Proverbi e locuzioni da mondi lontani: non cavare un ragno dal buco

Alcuni lettori ci chiedono quale sia l’origine del modo di dire non cavare un ragno dal buco che indica l’incapacità di raggiungere l’obiettivo, nonostante gli sforzi. Una lettrice chiede se il modo abbia, o abbia avuto, anche un significato positivo ovvero ‘ottenere lo scopo prefissato’.

Risposta

Il significato dell’espressione non cavare un ragno dal/da un buco è oggi piuttosto chiaro e univoco nella valenza negativa di ‘non riuscire a raggiungere un obiettivo’, ‘fare uno sforzo inutile’, ‘non concludere nulla’, come appare dalla registrazione lessicografica dei dizionari dell’uso. Ma in passato questa locuzione era usata anche in senso più ampio, come testimoniano alcuni importanti vocabolari del XIX secolo: ‘Non saper riuscire a nulla; e di chi per abito è inetto, e di chi in tale o tal caso mal riesce’ (Tommaseo-Bellini Dizionario della lingua italiana, 1861-79), si dice di Chi non riesce a niente anche se si prova a far molto’ (Petrocchi, Nòvo Dizionario universale della lingua italiana, 1884-90), ‘si dice di Chi è lento nell’operare, e non conclude mai nulla’ (Rigutini-Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, 1898); e del XVIII secolo: “Non sapere cavare un ragno d'un buco, o non potere cavare un ragno d’un buco, dicesi proverbialm. di uomo dappoco, di chi abbia pochissima abilità. Lat. haerere in re facilij (IV Crusca, vol.I, 1729, s.v. cavare §. XLIV), “dicesi di Chi per la sua dappocaggine né anche le cose facilissime sappia fare. E’ non sa cavar fuora un ragno da un buco” (Gian Pietro Bergantini, Della volgare elocuzione, 1740).

L’accezione, invece, positiva di ‘ottenere, dopo molta fatica, ciò che si vuole’, sulla quale ci interroga una lettrice, non registrata dai dizionari, e non più presente oggi, trova rara conferma in alcuni testi del passato, in particolare settecenteschi: p. es. Giovanni Antonio Bianchi, Lettere di risposta d’un particolare di Roma ad un amico di Napoli…:Volendo egli, come usa dirsi, cavare il ragno dal buco col dito altrui”; Lettere di sovrani presentate al conclave in morte di Clemente 14, 1779: “Niuno era atto a cavare, come dicesi, un ragno dal buco”.

La consultazione lessicografica attesta dunque con una certa sicurezza il restringimento nel tempo del significato della locuzione. Risulta invece più difficile individuare la sua origine e la ragione di questo accostamento di parole.

La documentazione offerta dai dizionari non ci aiuta molto in tal senso. I dizionari dell’uso dell’italiano contemporaneo la citano nel significato sopra indicato, senza ulteriori dati, come accade generalmente per le locuzioni, che non vengono spiegate nella loro origine. I dizionari storici la documentano a partire dal XVIII secolo, ma offrendone pochi esempi d’autore: la registrano un dizionario trilingue italiano/latino/francese di metà ’700 (Antonini, Dictionnaire italien latin et françois [...], 1760: “Non sapere, o non potere cavare un ragno d’un buco, dicesi d’Uomo dappoco, e di Pochissima abilità”), il già citato Tommaseo-Bellini sia sotto la voce buco, sia sotto cavare, sia sotto ragno (il dizionario mette a lemma ragni), con qualche differenza ma sempre senza esempi d’autore, e con la marca di “familiare”; il Grande dizionario della lingua italiana (GDLI) dà come prima attestazione un esempio dalle leopardiane Operette morali, poi a seguire alcune attestazioni otto-novecentesche.

Tra gli strumenti specifici per la fraseologia, i dizionari dei modi di dire e dei proverbi, il Dizionario dei modi di dire di Ottavio Lurati (Lurati 2001) si limita a riportare, senza ulteriore documentazione, s.v. ragno “Almeno dal Quattrocento di un inetto si spiega che non cava un ragno dal buco”, il Dizionario dei proverbi (Valter Boggione, Lorenzo Massobrio, Utet, 2004) non lo registra, mentre il repertorio Frase fatta capo ha di Giuseppe Pittano (Zanichelli, 1992) richiama opportunamente le case della civiltà contadina, nei cui buchi, ben visibili, i ragni facevano i loro nidi: toglierli di lì era molto facile, e da qui dunque il detto, a indicare cosa che è banale fare. Nessun appiglio documentario o lessicografico trova invece l’ipotesi di collegare il ragno con la parola e il concetto di guadagno: un collegamento presente nell’immaginario popolare, e ancora molto vivo persino nell’ambito commerciale (gioielli a forma di ragno pubblicizzati in rete).

Per i dialetti, la locuzione si trova attestata almeno nell’area veneta a partire dal XVIII secolo.

Anche oggi il suo uso sembra prevalentemente vivo nella lingua parlata. Si tratta dunque, a quanto pare, di una locuzione più familiare e colloquiale che non di tradizione letteraria.

Ma cercare di coglierne il senso e la ragione storico-etimologici è certo stimolante. I proverbi e le locuzioni, che costituiscono un bagaglio di espressività, di vivacità della lingua, offrono quasi sempre l’occasione di conoscere usi del passato o di mondi scomparsi: pensiamo a espressioni come restare al verde, che viene dalle candele che avevano l’ultima parte in basso dipinta di verde proprio per avvisare del loro prossimo esaurimento, menare per il naso, che riporta all’uso di mettere anelli nasali ai tori, menare il can per l’aia, che richiama la trebbiatura sull’aia, e tanti altri. Anche per la nostra locuzione non cavare un ragno dal buco il richiamo ad un mondo lontano dal nostro ci aiuta a capire forse meglio l’accostamento di parole di cui oggi facciamo fatica a cogliere il nesso.

Chiudiamo con uno spunto e una sollecitazione, a tenere viva il più possibile la fraseologia della nostra lingua, un bagaglio lessicale che appare sempre più in disuso specie tra i giovani: un patrimonio che tiene viva l’espressività, e consente spesso di riandare a usi del passato e anche di mostrare la sopravvivenza di legami tra la lingua e i dialetti.

Ilaria Bonomi

7 novembre 2022


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