Sono giunte presso la nostra redazione diverse domande circa il significato dell’aggettivo transeunte e su come lo si debba declinare correttamente in genere e numero (se come aggettivo della seconda classe, con le sole terminazioni -e, -i, o della prima, con le quattro uscite -o, -a, -i, -e).
Transeunte è un latinismo, cioè una parola ricalcata direttamente sul participio presente del verbo latino transīre, formato da trans- e īre (il participio presente di īre ‘andare’ fa iens al nominativo, euntis al genitivo, euntem all’accusativo, che è alla base del latinismo, e così via), e significa ‘temporaneo’, ‘effimero’, ‘provvisorio’.
È un termine raro anche in latino, impiegato di solito da filosofi e teologi abituati a contrapporre ciò che è eterno e immutabile a ciò che, come avrebbe detto Petrarca, “passa e non dura”. Non ne sono note, al momento, occorrenze in italiano negli autori medievali, e i più antichi esempi riportati dai vocabolari storici risalgono all’epoca rinascimentale, cioè agli scritti di Giordano Bruno (così il GDLI Grande dizionario della lingua italiana fondato da Salvatore Battaglia). L’unica altra parola italiana formata nello stesso modo è l’ancor più raro ineunte ‘entrante’, ‘principiante’ (dal latino in-īre).
Non essendo immediatamente analizzabile nella sua struttura (proprio perché participio presente del composto di un verbo che non si è conservato, di fatto, nell’italiano comune, dove ire ha poche forme realmente attive, cioè quasi solo l’imperativo ite e il participio passato ito), il termine di cui parliamo può suscitare dubbi sulla sua forma e sul suo significato.
Quanto alla prima, esso va trattato come un aggettivo della seconda classe, con singolare in -e e plurale in -i, per il maschile e per il femminile: il mondo transeunte, la passione transeunte, i mondi transeunti e le passioni transeunti. Forme come il maschile singolare transeunto o il femminile transeunta, che si trovano occasionalmente in testi giuridici di non eccelsa qualità (Google libri ne restituisce alcuni esempi risalenti già al secolo XIX e poi ai due seguenti) vanno sicuramente evitate. Esse sono formate a partire dal plurale transeunti, rianalizzato erroneamente come maschile della prima classe. Ma è un po’ come se a partire da eccellenti si formasse un singolare *eccellento.
Quanto al significato e in particolare alla connotazione di questa parola, transeunte è aggettivo che si trova a suo agio in testi appunto filosofici o teologici, mentre già in quelli giudiziarî sa un po’ di termine inutilmente peregrino usato in sostituzione di aggettivi più chiari e altrettanto, se non più adatti, come quelli con cui lo abbiamo chiosato qui sopra. Il suo uso rischia dunque di essere ridicolo in contesti informali o nel linguaggio giornalistico, nel quale pure – per influsso del linguaggio giuridico, più che di quello filosofico – talvolta s’infiltra.
Altra cosa, ovviamente, è l’impiego consapevole e allusivo, o addirittura ironico, che ne fanno scriventi colti e avvertiti. Tra gli esempi più recenti del suo uso, ne segnaliamo uno del linguista Nunzio La Fauci nel suo dotto blog:
I conti con la realtà, la lingua li fa, li ha sempre fatti da sé e, nel mutare delle epoche, delle credenze, delle ideologie, i programmi umani che pretendono di determinare tali conti non ne producono la conformità, suo tratto necessario e permanente. Ne producono invece un transeunte conformismo, talvolta drammatico, sempre ridicolo.
Lorenzo Tomasin
22 novembre 2024
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