Alcuni lettori chiedono chiarimenti sull’aggettivo e sostantivo astemio: si può usare nel significato di ‘incapace di digerire bevande alcoliche’? Il suo uso si può estendere anche a chi non fa uso di altri alimenti? Esiste anastemio per indicare il contrario di astemio? Altri chiedono se sia corretto l’uso di astemìa o astemismo come derivati.
L’aggettivo e sostantivo astemio si dice ‘di persona che abitualmente non beve vino o altra bevanda alcolica’ (s.v. astemio, Vocabolario Treccani online). È una parola di origine dotta, un prestito dal latino inserito nel circuito della lingua italiana nel XVII secolo (1631 secondo il DELI, sulla base dell’Ode di Pindaro di Alessandro Adimari), dal lat. abstemius, letteralmente ‘che non beve vino’ composto dal prefisso privativo ab- e da un sostantivo ricostruito *temus o *temum che doveva indicare una bevanda fermentata (l’Etimologico s.v. astemio LEI s.v. abstemius, 1, 189.42; 3, 2786.18). Oggi astemio è registrato nel GRADIT con l’etichetta “alta disponibilità” (AD), che descrive vocaboli relativamente rari nel parlare e nello scrivere, ma ben noti perché legati ad azioni o oggetti del quotidiano quindi particolarmente diffusi anche e soprattutto nella lingua parlata. Il lemma è presente nella lessicografia italiana a partire dalle Giunte alla III impressione del Vocabolario degli accademici della Crusca (1691), con un esempio da un Libro delle segrete cose delle donne che non è un vero testo trecentesco ma un’opera falsificata (cfr. Guglielmo Volpi, Le falsificazioni di Francesco Redi nel Vocabolario della Crusca, “Atti della R. Accademia della Crusca per la lingua d’Italia”, a.a. 1915-1916, 1917, pp. 33-136, pp. 88-90), poi passato anche alla IV impressione settecentesca (cfr. anche TLIO s.v. astemio).
Nelle lingue sorelle francese e spagnolo abbiamo i corrispettivi abstème e abstemio e anche l’inglese ricorre al latinismo abstemious, sebbene si siano diffuse anche altre parole come teetotaler riferibile alla pratica del teetotalism, che promuove l’astinenza dalle bevande alcoliche (movimento nato a Preston nel XIX secolo, cfr. Wikipedia s.v. Teetotalism).
Quanto al significato, nel dizionario ottocentesco di Niccolò Tommaseo, che riprende l’allegazione fittizia del Vocabolario della Crusca ma anche altri esempi, la definizione della voce astemio recita: ‘Che non beve vino, o per naturale ripugnanza, o per abito, o anche per indisposizione morbosa’ trovando dunque in una situazione di salute compromessa una delle cause dell’essere astemio (ma il termine non è mai stato e non è tuttora tecnicismo della medicina). Il Tommaseo registra anche un altro significato, estensivo, con l’esempio “Astemio del vino e del cibo”, quindi non solo limitato all’uso di alcolici. Sotto il significato n. 4 ricorda anche “certe feste pagane”, le Astemie (o Astemìe?) (cfr. Tommaseo-Bellini)
Alcuni lettori ci chiedono se astemio si può usare anche per il rifiuto di altre bevande o cibi. Non ci sono dati in merito. Per completezza citiamo i versi di Girolamo Baruffaldi dove si legge: “Non so come possan fare / a comporre versi e poemi / certi astemi / del tabacco nimicissimi” (cfr. GDLI s.v.), dove però non pare corretto leggere la reggenza “astemi del tabacco”, mentre si tratterebbe più correttamente di un’associazione di lungo corso tra l’uso di alcol e tabacco.
A proposito dei contrari di astemio, tra quelli censiti in Sinonimi e contrari di Treccani riscontriamo una connotazione negativa: alcolizzato, avvinazzato, beone, (non com.) sbevazzatore, ubriacone, mentre il termine anastemio proposto da una delle nostre lettrici è raramente attestato e sempre in contesti ironici, come in questo caso estrapolato da un sito internet (www.sfoghiamoci.com):
Io sono anastemio... ...e mi sa che non c’è cura :D. Ovviamente scherzo; per chi può bere un consiglio solo: “bevi poco ma bevi bene”.
Sempre da usare in senso ironico è il termine enofobo ‘chi ha paura del vino’. Se chi beve è apostrofato con epiteti non proprio edificanti, c’è da dire che anche gli astemi non godono di molte simpatie, come emerge dalla gran parte dei testi, anche online, in cui troviamo citato il vocabolo, tranne in quei casi in cui si tratta l’astemio, e anche l’astemìa, come una condizione legata a motivi di salute.
Per quanto riguarda il nome astratto appena evocato che dovrebbe indicare ‘la condizione dell’essere astemio’, i dizionari non registrano astemìa (a parte il Wikizionario). La forma con suffisso in -ìa potrebbe essere accostata per vicinanza fonica ai derivati in -emìa, suffisso che deriva dal greco e ha il significato di proprietà del sangue e conferisce dunque una sorta di afflato medico a questo sostantivo. Il vocabolo comincia ad avere qualche attestazione in siti che hanno come argomento la salute e il benessere e che utilizzano il sostantivo astratto con una certa disinvoltura.
In generale, i risultati che emergono dal web provano una certa esigenza dei parlanti della disponibilità di un termine per designare la condizione dell’astemio. Secondo i meccanismi di formazione delle parole il termine astratto da astemio potrebbe essere formato anche tramite altri suffissi e generare forme come astemiezza, astemietà, come suggerisce una monografia sui nomi di qualità in italiano (Franz Rainer, I nomi di qualità nell’italiano contemporaneo, Wiener romanistische Arbeiten 16, Braumüller, Wien 1989, p. 117), o astemismo. Se astemiezza presenta un’unica occorrenza in un testo in versi (Roberto Spagnuolo, Teologia del serpente, lulu.com, 2015) e qualche manciata di occorrenze (meno di 40) in testi ironici online (anche sotto forma di hashtag #astemiezza), astemietà si trova attestato già in alcune opere della fine dell’Ottocento (e con meno di 60 occorrenze in Google), mentre per astemismo, che in Google presenta circa 800 risultati, troviamo alcune occorrenze novecentesche tra cui una in L’Italia vinicola e agraria del 1931 (p. 104), in cui si legge:
La propaganda per l’astemismo non può trovare fra noi alcuna base di consenso, ma viva opposizione. Noi pertanto continueremo nell’uso moderato del vino entro i limiti ammessi dai migliori sanitari.
Col suffisso -ismo, che porta con sé una connotazione ideologica, lo troviamo attestato, sebbene tra virgolette, anche in una pubblicazione di Armando Borghi (Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1954, pp. 325-326; rist. Edizioni Anarchismo, 1978 e 1989), a proposito dell’anarchismo olandese:
Contendevano sul “tabacchismo”, sul “vegetarianesimo”, su “l’astemismo”. Su questi problemi l’intransigenza si faceva arcigna. Fumare in presenza di un compagno antitabacchista? Meglio dargli uno schiaffo! Non aspettatevi che a casa dell’astemio vi si offra del vino. Se ve lo ordina il medico, quegli è un impostore.
Il sostantivo astemìa è registrato, come già detto, nel Wikizionario con i seguenti significati:
1. è il comportamento di chi è astemio o astemia e non beve alcolici per motivi personali, quali il gusto considerato sgradevole, per decisioni antialcoliste oppure per incapacità digestive;
2. di fatto nella lingua parlata col termine astemìa si indica l’incapacità nella produzione di enzimi necessari alla digestione di sostanze alcoliche, equivoco nato dall’uso del verbo essere insieme all'aggettivo astemio o astemia. “Essere astemio” lascia intendere che una persona abbia una peculiarità indipendentemente dalla sua capacità di scelta, sarebbe più corretto dire “faccio l’astemio” per trasmettere l’idea che essere astemi sia una scelta.
Da una ricerca su Google libri emerge che il sostantivo astemìa è attestato in un testo degli inizi del Novecento (Annibale Tona, Il XIV Congresso dell’Unione magistrale, in “I diritti della scuola”, a. XXI, 25 settembre 1920, n. 38, p. 570):
non si sarebbe potuto predicare l’astemìa fuor di sé dallo spavento dei tempi nuovi, invece politica con discorsi più imbevuti di alcool politico.
Successivamente si trova una attestazione nel “Giornale vinicolo italiano” (anno 48, n. 50, 10 dicembre 1922, p. 500), che riporta una notizia dall’estero “a proposito del fallimento del proibizionismo in Svezia”:
L’ondata di bisbetico, per non dire rabbioso, puritanesimo che, in odio ad una certa percentuale di ubriaconi abitudinari (i quali poi, appunto perché tali, troveranno sempre modo e maniera di contentare il loro vizio) pretende di fare astemìa per forza tutta quanta una nazione, anzi tutta l’umanità – anche questa, diciamo fra le parecchie affliggenti “ondate” – sta arrivando sull’Europa.
In Google i risultati sono davvero pochi (circa 250) e sono presenti anche in forum di discussione che si interrogano proprio sull’esistenza della parola assente nei vocabolari (per esempio, www.archyra.org). In altri casi la parola si trova in siti di argomento salutista oppure viene usata in contesti ironici; in un caso si trova nel nome di una cantina vitivinicola nel territorio di Barolo, sulla collina dei Cannubi, l’“Astemìa pentita”.
Il vocabolo è invece assente nella letteratura medica, dove neanche astemio viene usato come termine tecnico, a ulteriore dimostrazione che la condizione dell’astemio non rientra in un quadro clinico compromesso. In clinica si trova semmai il tecnicismo usato per indicare la condizione contraria: l’abitudine compulsiva a bere alcolici è indicata con il termine latino potus (da potare ‘bere’) come sinonimo di alcolismo.
Per concludere, il vocabolo astemìa non trova attestazioni lessicografiche ma, viste le apparizioni già otto-novecentesche e il progressivo incremento di uso nell’italiano contemporaneo, si presenta come il candidato più accreditato per rappresentare la qualità dell’astemio.
Veronica Ricotta
12 novembre 2021
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