce quella ereditata direttamente dal latino classico, secreto.
Alcuni lettori ci chiedono delucidazioni circa le forme di passato remoto (caratterizzate da polimorfia) e congiuntivo presente di secernere, che riportiamo di seguito: io secernei (anche secernetti), tu secernesti, lui/lei secernette (anche secerné), noi scernemmo, voi secerneste, loro secernettero (o secernerono); che io secerna, che tu secerna, che lui/lei secerna, che noi secerniamo, che voi secerniate, che loro secernano.
Infine rispondiamo a quei lettori che ci chiedono la differenza semantica tra il verbo discernere e scernere: come accennavamo, scernere, attestato nel Devoto-Oli online a partire dal XIV secolo (ma il GRADIT lo retrodata a prima del 1294), è derivato in un secondo momento da discernere (attestato già dal XIII sec.) con aferesi di una parte del prefisso privativo originario (di- anziché dis-). Confrontiamo i significati dei due verbi registrati dal GRADIT:
discernere v. tr. (CO[mune]) [...] 1. distinguere con la vista o con altri sensi, riconoscere: d. una persona tra la folla, gli aromi, i sapori | fig., comprendere, conoscere: d. il vero, il giusto 2. (B[asso]U[so]) giudicare
scernere v.tr. (LE[tterario]) [...] 1. scorgere, vedere distintamente | estens., distinguere con l’udito 2. (B[asso]U[so]) fig., riuscire a intendere, capire 3. (B[asso]U[so]) tosc., fare una cernita, scegliere
La prima differenza riguarda l’ambito d’uso: il GRADIT riporta discernere come di uso comune (anche se nel significato di ‘giudicare’ è di basso uso), mentre scernere ha un uso principalmente letterario e nelle accezioni di ‘capire’ e ‘scegliere’ di basso uso (la seconda è, tra l’altro, un’accezione tipica della varietà toscana). L’altra differenza riguarda il senso attraverso cui si ‘distingue’: si discerne principalmente con la vista, si può scernere anche con l’udito. In definitiva, i significati dei due verbi sono sostanzialmente affini, tant’è che si possono considerare parzialmente sinonimi. Concludiamo dicendo che, nonostante discernere non possegga il participio passato, il suo derivato scernere ne ha sviluppato uno tutto suo: scernito. A parità di significato, questa maggiore completezza paradigmatica del verbo scernere lo rende un valido supplente del verbo discernere per tutte le voci verbali mancanti di participio passato (tempi composti e diatesi passiva).
Nota bibliografica:
Miriam Di Carlo
3 giugno 2024
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