Una lettrice ci pone alcune domande a proposito del termine incrocicchiamento usato da Cesare Beccaria: qual è la sua origine? Attualmente può essere considerato un cultismo oppure si tratta di un termine diventato desueto?
Nel trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria la voce incrocicchiamento compare in questo denso brano che risuona, come peraltro l’intero testo, di echi dai maggiori pensatori illuministi europei:
Non solamente è interesse comune che non si commettano delitti, ma che siano più rari a proporzione del male che arrecano alla società. Dunque più forti debbono essere gli ostacoli che risospingono gli uomini dai delitti a misura che sono contrari al ben pubblico, ed a misura delle spinte che gli portano ai delitti. Dunque vi deve essere una proporzione fra i delitti e le pene.
È impossibile di prevenire tutti i disordini nell’universal combattimento delle passioni umane. Essi crescono in ragione composta della popolazione e dell’incrocicchiamento degl’interessi particolari che non è possibile dirigere geometricamente alla pubblica utilità. (Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Gianni Francioni, in Edizione Nazionale delle opere di Cesare Beccaria diretta da Luigi Firpo, vol. I, Milano, Mediobanca, 1984, pp. 40 e sg.)
La parola sta a indicare ‘intersecazione, incrocio’ ed è di origine rinascimentale.
Nel Vocabolario della Crusca la voce figura nella IV e nella V edizione dove viene proposto come attestazione più antica un passo dalla Descrizione dell’entrata della serenissima reina Giovanna d’Austria… (1566) di Domenico Mellini: “Nel quadro che era nel lato del secondo andito, cioè di là dallo incrocicchiamento che facevano le due vie sotto l’arco”.
Il suo uso nei secoli successivi si estende sopra ambiti variamente specialistici, come è testimoniato da Guarino Guarini a Lorenzo Bellini. Il Tommaseo-Bellini non si discosta da questa sorta di documentazione.
L’accezione assunta in Beccaria è di tipo figurato (GDLI) e si colloca pienamente in linea con la tendenza dell’autore lombardo a secondare il gusto del tempo per il tecnicismo in funzione espressiva. L’autore del “libriccino fortunato” (così Manzoni) accolto trionfalmente dai philosophes francesi e proclamato “ami de l’humanité”, si fece conoscere, sul piano dello stile, anche per le sue famose massime e metafore matematiche applicate alle scienze sociali.
Il GDLI classifica incrocicchiamento come “disusato”; lo seguono su questa strada il GRADIT (“obsoleto”) e i dizionari dell’uso che lo considerano “non comune”: Devoto-Oli, Gabrielli, Garzanti, Sabatini-Coletti, Vocabolario Treccani online o “letterario” (Zingarelli).
Conferme in tal senso provengono dai media attraverso gli archivi del “Corriere della Sera” e della “Repubblica”, che non offrono riscontro alcuno; identico il panorama presentato dai lessici che ospita la Stazione lessicografica dell’Accademia della Crusca (per l’italiano scritto, LIS, l’italiano radiofonico, LIR e quello televisivo LIT).
Tornando ai Delitti di Beccaria, per cercare di inquadrarne la testimonianza, andrà detto che in un luogo precedente compare anche il verbo incrocicchiare, usato nella forma pronominale (‘incrociarsi, intricarsi’):
La moltiplicazione del genere umano, piccola per se stessa, ma di troppo superiore ai mezzi che la sterile ed abbandonata natura offriva per soddisfare ai bisogni che sempre più s’incrocicchiavano tra di loro, riunì i primi selvaggi. (Cesare Beccaria, op. cit., p. 30)
A proposito di tale occorrenza Gennaro Barbarisi, raffinatissimo studioso degli illuministi milanesi, formula un’ipotesi sul valore della voce stessa nell’àmbito del trattato, legato alla ricerca di modi espressivi nuovi, comunicativi e moderni, all’interno di una «scrittura ancora in formazione», che include «l’impiego di termini comuni, talvolta anche eccessivamente familiari, caricati di significati inusuali (“Queste leggi, che sono uno scolo de’ secoli più barbari”, “soddisfare ai bisogni che sempre più s’incrocicchiavano tra di loro”, “Un ardito impostore … ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato”)… » (Gennaro Barbarisi, Lo stile della giustizia, in Cesare Beccaria tra Milano e l’Europa, Milano, Cariplo, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 120-137: p. 129).
A conferma del popolarismo di incrocicchiare e famiglia sta la correzione manzoniana al capitolo VII dei Promessi sposi dove – dentro la descrizione del bravo a braccia conserte sulla porta dell’osteria nella notte degli imbrogli – incrocicchiate della Ventisettana passa a incrociate nell’edizione definitiva; nonché i concordi giudizi del Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (Firenze, Tip. Cenniniana, 1874) (“incrocicchiare […] lo stesso ma più popolare di incrociare”) e Giorgini-Broglio (“lo stesso e più famil. di incrociare”).
Gabriella Cartago
13 dicembre 2024
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