Sono pervenute diverse domande da parte di utenti che chiedono chiarimenti riguardanti la correttezza del comparativo di maggioranza dell’avverbio poco: sono accettabili espressioni quali più poco e più poca?
Oggi ho lavorato più poco degli altri (…o meno degli altri?)
Per rispondere a queste domande occorre anzitutto precisare che poco può essere usato come aggettivo e pronome indefinito (ho poco tempo, pochi lo sanno), come avverbio (ho mangiato poco) e talvolta come nome (vivo del poco che guadagno).
L’avverbio ha la funzione di precisare, modificare o determinare il significato del verbo (o degli altri elementi a cui si riferisce). In qualità di avverbio, poco esprime una quantità indefinita, cioè non misurata con esattezza. Come gli aggettivi, anche gli avverbi possono formare il grado comparativo e superlativo. Normalmente per formare il comparativo di maggioranza si premette più all’avverbio (o all’aggettivo); per formare il superlativo assoluto si premette un avverbio (molto, tanto, assai) o si aggiunge il suffisso ‑issimo. Ci sono però anche alcuni comparativi e superlativi “irregolari”: per grande maggiore e massimo, per buono migliore e ottimo e per il corrispondente avverbio bene il comparativo meglio, ecc. L’avverbio poco ha il comparativo irregolare meno (usato anche, come invariabile, per l’aggettivo) e il superlativo regolare pochissimo: “è rimasto meno pane di quello che serve per tutti i commensali”; “Sara ha parlato meno di Luigi perché il tempo per il dibattito era quasi finito”; “oggi c’era meno gente di ieri”;“ci siamo fermati pochissimo a Bologna prima di proseguire il viaggio”.
Tuttavia il dubbio sollevato dai lettori trova fondamento sia in alcune considerazioni relative al sistema della lingua italiana, sia in alcune, sebbene rare, attestazioni letterarie.
Il Vocabolario Treccani puntualizza che in italiano è possibile esprimere il superlativo assoluto di poco, oltre che con la forma organica pochissimo, anche con alcune locuzioni quali molto poco, assai poco, troppo poco; alternative molto diffuse sia nel parlato sia nello scritto. Per analogia con queste è possibile che si sia formato il comparativo con il modificatore più.
È possibile trovare non solo nell’uso parlato, ma anche negli scritti letterari, dalla fine del Quattrocento alla fine del Novecento, delle attestazioni, seppur discontinue, di più poco e più pochi con valore avverbiale: G. Portoveneri, 1494-1502, Memoriale: “in modo di Pisa s’uscia più poco, salvo dalla Porta al Parlascio e le Piaggie”; La Marchesa Colombi, 1882, Il tramonto di un ideale: “al negozio del futuro suocero si fermava più poco”; F.D. Guerazzi, 1888, La vendetta paterna: “in città si fa vedere più poco”; G. Pascoli, 1904, Primi poemetti: “E i cardi son più pochi, ora, e se guardi, / non son più pieni, ch’io non ho più forza”; G. Gozzano, 1903‑05, Poesie sparse: “il cielo si mette in corruccio … si vede più poco turchino”; A. Bevilacqua, 1964, La califfa: “adesso siamo tutti in una barca, e da salvare c’è più poco!”; R. Brignetti, 1971, La spiaggia d’oro: “recalcitri come pochi bambini ormai, sempre meno, sempre più pochi …”. Si registra anche un esempio in cui pochi non svolge la funzione avverbiale, ma quella di pronome: G. Leopardi, 1813, Storia dell’astronomia: “della cui opera, da pochi letta, più pochi ancora ne compresero l’eccellenza” (e si noti qui la presenza di un precedente pochi, che in un certo senso legittima l’anafora).
Come nel caso di più bene (su cui si veda la risposta di Raffaella Setti sulla “Crusca per voi” n. 50), anche l’uso di più poco sembra sconsigliabile: lo standard attuale ammette solo la forma organica meno. La forma più poco sembra appartenere alla lingua parlata, nel registro informale e poco sorvegliato.
Laura Eliseo
6 dicembre 2016
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