Semel

Cerchiamo di soddisfare le curiosità di un nostro lettore appassionato di cucina toscana che dagli Stati Uniti ci chiede lumi a proposito di semel, nome di un particolare tipo di pane diffuso a Firenze e usato oggi, dice sempre il lettore, dai venditori di lampredotto (il tipico cibo fiorentino da asporto). Qual è l’esatta grafia di questa parola? Quando è stata usata per la prima volta? Che cosa indica, di preciso: un cibo della tradizione italiana o tedesca?

Risposta

Il fatto che la parola sèmel sia presente in molti dei vocabolari italiani a nostra disposizione (GRADIT, Garzanti 2017, Vocabolario Treccani online, Zingarelli 2020, Devoto-Oli 2020, l’Etimologico, DEI, GDLI), e che in tutti questi indichi piuttosto genericamente un panino soffice di farina bianca, “adatto a essere inzuppato nel caffè e nel latte” (Treccani), specialmente a colazione, non deve indurci a credere che il semel sia diffuso allo stesso modo in tutta Italia, né che il suo nome suoni familiare a tutti i parlanti italiani.

Effettivamente, nella lessicografia contemporanea la voce semel è sempre seguita dalla marca di regionalismo toscano (lo Zingarelli e il Vocabolario Treccani online aggiungono anche quella di “popolare”) e talvolta, come nel caso di GDLI, Vocabolario Treccani online, DEI, Devoto-Oli, corredata delle varianti con epitesi, sèmelle e sèmele: l’aggiunta di una -e finale (accompagnata dai necessari aggiustamenti, come in questo caso il raddoppiamento della consonante finale della forma semelle) è un fenomeno comune per le parole uscenti in consonante nelle varietà linguistiche della regione. Occorre tuttavia precisare che la diffusione di semel e delle sue varianti pare, anche all’interno della Toscana, poco uniforme. La ricerca sull’Atlante Lessicale Toscano, le cui inchieste sono state condotte tra il 1974 e il 1986 in 224 località del territorio regionale, ma non a Firenze, non produce che un risultato per semel, 8 per semelle e 6 per semele. Gli informatori hanno parlato di semel nelle province di Arezzo, Firenze, Livorno, Lucca, Pisa e Siena rispondendo alla domanda su come si chiamasse “una forma di pane rotonda”, fornendo talvolta informazioni che collocavano il semel nel passato. Nel caso di Vaglia (Firenze), per esempio, alcuni informatori anziani raccontano che il semel era un tipo di panino che si comprava dal venditore ambulante (il semellaio), mentre le altre forme di pane erano fatte in casa.

Uno sguardo al Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia ci permette di notare come a impiegare il termine, nella storia letteraria italiana, siano stati soprattutto scrittori e intellettuali di area fiorentina, in epoca ottocentesca e primo-novecentesca. Per come questi scrittori ce lo raccontano, il semel doveva essere un cibo prelibato e gratificante, e l’atto di inzupparlo a colazione viene descritta come un’abitudine, una pratica nota e condivisa. Riportiamo alcuni esempi:

Era usata inzuppare ogni mattina nel suo caffellatte un di quei panini di fior di farina che da noi in Toscana son detti con voce tedesca ‘semelli’. (Ardengo Soffici, Lemmonio Boreo, Firenze, 1921, p. 20)

Docile, Adelmo inzuppò il suo solito semel imburrato. Poi rimase lì, con gli occhi fissi sulla tazza vuota. (Bruno Cicognani, La mensa di Lazzaro, Firenze 1946, p. 920)

Sedeva davanti all’esile tavolino della colazione nell’atto di divorarsi l’ultimo semel imburrato sul quale era venuto stendendo pazientemente uno spesso velo di marmellata. (Alessandro Bonsanti, La buca di San Colombano, Milano, 1964, p. 190)

In questa antologia di toscani la sola eccezione è rappresentata da Giacinto Carena, che fu naturalista e linguista piemontese (Carmagnola, 1778-Torino, 1859) e che tuttavia condusse a Firenze le inchieste per la compilazione del suo Prontuario, dal cui primo volume (1846) ricaviamo la prima attestazione lessicografica della nostra parola: “Sèmele: panino in forma tonda o ovale” (Giacinto Carena, Prontuario di vocaboli attenenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche e altre di uso comune, per saggio di un Vocabolario metodico della lingua italiana. Parte prima. Vocabolario domestico, Torino, Stabilimento tip. di Alessandro Fontana, 1846). Nella citazione riportata dal GDLI, datata 1868 (anno della pubblicazione dell’edizione complessiva del Prontuario, intitolata Novo vocabolario italiano d’arti e mestieri), abbiamo una descrizione lievemente più articolata:

‘Semele’, al plurale ‘semelli’: pagnottina tonda e bistonda, di pane soffice, bianchissima, fatta di fior di farina”. (Giacinto Carena, Novo vocabolario italiano d’arti e mestieri, a cura di E. Sergent, Milano 1868, p. 337)

Di poco precedente, il Tommaseo-Bellini (1861) – dizionario compilato sul modello della Quarta impressione di quello degli Accademici della Crusca, dunque con particolare attenzione al lessico toscano – riporta a lemma la forma semelle, ma ne chiarisce il significato solo all’interno della voce semellaio, fornendo anche alcune indicazioni riguardo alla sua pronuncia (anche la forma semel compare nel Dizionario di Tommaseo, ma soltanto nelle Giunte e correzioni in appendice alle voci e corredata unicamente dell’asciutto rimando: ‘lo stesso che Sémelle):

Semellaio: s. m. Chi vende semelli. [...] Il semelle, voce esotica, è un panino tondo di pasta più fine, da inzuppare per lo più. La desin. in conson. è addolcita da una vocale muta; nè la doppia L toglie il suono sdrucciolo, dicendosi Sèmelle, come il pop. dice Sànctus. Il plur. fa Semelli sdrucciolo. [G.M.] Zannon. Scherz. com. Tre pansèmelli. Talvolta il volgo dice Pansèmelle, tutt’una voce, per Sèmelle.

Anche semellaio pare aver goduto di una piccola fortuna letteraria: a usarlo, oltre al già citato Soffici, il fiorentino Pratolini, per il quale il termine designa genericamente un fornaio ambulante:

Passava il venditore di pane fresco: «Semellaio!» gridando, con la gerla sotto il braccio. (Vasco Pratolini, Il quartiere, Firenze, 1957 [1a ediz. 1945], p. 15)

Questo fenomeno di estensione semantica per cui il semellaio diventa il fornaio, acquisendo un significato sempre più ampio rispetto all’originario, ci fornisce una – certo vaga – misura della popolarità locale del termine e dell’oggetto che all’epoca gli corrispondeva. La fortuna di semel in area fiorentina è confermata da altri storici repertori lessicali, tutti di portata nazionale ma basati sull’uso toscano degli anni in cui furono compilati: il Novo Vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze di G. B. Giorgini (e altri) e promosso dal ministro Broglio, detto anche Giorgini-Broglio (Firenze, Cellini, 1870) e il Nòvo dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (Milano, Treves, 1894), in cui sono presenti sia semel/semelle che semellaio, e il Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (Firenze, Tip. Cenniniana, 1875), che lemmatizza solo semel/semelle. Riportiamo, per esempio, le voci del Giorgini-Broglio:

SEMEL e SEMELLE: specie di pane finissimo, manipolato col burro, che si suole intingere nel caffè e latte. La mattina inzuppa due semelli nel caffè.

SEMELLAIO: s.m. Colui che vende i semelli. Ecco il semellaio, prendi qualche semel per colazione.

È in un testo letterario che però semel ricorre per la prima volta: si tratta, non a caso, di una commedia in vernacolo di Giovan Battista Zannoni, archeologo e letterato (Firenze, 1774-1832), che fu accademico segretario della Crusca e si dedicò, fra le altre cose, anche allo studio del fiorentino popolare. Il testo, intitolato La Crezia rincivilita, è pubblicato nel 1825 all’interno del Saggio di scherzi comici, la cui prima edizione (che però non contiene la commedia che ci interessa) è del 1819. Segnaliamo, a questo proposito, che l’indicazione di Zingarelli 2020 e dell’Etimologico per cui la prima attestazione del termine sarebbe da far risalire al 1822 è probabilmente errata: la forma semel ricorre sì in un testo dello Zannoni di quell’anno (Io Baptistae Zannonii r. antiquatum interpretis in Museo Florentino Inscriptionum. Liber alter, Poligrafia Fiesolana, 1822), ma come parola latina. Nella Crezia rincivilita, semel/semelle compare insieme al meno fortunato sinonimo pansemelle. Chiamato con nomi diversi, ma ben conosciuto dai personaggi, il nostro panino assume, tra le righe scherzose della commedia, una doppia immagine: quella di cibo raffinato, alla moda, per i ricchi, ma anche quella di preparato in fin dei conti semplice, fatto di acqua, farina e poco più. Per questo un semel rischia, in questo contesto, di diventare occasione d’urto tra una padrona e un servo, reo sospetto di non comprenderne la bontà:

Giuseppe: Comanda altro illustrissima.
Crezia: Pigliache anco tre pansemell; ma freschi, sapeche.
Giuseppe: Lasci far a me.
Crezia: Se la cioccolata la un fa a ’ntignello tutto, gli è un pane ch’è una galanteria anch’a mangiallo solo. Un ti piace a te Saverio?
Saverio: Senti, gli è un certo pane sarcigno e sciliato, che quand’i’ lo mangio, e’ mi a tra la camicia e la gonnella. E po’ che mangegli cor un semel? E vol esse ppan casalingo.
Giuseppe: Di mio genio l’illustrissimo signor Padrone. Pan casalingo, e non semel.
Crezia: Gli è un bene che un vi piaccia a voi ippansemel; che senza proggiudicavvi vo’ siech’ un poer omo. Ma se un piacess’ a lui, la sarebbe una vergogna.
Giuseppe: Non saprei.
Crezia: Giuseppo, badache, i’ son bon e cara; ma un vogli’ esseccontraddetta [sic]. E’ tocca a vo’ a chetavvi.
Giuseppe: Perdoni Illustrissima. Non ho voluto già mancare di subordinazione. Ho errato senza avvedermene. Si assicuri che non ci cadrò più (bisogna acquistare la sua fiducia).
(Giovan Battista Zannoni, La Crezia rincivilita, Firenze, 1825, in Id., Saggio di scherzi comici, Stamperia del Giglio, Firenze, 1825, p. 154-155)

Come nota il nostro lettore e come è facile apprendere grazie alle unanimi indicazioni fornite dai dizionari e dai contesti letterari, semel è un prestito arrivato all’italiano dal tedesco Semmel, a sua volta erede del latino medievale simila ‘panino’ e del latino classico simĭla ‘semola’ (cfr., per esempio, l’Etimologico). Sappiamo che i forestierismi penetrano in un sistema linguistico nei momenti di intensa influenza culturale, economica, politica di un popolo su un altro: è quanto è dovuto accadere per semel nella prima metà dell’Ottocento, periodo in cui se ne rintracciano le prime attestazioni. Il semel si è dunque probabilmente diffuso nel Granducato di Toscana durante la presenza dei Lorena, portandosi dietro, in forma lievemente adattata, il nome con cui era chiamato in patria. Quello che oggi in Germania si chiama Semmel è effettivamente un “cugino” del panino toscano: un tipo di pane bianco di piccola taglia, con la crosta croccante e la mollica morbida. Molto simile a quella di semel è la storia di un altro nome di pane simile a un cornetto, chifel, anch’esso giunto all’italiano nel periodo della presenza asburgica (secondo alcuni, tra cui Bruno Migliorini, addirittura a partire dal Settecento, cfr. Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, p. 581) come eredità del tedesco Kipfel (GDLI, DELI, l’Etimologico). Registrato in varie forme dalla lessicografia italiana (chifel, kipfel, kiffel, chiffero), il nome chifel appare tuttavia molto più conosciuto e diffuso di semel, quasi esclusivamente legato alla tradizione toscana. Popolare soprattutto nel nord dell’Italia, dove è usato per nominare, a seconda della tradizione, il cornetto e diversi tipi di pane o impasto più o meno dolce, chifel e le sue varianti non sono registrate dai dizionari con la marca di regionalismi, e godono anche in rete di una circolazione significativa (di chifel, della sua storia e dei suoi usi parlano diffusamente Paolo D’Achille e Andrea Viviani in La colazione al bar degli italiani: col cappuccino c'è sempre il cornetto?, in Cecilia Robustelli, Giovanna Frosini, Storia della lingua e storia della cucina. Parola e cibo: due linguaggi per la storia della società italiana. Atti del VI Convegno Internazionale dell’ASLI – Associazione per la Storia della Lingua Italiana [Modena, 20-22 settembre 2007], Firenze, Cesati, 2009, pp. 232-255, a cui rimandiamo chi volesse approfondire).

Al di fuori del territorio toscano, le attestazioni ottocentesche di semel e delle sue varianti sono pochissime. Troviamo, per esempio, un pansemol (var. pansemel, semel) messo a lemma nel Dizionario parmigiano-italiano di Ilario Peschieri (Stamperia Carmignani, Parma, 1841, vol. 2, p. 62), accompagnato dalla vaga definizione di ‘sorta di pane di foggia tedesca’. Significativa è la presenza di semel/semelle nel Dizionario-Vocabolario del dialetto triestino di Ernesto Kosovitz (Tip. Figli di C. Amati, Trieste, 1889), in cui i termini compaiono tra quelli che traducono nella lingua che all’epoca era considerata italiano standard il dialettale semelza). Un sèmel/sémele è presente, infine, nel Vocabolario domestico genovese-italiano di Angelo Paganini (Tip. Gaetano Schenone, Genova, 1857), dove è citato come neologismo diffuso in Toscana sotto una voce dedicata al chiffe (chifel), cui facevamo cenno sopra:

CHIFFEL o CHÍFFARO, Chifel, Chifèllo, (neologismo), Panetto di pasta bianchissima, rattorto alquanto su di sè, ripiegato a foggia di mezza luna, e appuntato alle due estremità. Anche Sèmel o Sémele è voce nuova in Toscana e d’origine straniera, e significa una Pagnottina tonda o bistonda, soffice e fatta di fior di farina.

Considerando la diffusione locale, non stupisce che il motore di ricerca Google, interrogato per semel + panino e semel + farina, restituisca rispettivamente 3.410 e 26.200 risultati. A causa dell’omografia con l’avverbio latino semel ‘una volta, una sola volta’, sia la ricerca per parola singola, sia quella in cui semel è associata a pane (che corrisponde a diverse forme declinate dei sostantivi latini pane, -is ‘pane’, panis, -is ‘pane’ e panus, -i ‘tumore’) non sono praticabili, poiché forniscono risposte troppo “rumorose”. Simili risultati si ottengono cercando semelle + panino (4.730 r.), semelle + pane (5.290), semelle + farina (10), semelle + Firenze (29.500).

Se dal punto di vista quantitativo i dati forniti dalla rete possono sembrare scarni, tuttavia, è sufficiente un’occhiata al tipo di pagine restituite dalle ricerche per comprendere quanto usare semel spesso equivalga, per un parlante toscano e soprattutto fiorentino, a evocare un passato ricco di ricordi. Ma è soprattutto grazie alle molte testimonianze fornite dal Vocabolario del fiorentino contemporaneo, progetto lessicografico basato su interviste condotte a partire dagli anni ’90 presso informatori provenienti da alcuni quartieri di Firenze, che l’esperienza del consumo del semelle si profila più nitida. Innanzitutto il semelle si distingue dalla frusta, che è il pane con cui si fanno i crostini, ma anche da altri panini come il cazzottino, che è tondo e infarinato, e la poppina, che è ancora tonda con una piccola sporgenza centrale; si avvicina, forse al punto che i due nomi sono sinonimi, alla passerina: un panino tondeggiante ma allungato, con due punte ai lati e un solco verticale nel mezzo (la cosiddetta squarcia), soffice e in superficie lucido.

Semelle l’è i’ pane. Semelle. / Pane, L’eran de’ pani piccini così, diviso ’n due. / Pane lustro. Così. / Con un solco. / C’avev’un solco nel mezzo. Er’un semelle. L’era un tondino... però sopra, ’nvece d’èsse bellino, tutto pari tondo, a regola gni davano una botta e diventava... noi la si chiama anche la... la passerina, vero? Noi la si chiamava anche la passerina. Voleva dire fatto come la natura. La passerina per noi l’è la natura... Ecco, c’ha questo... queste due labbra, con questo cosino... questo taglio ni’ mezzo. / Pane buono... fatto con farina zero zero... Non con farina normale. / I’ semelle... perché era lustro. / Pane di lusso!

È un panino tondo… Io stamani so andaho, perché avevo fissato co u(n) mi’ amico, al mercato del San Lorenzo. Al mercato del San Lorenzo ci sono sempre ’ semelli, ma se tu va’ da questi fornai qui [dei dintorni] i’ semelle un c’è più. (R.: è quello tondo con il righino nel mezzo, vero?, con un taglio.) Sì, sì, E poi ci sarebbe, che sarebbe… ora lo posso dire? La passerina. E poi c’è le poppine (R.: le poppine quali sono?) L’è tipo semelle con… ni’ mezzo c(i) ha i’ capezzoli(no) i’… [ride] i’cosino. (R.: e invece la passerina?) La passerina l’è… son due pezzi (più separati)… mentre i’ semelle è tondo, quadrato, no: squadrato così e ni’ mezzo c’è un pispolino. E’ c’era un fornaio appunto, la chiamava la passerina: Ce l’ho le poppi(ne)… [ride] ho le poppine!

Particolarità che emerge dai racconti e che conferma le impressioni consegnataci dalla letteratura: il semelle era un panino che si usava comprare e non fare in casa; in certi casi, il gesto di comprarlo è descritto come un piccolo sfizio. Il semellaio, che li vendeva, svolgeva un mestiere ambulante; solo per estensione il suo nome è diventato, come si è visto sopra, anche utile a indicare genericamente il mestiere del fornaio.

Un sèmelle! Un li fanno più i semelli! L’eran que’ panini fatti tondi e divisi ni’ mezzo...: Semelli cardi!, passavano (a venderli)!

I’ semellàio prima l’era i’ fornaio. Sìe. I’ fornaio l’era i’ semellaio. Vendea ’ sèmelli. (R.: si diceva?) Porca della miseria. / Eh, ancora si dice. / Si dice ancora. Quarcheduno lo dice ancora: Vai da i’ semellaio a pigliammi du’ semelli. Ora si chiama fornaio, però si chiama(v)a… prima lo chiamàan semellaio.

I’ semelle costava un ventino. Venti centesimi, e addirittura, lo vendeano anche ’ fornai, ma lo vendevano anche questi, io mi ricordo: quand’e’ s’andava alle colonie ’ bimb’a i’ sole’ – i bimbi a i’ sole: i’ fascismo, no?, ci portava d’estate alle Cascine – e ci si trovava lì, là in via Carlo Bini, dalla parte della ferrovia, tutti questi ragazzetti e lì venìa quell’omino con la cesta: e co un ventino... e’ c’era tutta roba da venti centesimi: pasta, la pesche [sic] e c’era anche questi semelle, cosa che io un poteo comprare perché i’ ventino un ce l’aveo...

I semelli si desideravano noi bambini, eppure l’era pan solo. Maa... se la mi’ mamma comprav’un semelle, costava, di più. Chi stava bene, ’sto semelle, l’apriva... / L’er’i’ pane bianco, lo si chiamava noi. Perché non era fatto con farina con molta semola [per semola qui si intende la crusca, ndr], ’nsomma. Era fatto con farina zero zero... // [...] C’era qualche bambina, chee… che conoscevo e che la stava a scuola, la mangiava i’ pane normale di filone, co un pezzetto di pane di semelle, di quello lucido, sa? Un morso a questo, un morso a quest’altro. / Perché i’ pane a semelle l’er’un pane, più da… gente stava bene. Il famoso pane a semelle, la lo pò scrivere. Era i’ pane di lusso.

Come evidenziava comicamente Zannoni, il semelle era un panino sì prelibato, persino di lusso, ma era pur sempre pane: la stessa ironica consapevolezza si è mantenuta nell’espressione idiomatica mangiare il pane col semelle, che si diceva di chi si atteggiava a raffinato, nonostante avesse la “miseria addosso”.

Te sta zitto, gli si dice! Ma icché vòi che dica? Gl’ha mangiato i’ pane co i’ sèmelle! Come pigliare in giro i’ sestese [abitante di Sesto Fiorentino]: si dice eh, l’ha mangiato i’ pane co i’ sèmelle! – dice – l’ha mangiato i’ pane co i’ sèmelle! Come a dire: un è bono a nulla! Uno che gli era addietro si diceva: Mangia i’ semelle co i’ pane, perché il semelle l’era pane da signori. // A Castello c’era questa vecchina, la passava con i’ semellino, co i’ semelle, no? – lo conosce i’ semelle? È un panino così... – passava e diceva: Piagnete, piagnete, ragazzi, bambini, che la mamma la vi compra, vi compra i’ panin, i’ semellino, e vu lo mangiahe co i’ pane! // L’è come la cosa, l’è come l’omelette con la frittata!

Ma il semelle, come ci chiede il nostro lettore, oggi cos’è? Esiste ancora? L’uso del termine è ancora vivo? La domanda è la stessa che gli intervistatori del Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo hanno posto agli informatori: “ma se io vado da un fornaio e dico semelle...” mi capiscono ancora?

Secondo... se la va a Firenze dove c’è Semellino, sì. [...] C’è uno che si chiama Semellino! [...] lo capiscano ancora, se è un vecchio fornaio lo capisce. // Proprio, i’ vero fiorentino dice semelle!

Si capisce che, qualunque siano state le vicissitudini culinarie che lo hanno traghettato fino a oggi, ancora a Firenze la tradizione del semelle è vitale. Se anche le mode gastronomiche attuali non incoraggiano più il consumo del semel a colazione, in ogni caso non ne hanno ostacolato la metamorfosi in cibo da asporto. Lo conferma il lettore che ci fa la domanda da cui siamo partiti, che identifica il semel con il classico panino da lampredotto, anch’esso di dimensioni contenute, forma tondeggiante e dotato di squarcia; e lo conferma anche la nascita di esercizi commerciali che si richiamano, col loro nome, proprio a questa tradizione. “Il vero fiorentino dice semelle”: e, aggiungiamo, quello stesso fiorentino lo mangia ancora!

Simona Cresti

13 novembre 2020


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