Ci sono arrivate varie domande che chiedono se si deve dire sacrestia o sagrestia, sacrato o sagrato, sacrificato o sagrificato, sacrificio o sagrificio.
Le domande dei nostri lettori pongono un problema di grammatica storica (per il quale è d’obbligo il rinvio a Rohlfs 1966, §§ 180 e 260). Il nesso latino cr, fonologicamente /kr/, nell’italiano di base toscana si è di norma conservato – sia in parole di tradizione diretta, rimaste sempre vive nel parlato, sia in parole dotte o semidotte – tanto in posizione iniziale (credo, cresco, crivello, croce, crudo), quanto all’interno di parola (sacro, lacrima).
La conservazione della sorda è ancora più estesa nei dialetti centromeridionali (a prescindere dalla possibile resa fonetica “lenita” della /k/, molto diffusa a Roma), mentre nei dialetti settentrionali la velare, in questo caso, come pure quando è in posizione intervocalica, viene sistematicamente sonorizzata in /ɡ/. Alcuni esiti sonori si sono avuti anche in Toscana e sono quindi passati alla lingua letteraria e poi allo standard: abbiamo così grasso (< lat. crassum; anche crasso è in uso, ma con un senso un po’ diverso: crasse risate), grotta (< lat. cruptam, a sua volta dal gr. krypta, da cui l’allotropo dotto cripta), magro (< lat. macrum), segreto (dal lat. secretum), da cui i derivati segretario, segreteria, ecc. Si sono anche formati allotropi tuttora esistenti come, oltre a quelli già citati, acre (latinismo, dal lat. acrem, accusativo di acer, acris) e agro (< lat. tardo acrum, dallo stesso aggettivo, passato dalla seconda alla prima classe) o cancrena e gangrena (in cui però l’etimo di base è con la sonora).
Per molti secoli la lingua letteraria, specie poetica, ha oscillato tra le forme con la sorda, supportate dal latino, e quelle con la sonora, sostenute dalla tradizione toscana. Luca Serianni, nel suo fondamentale volume La lingua poetica italiana. Grammatica e testi (Roma, Carocci, 2009) segnala, tra le altre cose, che “il tipo lagrima […] è esclusivo nel canzoniere petrarchesco”, e che invece “lacrima, -e non ha concorrenti […] in Leopardi”, tanto che lo studioso ritiene “prudente astenersi dall’assegnare una delle due forme al patrimonio tipico del codice poetico” (p. 84). Lo stesso Serianni ricorda (pp. 85-87) la fortuna nella lingua poetica di forme come macro (diffusa ancora nell’Ottocento e poi in Govoni e Pasolini), secreto (che arriva fino a Saba e Montale) e sagro, frequente in poesia (dopo un esempio petrarchesco di sagra) tra Quattrocento e Settecento. Possiamo aggiungere che sagrifizio è forma usatissima nel melodramma (“Conosca il sagrifizio / ch’io consumai d’amor…” raccomanda Violetta a Germont nel secondo atto della Traviata di Verdi, con libretto di Francesco Maria Piave) e che la bellissima romanza di Nemorino dell’Elisir d’amore di Donizetti (libretto di Felice Romani) inizia con il verso “Una furtiva lagrima”.
Per quanto riguarda l’italiano contemporaneo (e rispondiamo così ai nostri lettori), le varianti latineggianti con la sorda hanno in genere prevalso (come dimostrano le scelte della lessicografia): le forme oggi normali sono sacro, sacrificio, sacramento. Le varianti con la sonora sono invece maggioritarie in sagrestano (diversamente che nell’allotropo sacrista), sagrestia (ma le forme con la sorda non si possono certo considerare scorrette) e anche in sagrato, che indica “lo spazio consacrato davanti all’ingresso di una chiesa, in genere circoscritto da cancellate, gradinate, balaustre ecc., che un tempo era destinato alla sepoltura dei fedeli, spec. dei sacerdoti o dei religiosi addetti all’ufficiatura della chiesa” (Devoto-Oli 2022); possiamo ricordare che Alessandro Manzoni nel Fermo e Lucia aveva dato al personaggio che nei Promessi Sposi è detto l’Innominato il nome di Conte del sagrato, motivato dal fatto che aveva compiuto un delitto persino sul sagrato di una chiesa. La sonora è ormai di fatto esclusiva in sagra, per indicare ‘la festa per il santo patrono’ e anche ‘la fiera dedicata a un prodotto tipico’. Quanto a lacrima, anche qui la sorda è oggi la forma standard, tanto più nel composto strappalacrime (datato 1964 nei vari dizionari), di cui si trovano solo rarissime attestazioni con la sonora.
Abbiamo citato Luca Serianni e abbiamo concluso parlando di lacrime. Tante ne hanno versate in questi giorni, affrante per la sua improvvisa scomparsa, le numerosissime persone che l’hanno avuto per maestro e/o per amico, e tante ancora se ne verseranno. La morte di Luca Serianni lascia un grande vuoto nella cultura italiana e anche qui in Accademia e nella nostra Consulenza, di cui è stato un assiduo collaboratore (soprattutto sulle pagine della “Crusca per voi”). A lui vogliamo dedicare, tutti noi della redazione, questa risposta. Lo facciamo con grande tristezza, tanto rimpianto e con infinita gratitudine per quanto ci ha insegnato, nella certezza che la sua lezione resterà sempre viva e operante e che la sua figura di studioso e di uomo non verrà mai dimenticata.
Paolo D'Achille
25 luglio 2022
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