Uscire fuori, salir su e altri pleonasmi

È corretto dire uscire fuori? È ridondante l'uso di salir su? Si risponde al quesito posto da Laura Sirena e altri.

Risposta

Uscire fuori, salir su e altri pleonasmi

Nonostante che nel significato del verbo sia già contenuta l'idea ribadita dall'avverbio fuori, la forma "uscire fuori" è largamente attestata nell'italiano scritto, anche letterario, da Dante a oggi. In particolare nel Grande Dizionario della Lingua Italiana (Barberi-Squarotti, UTET), sotto la voce "fuori" si trova un paragrafo dedicato proprio alla locuzione "uscire fuori" con la seguente definizione: "portarsi all'esterno di un luogo chiuso, di uno spazio circoscritto; sfuggire. Anche: avviarsi ad affrontare il nemico in campo aperto"; qualche rigo più sotto poi viene trattata la particolare accezione di "uscire fuori dalla bocca" (es. da Piccolomini: "come le esce fuora una parola di bocca, non è più possibile di farla ritornar dentro"). Nell'italiano contemporaneo e in particolare nella lingua parlata sono frequenti forme e locuzioni ridondanti, in cui cioè il significato che si vuole esprimere viene ribadito da più elementi presenti nella stessa frase: si tratta di un fenomeno normale, volto a conferire maggiore incisività ed espressività a quello che si dice.

Sulla questione degli usi pleonastici era già intervenuto Giovanni Nencioni sulle pagine della Crusca per Voi (n° 8, p. 12) in un confronto con la diffusione di particelle combinate a verbi in inglese:
«Le nostre grammatiche distinguono il verbo semplice dalla locuzione verbale, composta di una testa verbale che si appoggia semanticamente a un aggettivo (farsi bello, farsi vivo) o a un sostantivo (far menzione, prender le parti) o a un avverbio (metter su, andar via); si veda Serianni e Castelvecchi, Grammatica italiana, IV, 72; XI, 2, 365. La locuzione verbale può corrispondere a un verbo semplice, ma, se formata con particelle avverbiali, è fortemente polisemica ed espressiva, come prodotto eminentemente popolare. Dimostrano tale origine la sua frequenza nei dialetti (che è indubbio segno di antichità) e il suo uso pleonastico: salir su, scender giù, cacciar via. Quanto alla polisemia, che si risolve nel contesto, basti pensare ai casi di metter su famiglia, metter su uno contro il fratello, metter su superbia, metter su il brodo e, nell'italiano regionale, metter su (o far su) il cappotto; oppure a buttar giù nei sensi di "buttare in basso o abbattere o scrivere in fretta qualcosa o deprimere".

L'uso inglese è sistematico, quindi normativo, e vasto ben più dell'italiano; ma questo, a osservazioni recenti, appare in via di sviluppo, il che può attribuirsi sia all'influenza dell'italiano settentrionale, dove è largamente penetrato dai dialetti, sia a un processo di semplificazione cui l'italiano parlato da quasi tutti gli italiani va soggetto, perdendo la ricchezza della varietà sinonimica e delle forme sintetiche posseduta dalla lingua letteraria. La sostituzione, però, di verbi semplici con locuzioni verbali (o verbi complessi), se pare una semplificazione, è in realtà, sotto l'aspetto semantico, una complicazione, perché il significato della forma analitica non si spiega con la somma del significato dei suoi componenti: tirar su è semanticamente divaricabile tra il significato di sollevare, confortare, migliorare una condizione e quelli di costruire (un edificio), attingere (l'acqua) o tirar su col naso. Nel suo bel saggio Stabilità e instabilità nei caratteri originali dell'italiano, inserito nel volume miscellaneo Introduzione all'italiano contemporaneo. Le strutture a cura di A. Sobrero, Laterza, Bari 1993, Raffaele Simone osserva acutamente: "II funzionamento di questi verbi... è molto somigliante a quello dei phrasal verbs inglesi (set up, set off, blow up, drop by, ecc.). Questi verbi italiani sono infatti, come quelli inglesi, pienamente sintagmatici: solo in pochi casi è possibile sostituirli con la pura e semplice testa verbale (Mi ha fatto fuori ma *Mi ha fatto); per lo più solo la coppia sintagmatica è possibile" (p. 95).»

A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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22 aprile 2003


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