Luisa Z. da Milano, Roberto S. da Roma e Riccardo V. da Palermo ci sottopongono l'uso ricorrente, "in documenti della pubblica amministrazione e in articoli di attualità", di esitare usato transitivamente nel significato di 'dare esito, conclusione (a una pratica, una richiesta)'.
Si può esitare la domanda?
Nel volume Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi (Garzanti, 2006), Gian Luigi Beccaria dedica un paragrafo agli abusi (linguistici, s’intende) d’ufficio: accanto a tecnicismi giuridici, indispensabili per conseguire effetti di precisione lessicale e univocità nel rinvio alla realtà extralinguistica, sono menzionati anche i cosiddetti “tecnicismi collaterali” (secondo una fortunata etichetta coniata da Luca Serianni). Si tratta di espressioni distanti dalla lingua comune, usate per «puro decoro espressivo» o «per l’elevatezza di registro» (Beccaria, Per difesa, p. 32), ma anche come elementi formulari che si sedimentano nel corso del tempo divenendo vere e proprie tradizioni discorsive. Il verbo esitare nell’accezione di 'concludere (una pratica)' o 'rispondere (a una lettera)’ rientra per l’appunto nel novero di tali espressioni e caratterizza il linguaggio burocratico. Nei dizionari dell’uso non ritroviamo però questo significato: sono registrati infatti esitare1 ‘indugiare, titubare’ (voce dotta dal lat. haesitāre) ed esitare2, derivato dal nome esito (dal participio passato del lat. exire) e attestato sin dal XVII secolo nel significato di ‘vendere, smerciare, specialmente al dettaglio’ (e, limitatamente al linguaggio medico, ‘risolversi di una malattia’: la malattia esita in guarigione). Da esito nell’accezione di ‘evasione, risposta a lettere’ (registrata già dal Dizionario moderno di Alfredo Panzini nel 1905 come propria del linguaggio burocratico) o ‘conclusione, epilogo’ il verbo esitare2 ha assunto anche il significato di ‘concludere, finire’, entrando in concorrenza con la perifrasi dare esito a qualcosa, ampiamente diffusa nella storia dell’italiano con sfumature diverse a seconda della cosa a cui si dà esito.
Per quanto riguarda l’aspetto normativo, non sembrano sussistere argomenti linguistici (grammaticali o semantici) per decretare la scorrettezza di esitare in espressioni come esitare una pratica, una trattativa, una lettera ecc.; tale uso è del resto inquadrabile nella tendenza dell’italiano contemporaneo a formare verbi denominali in -are, transitivi, che è possibile anche impiegare in costruzioni al participio (pratica esitata). L’efficacia comunicativa di tali espressioni è però piuttosto dubbia, essendo di fatto usate e conosciute quasi esclusivamente dagli addetti ai lavori: la semplificazione del lessico burocratico, auspicata da più parti, suggerirebbe quindi di sostituire esitare con i più comprensibili concludere e rispondere.
Elisa De Roberto
Piazza delle lingue: Lingua e saperi
29 aprile 2016
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