Insalata di... polpo, pòlipo o piovra?

Sono molti i nostri lettori, Romina Ravera da Gamalero, Floridea da Gallarate, Antonio Soccol da Milano, Paolo Quaranta e Rosanna Fontana da Roma, che chiedono se il mollusco che risulta così gustoso in insalata debba chiamarsi polpo o polipo; qualcuno propone anche come terza possibilità piovra.

Risposta

Insalata di... polpo, pòlipo o piovra?

 

La terminologia gastronomica attuale, stando alle attestazioni rintracciabili in Internet, indica il modo più diffuso di cucinare l'Octopus vulgaris Cuvier come insalata di polpo (40.500 occorrenze su Google al momento della ricerca 16 settembre u.s.), insalata di polipo (28.200) e insalata di piovra (61.500), mostrando come più frequente proprio la voce che non risulta registrata in questo senso da dizionari ricchi e attenti all'uso come il Vocabolario Treccani e il GRADIT. Oltre tutto si tratta anche del termine "ultimo arrivato", visto che, come scriveva Bruno Migliorini nel saggio Storia della lingua e storia della cultura (in Lingua e cultura, Roma, Tumminelli 1948), "'piovra' è un neologismo entrato nell'uso comune grazie all'immensa fortuna che ebbero i 'Lavoratori del mare' di Victor Hugo (1866); 'pieuvre' è la forma dialettale normanna di 'polipus' da lui appresa durante l'esilio di Guernesey" (p. 20).

 

Il successo di piovra mostrato dalla rete appare ancor più strano se si considera che, soprattutto negli ultimi anni, la voce, già usata nel senso figurato di "Persona avida e priva di scrupoli, che vive sfruttando egoisticamente e spietatamente un'altra o altre persone, fino a distruggerne le risorse e le energie, e a provocarne talvolta la rovina [...]; anche con riferimento a situazioni sociali: il Nord concretamente era una 'piovra' che si arricchiva alle spese del Sud (Gramsci)", è divenuta "una metafora corrente con cui è indicata soprattutto la mafia, per influenza del titolo («La piovra») di un ciclo di film televisivi in più puntate, iniziato con quello del regista D. Damiani, mandato in onda nel marzo 1984" (GDLI). Inoltre la voce è da tempo presente nel nostro immaginario ad indicare un "polpo di dimensioni gigantesche che, secondo leggende marinare aggredirebbe anche le imbarcazioni affondandole con i lunghissimi e potenti tentacoli" (basti ricordare Ventimila leghe sotto i mari di Verne o, per le generazioni più giovani, la trasposizione animata de La sirenetta - The little Mermaid, film del 1989 per la Disney). E non ci sembra di aiuto che il mostro leggendario si sia trasformato, in seguito a ritrovamenti avvenuti a partire dal 1987, in qualcosa che assomiglia molto a una seppia o totano giganteschi, ovvero in un "[individuo appartenente] ai Cefalopodi Decapodi delle famiglie Architeutidi e Ommatostrefidi, di cui esistono esemplari lunghi fino a 20 m." (GDLI). Comunque l'accezione di "grosso polpo" è sporadicamente presente anche in letteratura, almeno a partire dai primi decenni del Novecento, visto che lo stesso GDLI riporta testimonianze di Gozzano, Bacchelli e Cassola.

 

C'è da chiedersi il perché di questa rilevante diffusione di un termine relativamente recente, usato per lo più in senso figurato (basti pensare al linguaggio giornalistico), quando la lingua già disponeva di due termini legittimati dalla lessicografia e dalla tradizione letteraria.
In principio era solo polpo o meglio pesce polpo (secondo il latino piscis polypus di Plauto, Ennio, Ovidio e Plinio il Vecchio), almeno secondo l'attestazione della prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca che riporta una citazione dalle trecentesche Prediche di varj tempi di Giordano da Rivalto ("I pesci immondi son quegli, che non hanno scaglie, come il pesce polpo, la calamaia, e molti altri"), alla quale, dalla quarta edizione, si affiancano citazioni per polpo dal Girone il Cortese di Luigi Alamanni e dalle Osservazioni intorno agli Animali viventi di Francesco Redi.

 

La voce polipo è registrata solo a partire dalla terza edizione (1691) come "Malattia, che viene per lo più dentro 'l naso". Il motivo per cui la si denominasse così lo spiega Marino Garzoni ne L'arte di ben conoscere, e distinguere le qualità de' cavalli, II 12 (Venezia 1692): "Il polipo è una carne molle che si genera nelle nari e si fa grande contro l'ordine di natura per abbondanza d'umori che vi concorrono o per ulceri [sic] che non siano ben curate, che hanno molti piedi a guisa d'animale chiamato polipo". La voce in riferimento al polipo del naso era del resto un diretto continuatore del latino, come dimostra l'immagine che Orazio traccia della generosa miopia dell'amore nel primo libro dei Sermones (Libro I. Sat. 3 vv. 34-40), citata anche nelle Epistolae familiares di Petrarca (VII.14) e giunta a noi nella traduzione giovanile di Manzoni: "Or vengo a ciò che de l'amante al guardo / sfugge il difetto de l'amata, o piace, / siccome d'Agna il polipo a Balbino" (Poesie giovanili, rifiutate, inedite). I versi, divenuti nel corso dei secoli, quasi un modo proverbiale equivalente al latino suum cuique pulchrum venivano così spiegati negli Adagia Optimorum Utriusque Linguae Scriptorum di Paolo Manuzio (edizione 1603): "Nam Balbino stulto amanti, etiam polypus Agnae amicae, suave quiddam olere videbatur. Est autem polypus vitium narium grave olentium, itidem ut hircus alarum" ['infatti allo stolto amante Balbino anche il polipo dell'amica Agna pareva emanare un profumo quasi soave; eppure il polipo è un'affezione delle narici dall'odore nauseabondo, simile alla puzza di caprone delle ascelle']. Nella lessicografia successiva la voce passerà a indicare un tumore benigno che può essere localizzato in varie parti del corpo. In nessuna delle edizioni del Vocabolario, polipo appare in riferimento a molluschi o simili: è possibile che gli Accademici della Crusca di fronte ad una sovrapposizione di significati già propria del latino, e a un doppio esito in italiano (polpo di tradizione popolare e polipo di tradizione dotta) avessero optato per una sistematizzazione, assegnando a polpo il significato relativo all'animale e limitando l'uso di polipo alla terminologia medica.

 

Le cose però non sembrano essere andate secondo gli auspici degli Accademici e (pesce) polipo che, secondo il GDLI era già attestato nel XIV secolo in Arrigo Simintendi (Supplemento a Le metamorfosi d'Ovidio, volgarizzate), nella tradizione letteraria continua a essere usato, accanto a polpo, per indicare l'Octopus vulgaris Cuvier. Disponiamo di molte testimonianze per entrambe le forme, testimonianze però che non sembrano fornire alcuna indicazione sicura a proposito di una diversa distribuzione dell'una o dell'altra in rapporto alla origine geografica degli autori, tanto più che a volte coesistono in uno stesso autore (in Tasso e in Leopardi per esempio); le uniche deduzioni possibili sono che polpo risulta sempre la voce preferita dai toscani ed anche dai napoletani, almeno fino al XIX secolo, e che polipo appare più frequentemente usato a partire dal XIX secolo in poi.

 

Merita forse un cenno il motivo del "successo" di questo animale nelle opere dei nostri autori: per quanto possa sembrare strano alla sensibilità contemporanea, soprattutto in epoca barocca, esso è stato amato per alcune sue caratteristiche particolari, reali (l'attaccarsi tenacemente alla preda o allo scoglio, il mimetismo, la mostruosità) o leggendarie; si legga per esempio quanto scrive Torquato Tasso nel dialogo Il Conte overo delle Imprese: "Bella fu parimente l'altra [impresa] del polpo così detto da gli otto suoi piedi, co' quali rappresenta l'otto potenzie de l'anima, e di lei è simbolo, come riferisce Plutarco nel libro "De placitis philosophorum": e del polpo scrivono molte altre cose Aristotele e Ateneo, ch'egli giovi a' piaceri amorosi, che fuggendo muti il colore e si assomigli a' luoghi ne' quali s'asconde, che rifugga ne le caverne sparse di sale, che non abbia l'inchiostro negro come la seppia, ma rosso in un fiore quasi pappavero, che si nutrisca de la carne de le picciole conchiglie, cavando l'ostriche da le sue caverne, che viva fra le foglie de' pini e che per soverchia fame roda se stesso; [...] scrive Oppiano nel quarto de' Pesci ch'egli, innamorato di gente straniera, è portato in terra da l'amore; s'avviene che ne le rive del mare frondeggi qualche albero d'oliva, s'avvolge al tronco e a rami de la felice pianta co' suoi quasi capelli, che sono detti cerri da' Latini".

 

Tornando al confronto tra polipo e polpo, sarà opportuno considerare anche la situazione odierna a livello regionale, o meglio dialettale, il cui panorama completo ci viene offerto dal sito ufficiale della Federcoopesca - Federazione Nazionale Cooperative della Pesca - organizzazione della Confcooperative per il settore della pesca e dell'acquacoltura che associa cooperative di produzione, di ricerca, di trasformazione e di commercializzazione. Nel sito, oltre alle notizie sulle abitudini, la riproduzione, le aree di diffusione le metodologie di pesca più diffuse e le reti di commercializzazione dell'Octopus vulgaris Cuvier, si forniscono i nomi dialettali per tutte le regioni costiere: le forme riportate sono tutte riconducibili a polpo, mentre, come era da attendersi, piovra non è presente. È probabile che, nella percezione dei parlanti, quando la comunicazione si colloca a livello di lingua, il termine della tradizione, polpo, appaia come una "storpiatura" dell'altro, polipo, presente sicuramente nella competenza mutuata da esperienze scolastiche comuni, che viene così a mostrarsi come la scelta "più elegante"; tanto più che, a partire dal XVIII secolo, la voce ha acquisito una ulteriore accezione nella terminologia scientifica, ovvero "ciascun individuo degli animali dell'ordine Cnidari che (anche solo in un determinato stadio dello sviluppo) secernono un esoscheletro calcareo [...] può vivere isolato (come l'idra e l'attinia) o in colonie (come i coralli e le madrepore)", che lo riconduce all'ambito della fauna marina. D'altra parte però è anche probabile che non appaia tanto tranquillizzante mangiare in insalata una manifestazione, ancorché benigna, di una delle malattie più temute dell'ultimo secolo. Può darsi che piovra, per quanto gravato dal suo valore di animale leggendario simile sì all'Octopus vulgaris, ma enormemente più grande e pericoloso (insomma non certo "da insalata"), e da quello ancor più ingombrante di 'organizzazione criminale', sia servito a toglierci dall'imbarazzo, offrendo una possibilità di fuga da una scelta non facile.

 

Dal momento però che polpo, voce che abbiamo visto confortata con continuità dalla tradizione lessicografica, dall'uso costante in letteratura, e che oltre tutto ha dalla sua l'universale diffusione in tutti i dialetti della penisola, è anche la scelta degli addetti alla pesca e alla commercializzazione del prodotto, nonché nella legislazione inerente agli stessi settori (all'interno dei testi presenti nel sito della Federcoopesca e nelle informative e nella normativa visibili nel sito del Ministero delle politiche agricole e forestali è l'unica forma usata), ci sembra, per una volta, facile dare una indicazione univoca per tutti i livelli d'uso e per tutte le aree della penisola: mangiamoci con soddisfazione una gustosa insalata di polpo.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

25 settembre 2009


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