Ci sono giunte domande sul significato del sostantivo svarione e di altre voci a esso legate: A. da Bari ci chiede se è possibile usare il verbo svarionare con il significato di ‘divertirsi’ nonostante svarione significhi ‘errore clamoroso, specialmente in ambito linguistico’; M. da Lecce ci segnala invece svarionato nel senso di ‘soggetto che si estranea dalla realtà’, mentre F. da Vicenza e G. da Milano ci chiedono se l’accezione di svarione come ‘giramento di testa’ sia italiana o regionale.
La lessicografia storica, etimologica e dell’uso contemporaneo registra svarione come sostantivo maschile con il significato fondamentale di ‘errore grossolano, in particolare di natura linguistica’ (GDLI; Tommaseo-Bellini; DEI; DELI; Devoto-Oli 2014; DISC; Garzanti 2007; GRADIT; Grande dizionario italiano dei sinonimi e contrari; Sabatini-Coletti 2006; Vocabolario Treccani online; Zingarelli 2022); la maggior parte dei dizionari, inoltre, lo indica come derivato del verbo svariare (GDLI; Tommaseo-Bellini; l’Etimologico; Devoto-Oli 2014; DISC; Garzanti 2007; Sabatini-Coletti 2006; Vocabolario Treccani online;), ma il GDLI propone anche la derivazione dal sostantivo svario “errore (specie grave, grossolano). In partic[olare]: errore linguistico”, a sua volta deverbale da svariare; l’ipotesi si ritrova nel DEI, nello Zingarelli 2022 e nel RIF. Del verbo svarionare e del suo participio passato svarionato, usato anche come aggettivo, non ci sono invece tracce nella lessicografia consultata e questo spiega i dubbi dei nostri lettori.
Il suffisso -one
Prima di rispondere alle domande, approfondiamo la questione del suffisso -one, riprendendo alcuni spunti degli studi di Lo Duca e Merlini Barbaresi (entrambi in Grossman-Rainer 2004).
Lo Duca (2004, p. 210) ci informa – rifacendosi a sua volta a Tekavčić (1980) e a Rohlfs (1969) – che il suffisso «deriva dal tipo latino in -o, -onis, che “serviva a formare nomi che caratterizzavano una persona in base alla sua appartenenza a certi gruppi (commilito, companio […]), o per le sue abitudini, ma sempre in senso negativo (bibo ‘beone’, epulo ‘crapulone, mangione’ […]), oppure ancora per una sua particolarità fisica vistosa (naso ‘nasuto’ […])”» (Tekavčić 1980, p. 100). I due ultimi significati costituiscono secondo Rohlfs (1969, § 1095) la funzione originaria del suffisso, da cui si è sviluppato il valore agentivo caratterizzante, che serve a descrivere una persona in base a qualità, difetti fisici e morali, comportamenti e abitudini.
I nomi d’agente in -one, che siano deverbali, denominali o deaggettivali, hanno tutti un’uscita semantica comune, che consiste nel tratto della grandezza smisurata e dell’eccesso negativo; l’uscita semantica comune può creare a volte dubbi sull’identificazione della base: imbroglione deriva da imbroglio o da imbrogliare?
Altra questione da tenere in considerazione è la seguente: secondo gli studi esistenti l’esito accrescitivo sarebbe più recente rispetto a quello agentivo e anzi sarebbe nato proprio dal tipo naso ‘persona con un naso particolare, caratteristico’. Ci sono però sostantivi che fanno pensare al percorso inverso, cioè da accrescitivo ad agentivo, come barbone: “1. Nel significato accrescitivo di barba 2. estens. Chi porta una lunga barba 3. Vagabondo, mendico; persona sporca, paria” (DISC), mentre per altri non è possibile individuare un antecedente accrescitivo: è il caso di terrone, tabaccone, parruccone, buontempone (cfr. Lo Duca 2004, p. 211).
Lo Duca (2004, p. 361) tratta anche dei sostantivi deverbali in -one che possono essere descritti con la perifrasi ‘persona che compie una azione in modo esagerato e ripetitivo’, come il tipo mangione ‘persona che mangia in abbondanza, voracemente e avidamente’, imbroglione ‘persona che vive di imbrogli’, spendaccione ‘persona che spende soldi in modo esagerato’. A detta di Dardano (1978, p. 54) il tratto negativo dei deverbali in -one è dovuto alla “semantica del verbo di base: sicché si può concludere che in italiano alcuni verbi, che possono essere connotati negativamente, hanno un nomen agentis in -one”. Tuttavia, Lo Duca (2004, p. 361) aggiunge che il tratto negativo è comunque veicolato dal suffisso, come dimostrano alcune coppie di sostantivi: dormiglione / dormiente; guardone / guardatore.
Il tratto negativo dei nomi in -one può essere assente quando il suffisso ha valore accrescitivo, come nei sostantivi lettone ‘grande letto’, gattone ‘grande gatto’. Ma anche negli accrescitivi il significato denotativo di grandezza può non essere rispettato, come in troncone, medicone, pastone, santone, argentone, canapone, cruscone, nei quali -one ha invece, di nuovo, connotazione negativa e peggiorativa. Sulla base di questi casi, è possibile “ipotizzare che dalla base semantica di esagerazione e vistosità si siano evoluti due significati denotativi distinti, che però possono trovarsi combinati quando il tratto di grandezza relativo a quella base sia valutato negativamente (come in nasone, pancione ecc.)” (Merlini Barbaresi 2004, pp. 288-289).
Svariare > svarione
Se svarione è deverbale da svariare – come afferma la lessicografia – allora il sostantivo potrebbe far parte di un gruppo di nomi in -one indicanti l’azione, come ribaltone, ruzzolone, sdrucciolone, scivolone, che sembrano aver bloccato la formazione del nome d’agente, “come in *scivolone per intendere persona che scivola troppo” (Merlini Barbaresi 2004, p. 271). Effettivamente, svarione come nome d’agente non viene registrato dai vocabolari e su Google libri (ricerca effettuata il 24/3/2025) sono presenti solo due usi agentivi, da due edizioni di uno stesso dizionario bilingue (il valore è chiaro soprattutto nel secondo esempio, in cui si parla di homo mutabilis):
Svarione, un changeant. Item, rêverie, sottise. (Giovanni Veneroni, Dictionaire Italien et Francois, pour l’usage de Monseigneur le Dauphin, Nouvelle Edition, Paris, Estienne Loyson au Palais, 1695, p. 704)
Svarione, un changeant. Item, rêverie, sottise. […] homo mutabilis […]. (Giovanni Veneroni, Dittionario imperiale nel quale Le Quattro principali Lingue D’Europa, cioè l’Italiana con la Francese, Tedesca e Latina, la francese con l’Italiana, Tedesca e Latina, la Tedesca con la Francese, Latina e Italiana. La latina con l’Italiana, Francese e Tedesca, si dichiarano e propongono con i suoi vocaboli semplici, e le diverse significanze di loro: per imparare più facilmente le suddette lingue. Primariamente dato in luce per il molto celebre interprete e Maestro di Lingue, il Signore Veneroni; ma adesso con particolar fatica degli altri simili Letterati accresciuto, compito, e messo in perfettione, nella quale si vede. Con privilegio di sua maestà Cesarea, Francoforte, Giovanni Davide Zunnero, 1700, p. 790)
Questa trafila derivativa è quella che probabilmente ha creato per il termine svarione i significati ‘errore grossolano’, ‘divertimento’ e ‘alienazione’, e quindi ciò che rispettivamente si produce con l’azione di “cadere in errore, ingannarsi, sbagliarsi”, “svagare, ricreare, far divertire […]” e “uscire di senno, […] farneticare” (GDLI, s.v. svariare).
L’accezione di svarione come ‘giramento di testa’, di cui non si può escludere l’appartenenza all’italiano regionale settentrionale (anche se mancano riscontri probanti nella lessicografia dialettale locale), potrebbe derivare anch’essa direttamente dal verbo svariare nel senso di “uscire di senno, delirare; parlare a sproposito; vaneggiare, farneticare” (GDLI); da qui, il senso metaforico è semplice: una persona che farnetica ha sicuramente perso la ragione e, in modo figurato, la testa. In questa direzione si colloca la locuzione andare agli svarioni “essere dominato dalla casualità, dall’illogicità”, registrata nel GDLI, il quale riporta per svariare anche il significato “muoversi, deviare, mutare, anche improvvisamente, direzione o posizione, in part[icolare] sospinto o agitato dal vento […]”, comportamento che assume anche chi è preda a mancamenti o appunto a uno svarione, come nel passo seguente, reperito su Google libri:
Si incamminò verso Piazza Duomo, si era finalmente deciso a dedicarsi alle sue commissioni. Ma dopo i primi passi ebbe uno svarione che gli fece perdere l’equilibrio. Si fermò, portandosi una mano alla tempia. “Che ho?” si chiese. Quando si sentì meglio ripartì con fermezza, ma un altro svarione, più forte, lo fece cadere a terra e perdere i sensi. (Faccia D’Angelo, Rivoluzione a Milano, Milano, Lulu.com, 2012, p. 37)
Ci accingiamo alla conclusione di questo paragrafo dicendo che non si può escludere del tutto anche il processo alterativo, e quindi interpretare svarione come accrescitivo di svario “errore grossolano”, ma anche “svago, divertimento” (GDLI; Tommaseo-Bellini), a sua volta deverbale tratto per conversione da svariare. Tra i significati di svario, soltanto il GDLI riporta quello di “sconcerto, disorientamento”, da svariare ‘uscire di senno’, a cui si può legare l’uso di svarione come ‘giramento di testa’.
Tuttavia, le datazioni lessicografiche di svario e svarione fanno sospettare che svario non sia un deverbale da svariare, ma che costituisca una retroformazione proprio da svarione, come nel tipo buffo (1720; agg. 1736 DELI) da buffone (sec. XIII) (cfr. D’Achille 2005, p. 99). Il sostantivo svarione ‘errore, in particolare linguistico’ è attestato infatti per la prima volta intorno al XV sec. (GDLI; DEI; DELI; l’Etimologico; Devoto-Oli 2014; DISC; Zingarelli 2022;) mentre svario ‘errore, in particolare linguistico’ ha la sua prima apparizione nel sec. XVII nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei (cfr. GDLI, DEI). Anche Devoto-Oli 2014, DISC e GRADIT attestano svario intorno al XVII secolo.
Questo dato, dunque, conferma la derivazione di svarione da svariare, almeno nel significato di ‘errore’. In seguito, il sostantivo svarione è stato rianalizzato come accrescitivo ed ha quindi prodotto la retroformazione svario (cfr. Serianni 1998, p. 43).
Svarione > svarionare
Il verbo svarionare, di recente attestazione, fa parte di un gruppo di verbi denominali che derivano da sostantivi in -one: cordonare da cordone, ceffonare ‘prendere a schiaffi’ da ceffone, zapponare da zappone (cfr. Merlini Barbaresi 2004, p. 288). Questi verbi, invero poco frequenti, hanno anche una forma non suffissata, ormai in disuso, come ceffare “colpire con schiaffi, prendere a ceffoni” (GDLI), oppure usata solo in alcune locuzioni come macchina per cordare, da cordare “der[ivato] di corda, come retroformazione di cordatura, cordatrice” (Vocabolario Treccani online); l’unica forma non suffissata ancora viva dei verbi citati è zappare, ma in questo caso è il valore accrescitivo a distinguere le due forme verbali, in quanto zapponare presuppone l’utilizzo dello zappone “grossa zappa, con lama di notevole spessore, lunga e stretta, usata per lavorare terreni duri e sassosi o, anche per scavi di miniera” (GDLI), non della generica zappa “attrezzo agricolo costituito da una lama per lo più trapezoidale o triangolare fissata perpendicolarmente a un robusto manico di legno, usato per dissodare il terreno, rompere zolle, spianare la terra, fare solchi, scavare […]” (GDLI). Diremo, nel caso di zappone, che c’è stata una lessicalizzazione dell’accrescitivo, che si è in parte distanziato dal significato della forma base. Da una ricerca nel corpus MIDIA (Morfologia dell’Italiano in DIAcronia) è stato individuato anche il verbo squadronare, per il quale possiamo fare lo stesso ragionamento: squadrare “dividere in reparti un esercito” è diverso e più antico di squadronare “ordinare in squadroni un esercito; schierare in ordine di battaglia un esercito” (cfr. GDLI).
Anche per quest’ultimo verbo, come per quasi tutti quelli trattati in questa sezione, un certo grado di lessicalizzazione del nome in -one è comunque presente (squadra ‘gruppo’ / squadrone ‘gruppo, in particolare armato’).
Anche il verbo svariare, nei significati ‘cadere in errore’, ‘divertire, svagarsi’ e ‘uscire di senno, delirare’, sembra ormai in disuso; l’ipotesi trova conferma nei dati emersi da una ricerca sul PTLLIN, nella BIZ (nel secolo XX) e in Google libri (ricerca effettuata il 1/4/2025, dal 1900 al 2025), in cui svariare (cercato all’infinito, al participio passato maschile, al gerundio e nelle forme del presente indicativo) è usato soprattutto nel significato di ‘variare, passare da una posizione o stato a un’altra/un altro, cambiare’. Le accezioni di ‘cadere in errore’ e ‘uscire di senno’ non sono presenti, mentre sono pochi gli esempi in cui è possibile interpretare il verbo sia nel significato di ‘divertire, svagare’, sia in quello di ‘variare’. Ne citiamo due:
Pieretto sorrise e mi rispose che, morisse o vivesse Poli, era sempre un bel caso quello che c’era toccato. - Tu poi non credere, - disse.
- Che cos’è che cerchiamo tutte le sere per le strade? Qualcosa che rompa e svari la giornata...
- Vorrei vedere se toccasse a te.
- Ma se tu pensi giorno e notte come uscire dalla gabbia. Perché credi che andiamo oltre Po? […]. (Cesare Pavese, La bella estate, Torino, Einaudi, 1950)
Fuori, Petro sospirò profondamente.
“Che c’è?” chiese l'amico.
“Andiamo, andiamo al cinema. Ho bisogno di svariare”.
Videro i lavoratori del mare all’Utveggio, e ne uscirono pieni d’angoscia, raccapriccio, per quell’uomo in lotta con il mare, gli scogli, l’orribile tempesta […]. (Vincenzo Consolo, Nottetempo, casa per casa, Milano, Mondadori, 1992)
Invece la ricerca (effettuata il 25/3/2025) del verbo svarionare, assente in BIZ e PTLLIN, su Google libri, all’infinito, al participio passato maschile, al gerundio e nelle forme del presente indicativo, ha prodotto i seguenti risultati sul piano semantico:
‘dire o fare assurdità’: 8 occorrenze
‘divertire, divertirsi’: 2 occ.
‘impazzire’: 1 occ.
‘svenire, avere mancamenti’: 2 occ.
‘alienarsi, intontirsi, viaggiare con la mente’: 17 occ.
Gli esempi nell’ultimo significato sono i più numerosi e sembrerebbero mostrare che il motivo principale per cui si svariona sia l’assunzione di droga (sette testi utilizzano il termine in questo senso); tale dato confermerebbe la nascita del nuovo significato di svarione e soprattutto del verbo svarionare nel linguaggio giovanile (cfr. De Rossi 2005, p. 135; Marcato 2005, pp. 173, 194); a questo stesso significato si potrebbe collegare quello di svarione come ‘giramento di testa’ indicatoci dai lettori e segnalato all’inizio come possibile regionalismo semantico di area settentrionale.
In ogni caso, la prima attestazione del verbo è del 2007:
Sente il respiro pesante di Lucia, il capo leggermente chinato.
«Nonna, tutto bene? Sei stanca? Adesso presto presto siamo a casa e ti accompagno su».
Lucia alza la testa, guarda fuori dal finestrino. «Avevo l’età che hai tu adesso...» sussura.
Madonna, svariona. E questa frase che c’entra? Adesso la riporto a casa, le do le goccine e aspetto un po’ con lei. (Elena Battista, Quote rosa. Donne, politica e società nei racconti delle ragazze italiane, Ravenna, Fernandel, 2007, pp. 26-27)
Svarionare > svarionato
Arriviamo così alla forma svarionato ‘alienato’, con riferimento all’“essere sulle nuvole, distratto, assente” (De Rossi 2005, p. 135), da interpretare come participio passato di svarionare ‘uscire di senno, vaneggiare, farneticare’, usato col valore di aggettivo come nel testo seguente:
Pietro parcheggia, smonta dalla sua auto scura un po’ svarionato, ma nonostante ciò presente, continuando a navigare nei suoi pensieri […]. (Stefano Ferrari, Alessandro Vittorini, Verona nel cuore, Trento, Edizioni del Faro, 2012, p. 73)
Un percorso etimologico alternativo: varione > svarione > svario
Se la trafila sopra proposta è formalmente ineccepibile, vale la pena di indicare una possibile ipotesi alternativa, pur se meno probabile.
Rohlfs (1969, § 1095) cita tra i nomi in -one il “calabrese varrone [...] < *varione”; il GDLI (s.v. vairone) definisce il vairone o varione o varone come “pesce teleosteo del genere Lencisco [...], di colore cinereo verdastro [...]’, dal fr. vairon, véron [...], che è da un lat[ino] volg[are] *vario -onis, deriv. da varius”. Il colore di questo pesce varia in base alla parte del corpo (cfr. Smolik 1982, p. 966-969), e – come si legge sul web – può addirittura cambiare divenendo “più marcato durante la stagione della riproduzione”.
Ora, è molto “variegata la gamma dei derivati da zoonimi, che ereditano dai rispettivi nomi di base le caratteristiche che gli umani riconoscono negli animali di volta in volta implicati: così un farfallone è una ‘persona inaffidabile e incostante’ […]” (Lo Duca 2004, p. 212). Si potrebbe allora supporre l’esistenza in passato di un’espressione come *sei un varione, cioè una persona che muta, cambia, varia, come fa il pesce, richiamandosi al valore agentivo di svarione nelle due definizioni riportate nei dizionari di Veneroni (cfr. § Svariare > svarione). Da qui, allora, si potrebbe essere formato svarione, con l’aggiunta di una s- intensiva, poi raccostato a svariare e inteso come ‘variazione, diversità, divario’ (cfr. GDLI), da cui, per retroformazione, si sarebbe avuto svario “[…] differenza, […] diversità, […], varietà” (GDLI, s.v. svario s.m.), “diverso, differente […], mutevole […] pezzato […]” (GDLI, s.v. svario agg.).
Ad ogni modo, è bene precisare che questa seconda possibile trafila non si concilia con le datazioni delle voci riportate dalla lessicografia: svarione “diversità, divario” (GDLI) è attestato tra il 1621 e il 1680, mentre svario “differenza qualitativa, diversità tra due elementi posti a confronto” (GDLI) tra la fine del XIII sec. e il 1347 (anche lo Zingarelli 2022 lo attesta al 1347; per l’aggettivo svario “diverso, differente […]” il GDLI riporta un esempio del XIII sec., mentre il DEI posticipa la data al 1570 per l’accezione ‘di più colori’).
Restiamo quindi dell’idea che svarione, nelle accezioni ‘divertimento’, ‘alienazione’, ‘giramento di testa’ e, aggiungiamo ora, anche ‘diversità, variazione, mutazione’, possa essere o deverbale da svariare o accrescitivo di svario, a sua volta deverbale per conversione da svariare. Per il significato ‘diversità, variazione, mutazione’, si potrebbe anche suppore svarione come accrescitivo di svario s.m., tratto per conversione da svario agg., a sua volta da vario con aggiunta di s- intensiva.
Conclusioni
I quesiti posti dai lettori presentano aspetti non semplici da chiarire nel rapporto tra semantica e trafila etimologica; d’altronde, non ci si poteva aspettare altro da parole il cui “capostipite” (per dirla con il RIF), è l’aggettivo latino variu(m) (> vario > variare > svariare > svario > svarione > svarionare > svarionato). Si tratta infatti di voci dalla forte polisemia, che continuano ancora oggi a sviluppare nuovi valori semantici: segnaliamo per esempio che nel Vocabolario del romanesco contemporaneo sono registrati la locuzione avverbiale giovanile a svario ‘in grande quantità’ e il sostantivo svario ‘un milione di euro’, del gergo giovanile romanesco (D’Achille-Giovanardi 2023, p. 442).
Nota bibliografica
Alfonso Ricci
4 giugno 2025
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Avvisiamo tutti i frequentatori che la sede dell'Accademia della Crusca resterà chiusa il 2 maggio, il 23 giugno e dall'11 al 22 agosto 2025.