Ci sono arrivate molte domande sulla legittimità dell’elisione in sequenze come quest’ultimi o quest’ultime. Cosa prescrive la norma e qual è l’uso concreto?
Nel caso dell’aggettivo e pronome dimostrativo questo la norma attuale, basata sul cosiddetto “italiano delle maestre” diffuso con l’insegnamento scolastico postunitario, prevede l’elisione della vocale finale davanti alla vocale iniziale della parola seguente, che graficamente viene resa con l’apostrofo, solo nelle forme del singolare maschile e femminile: in questo appartamento > in quest’appartamento; in questa occasione > in quest’occasione (cfr. Serianni 1989, cap. I, § 73). Peraltro, neppure in tali casi l’elisione è obbligatoria (anche se la sequenza questo umidificatore è certo molto meno frequente di quest’umidificatore), diversamente da quella prevista per il singolare maschile di quello, per cui *quello umidificatore sarebbe inaccettabile.
Come è stato da tempo rilevato, le elisioni nello scritto sono diventate sempre più rare, così come del resto i troncamenti o apocopi, sia per la maggiore consapevolezza dell’autonomia delle singole parole, sia per l’ammissibilità, nell’italiano di oggi, dello iato, cioè della sequenza di due vocali in sillabe diverse, che era (ed è tuttora) estraneo alla fonologia del parlato toscano (alla quale si era rifatto Alessandro Manzoni per la versione definitiva, la “quarantana” dei Promessi Sposi, che sotto tale aspetto risulta meno moderna della “ventisettana”). In ogni caso, nelle forme plurali questi e queste nello scritto l’elisione non è ammessa dalla norma attuale.
Diverso è il discorso nell’orale: qui, specie nella pronuncia veloce tipica del parlato informale, la tendenza alle elisioni (e ai troncamenti) è in genere più ampia rispetto allo scritto, anche se varia a seconda delle aree geografiche ed è particolarmente diffusa in Toscana e a Roma. Dall’uso romano, per es., si sta estendendo un po’ in tutta Italia l’elisione in ce l’ho non solo con le “particelle pronominali” (in termini tecnici si parla di “pronomi clitici”) singolari lo e la (dove è da considerare standard), ma anche con i plurali li e le (cfr. Lorenzo Renzi, Come cambia la lingua, Bologna, Il Mulino, 2012, p. 56). Nelle scritture meno controllate, specie se provenienti da queste aree, non è escluso che le elisioni dal parlato transitino anche nello scritto e che si estendano a sequenze in cui la norma non le ammette, e ciò può riguardare anche i plurali questi e queste. Lasciamo da parte il fatto che si potrebbe applicare a tali forme la “regola” prevista per gli articoli determinativi gli e le, che si possono tuttora elidere davanti a parole inizianti, rispettivamente, per i e per e, come gl’insegnanti o l’erbe (forme corrette, ma oggi alquanto desuete, e invece normali nell’italiano letterario del passato: si pensi a Gl’innamorati, che è il titolo autentico della commedia di Carlo Goldoni, oggi talvolta “attualizzato” in Gli innamorati, e a l’ale ‘le ali’ che si legge nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi). Dunque, sequenze come quest’individui e quest’esperienze potrebbero essere quanto meno tollerate. Il caso più frequente di “violazione della norma” con questi e queste è tuttavia proprio quello indicato dai nostri lettori, di quest’ultimi e quest’ultime. Di tali elisioni troviamo isolate occorrenze anche nei romanzi novecenteschi compresi nel corpus PTLLIN:
Si mise la camicia, i calzini e i pantaloni; quest’ultimi non senza la medesima gioia puerile di quando li aveva infilati per la prima volta. (Alberto Moravia, I racconti, 1952)
[...] salutò le sorelle e i nipoti ma, fra quest’ultimi, guardò di traverso Carmelo che aveva avuto il pessimo gusto d'inalberare sulla berretta, in segno di festa, una coccarda tricolore. (Giuseppe Tommasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1959)
Sembrò che quest’ultime frasi invece di pensarle le pronunciasse contro qualcuno. (Giuseppe Testori, Il ponte della Ghisolfa, 1959)
Più numerosi sono gli esempi di quest’ultime in Claudio Magris (4 in Danubio, 1 in Microcosmi), tanto che si potrebbe parlare di un tratto “idiosincratico” di questo scrittore, che però usa costantemente questi ultimi (8 esempi in Danubio, 3 in Microcosmi) e, in Microcosmi, offre anche 3 occorrenze di queste ultime:
[...] volontà di riformare, da una fede nel progresso, dall’intento di costruire una società diversa, aperta a nuove classi e destinata ad essere guidata da quest’ultime. (Claudio Magris, Danubio, 1987)
È come se lo stile degli edifici statali e signorili, lo stile austriaco e ungherese che sovrasta la pianura slava dalle basse case contadine a un solo piano, si confondesse lentamente con quest’ultime e non le schiacciasse più con la sua altezza e la sua grandeur. (ivi)
La sua idea era di sostituire quelle gradesi con quelle portoghesi - che poi erano giapponesi - e cominciò ad allevare quest’ultime in massa e a progettare grandi impianti per la loro coltivazione e raccolta. (Claudio Magris, Microcosmi, 1997)
La barca passa dinanzi a valli da pesca, a case coloniche. Vicino agli scarichi di queste ultime prospera un tipo di granchi che, per le loro predilezioni gastronomiche, sono chiamati “magna-merda”. (ivi)
A spiegare l’elisione si possono indicare, oltre al trasferimento nello scritto della pronuncia e della sequenza ritmica dell’orale, sia l’analogia con le forme elise del singolare, sia (ma questo certamente non vale per gli esempi letterari sopra citati) la “sciatteria” dovuta all’attuale, frequente assenza di rilettura, che non consente di sanare eventuali “mutamenti di progetto” (dal singolare al plurale) nel corso della stesura del testo scritto, sia – infine – il possibile riferimento all’uso letterario tradizionale, in cui sequenze come quest’ultimi o quest’ultime erano ammesse. Ma si tratta di motivazioni di carattere generale, non riferibili specificamente al caso in esame, per il quale non sembra convincente neppure pensare all’evitamento della sequenza di tre i, che oltre tutto varrebbe solo per il maschile.
In definitiva, le elisioni in quest’ultimi e quest’ultime, documentate anche nella prosa letteraria, non si possono considerare veri e propri errori. Tuttavia, nell’uso scritto formale è meglio evitarle e adeguarsi sia alle prescrizioni grammaticali, sia all’uso prevalente, che almeno da un secolo e mezzo vede questi ultimi e queste ultime come grafie largamente maggioritarie (come chiunque può verificare in rete, grazie, per esempio, a Ngram Viewer, che si basa sul corpus di Google libri).
Paolo D'Achille
27 giugno 2022
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