Sono pervenute molte richieste da parte dei nostri lettori circa l’uso dei verbi pittare/pitturare: in particolare si chiede se esista un verbo pittare in italiano e se sia lecito adoperare pittare come sinonimo di pitturare.
Cominciamo con il dire che, rispetto a pitturare e a pittare, è molto più frequente in italiano il verbo dipingere, derivato dal lat. pingĕre con l’aggiunta del prefisso de- (l’italiano antico conosceva anche pingere, rimasto a lungo nell’uso letterario, specie poetico: Io pingo... pingo si legge, per es., nel libretto dell’Iris scritto da Luigi Illica per l’opera di Mascagni, del 1898).
Il verbo pitturare, di uso panitaliano, è un denominale da pittura (in latino si ha una forma picturātus in Stazio, Tebaide VI, 58) e ha il significato di ‘dipingere’ o ‘imbiancare’, ma anche quello di ‘truccare’: “Capitò a fianco della signora Batraci. Stava pitturandosi le labbra” (C.E. Gadda, Accoppiamenti giudiziosi 1924-1958).
Il verbo pittare (dal latino pictāre, iterativo di pingĕre) esiste anch’esso in italiano, con lo stesso significato di dipingere, pitturare, ma è di uso regionale. È soprattutto tipico dell’area napoletana: molti ricorderanno la domanda che, nel film Pane, amore e… di Dino Risi (1955), Donna Sofia (Sophia Loren) rivolge a Nicolino (Antonio Cifariello): “Che, oggi pitti?”.
Il carattere regionale del termine fu evidenziato già da Giosue Carducci, nell’edizione delle Satire, odi e lettere dell’autore e pittore napoletano Salvator Rosa. Carducci riporta infatti un passo della vita del Rosa, dall’opera Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673 di G.B. Passeri (1772), una delle sue fonti (“I pittori napoletani… non sono molto dediti per proprio costume ad una lunga applicazione al disegno, ma sogliono prima del tempo dar di mano a’ pennelli e colori, e, com’essi dicono, a ‘pittare’”) e poi prosegue: “Mòrtogli in questo mezzo il padre che egli [S. Rosa] non aveva più di diciassette anni, il ‘pittare’ d’esercizio dilettoso che eragli stato, se gli fece solo argomento a campare la vita sua e della famiglia”, ponendo tra virgolette il verbo.
Ritroviamo lo stesso verbo anche in Giuseppe Ungaretti, in Il deserto e dopo 1931-1946, nella parte relativa al viaggio a Napoli, in un’interrogativa formulata da un napoletano. Il verbo è riportato dallo stesso Ungaretti in corsivo: «Improvvisamente esclama, fregandosi le mani: “Voi pittate!” “Io” “Voi pittate. Si vede, si vede, sono pratico, voi siete un pittore celebre».
Interessante anche l’accezione figurata di pittare, segnalata dal GDLI, “enunciare una teoria, formulare un sistema filosofico”. Si veda il seguente passo dalle Lettere accademiche (1791) di Antonio Genovesi: “Tal è la costruzione di questo universo che non vi si può pittare senz’ombra” (lettera XIII). Ma andrà notato che anche il Genovesi era campano.
Dato il carattere regionale di pittare, suggeriamo ai nostri lettori, almeno nello scritto e in contesti di media formalità, di usare al suo posto il verbo dipingere o, in alternativa, pitturare.
Riccardo Cimaglia
Piazza delle lingue: La variazione linguistica
5 febbraio 2019
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