Molti lettori ci hanno chiesto se è corretta la forma irruente o quella irruento, se entrambe o solo una e, ovviamente, in questo caso, quale. Poiché alcuni, sia pur meno numerosi, ci hanno fatto una domanda simile sulla coppia sonnolento/sonnolente, data la somiglianza dei casi, rispondiamo contemporaneamente alle due domande.
È irruente e sonnolento!
Le domande sulla forma corretta (o più corretta) degli aggettivi irruente (o irruento?) e sonnolento (o sonnolente?) potrebbero ricevere anche una risposta rapida e chiara ricordando l’etimologia delle due parole. Allora, poiché quella del primo è dal participio presente del latino irruere, la forma corretta sarà irruente, uscita tipica dei participi presenti, e poiché quella del secondo è dal latino somnolentum, la forma corretta sarà sonnolento, come dai nomi e aggettivi in -um latino.
Ma questa risposta non basta a darci ragione della frequenza delle domande e dell’attestazione delle forme non etimologiche, ma, visibilmente, analogiche, rifatte cioè, quella di irruento, sugli aggettivi in -o e soprattutto in -ento (come contento oppure, per prendere un latinismo dotto simile, cruento da cruentum) e quella di sonnolente sui numerosi participi presenti aggettivali di 2a e 3a coniugazione (che escono in -ente, come deprimente e differente), quasi i due aggettivi qui in esame si fossero scambiate le classi di appartenenza. Diciamo subito che i parlanti da sempre tendono a regolarizzare i paradigmi secondo criteri che puntano ad assegnare alle classi più numerose le forme che ne fuoriescono, modificandole quanto basta per farcele rientrare (ad esempio, a lungo la forma etimologica lode, dal latino laudem, è stata realizzata come un nome in -a, loda, classe in cui i femminili sono più numerosi).
Per questo irruento è molto ben attestato su Google, anche se meno del più corretto irruente, e sonnolente al singolare è attestato assai meno del corretto sonnolento, ma già molto anticamente, come si può vedere dal Corpus OVI.
Irruente è un latinismo di immissione abbastanza recente in italiano (nell’Ottocento dava ancora fastidio a un purista come Filippo Ugolini), ricavato da un verbo latino, irruere (‘correre addosso, contro’), che non ha altra attestazione né eredi nella nostra lingua, tolta la nipote irruenza, ricavata a metà Ottocento direttamente dal participio presente italianizzato. Proprio la relativa instabilità dovuta all’acquisizione tarda (non per nulla non si è verificata la stessa cosa per decente, un altro, ma ben più antico e attestato participio presente aggettivato da un verbo latino, decere, raro in italiano) e l’assenza del verbo base possono aver favorito il passaggio del participio presente irruente alla folta classe degli aggettivi in -o, con una variante ormai accettata da quasi tutti i dizionari e da grammatiche e prontuari. Su quotidiani, riviste e libri si incontrano ormai indistintamente entrambe le forme. Qualche esempio cronologicamente sparso tra inizio Novecento e oggi della forma irruento più discutibile (inutile riportare gli innumerevoli esempi di irruente):
Non prendiamo tragicamente queste manifestazioni, che ascriviamo a irruenta foga oratoria, sapendo bene che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare (Un mese dopo, “Corriere della sera”, 12 ottobre 1919)
conduceva bravamente i suoi uomini ad un irruento e vittorioso contrattacco (“Gazzetta ufficiale del regno d’Italia”, 2 gennaio 1940)
Lo sforzo dei ragazzi, adesso, è solo quello di trattenere tutta la loro irruenta, giovanile, violentissima aggressività erotica (V. Cerami, Fattacci , Einaudi 1997)
Non preoccuparti. È un po’… irruento (A. Todd, After 2. Un cuore in mille pezzi, Sperling & Kupfer 2015).
L’aggettivo si è comportato insomma come cruento, che, guarda caso, però, anticamente risulta attestato al singolare nella forma cruente (ancora registrata come letteraria in alcuni vocabolari), essendo stato attirato dalla morfologia dei participi di 2a o 3a coniugazione, pur, come abbiamo visto, non essendolo.
La vicenda antica di cruento/cruente è simile a quella di sonnolento, che anticamente era stato interpretato morfologicamente come se fosse il participio presente di un inesistente verbo (*sonnolire; c’è però insonnolire, il cui participio presente è appunto insonnolente, poco usato rispetto al participio passato insonnolito) e realizzato come sonnolente, registrato nel Corpus OVI tante volte quante la forma etimologicamente corretta in -o, dal latino somnolentum. Di qui la tendenza ad accettare da parte di alcuni dizionari anche la forma antica e oggi rara in -e.
Si tenga infine presente che i plurali dei due aggettivi possono rimandare tanto a un singolare in -o (l’uscita in -i al plurale di irruenti potrebbe far pensare anche a un singolare maschile irruento) quanto a uno ambigenere in -e (sonnolenti vale per sonnolento come per l’eventuale sonnolente).
Ma proprio questa osservazione ci potrebbe indurre a distinguere un po’ i due casi di cui ci occupiamo e a suggerire due comportamenti diversi. Irruento consente un paradigma completo per genere e numero (ragazzo/a/i/e irruento/a/i/e), mentre sonnolente ne autorizza uno meno articolato e quindi più impreciso o equivoco (sguardo/i, parola/e sonnolente/i). Quindi, fermo restando che sarebbe meglio e opportuno usare le forme etimologicamente corrette (e cioè irruente/i e sonnolento/a/i/e), si può essere più tolleranti con irruento che con sonnolente, come del resto l’uso dimostra.
Vittorio Coletti e Valeria Leoncini
6 febbraio 2018
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