A proposito dell'aggettivo nevrile

Alice Angioni da Roma ci chiede il significato "esatto" della parola nevrile che ha sentito usare tra gli allevatori di cani per descrivere un aspetto del carattere dell'animale, con un valore affine a nervoso ma che allude anche a una capacità di maggiore attenzione da parte dell'animale.

Risposta

A proposito dell'aggettivo nevrile

 

Mentre il sostantivo nevrilità, corrispondente all'inglese neurility e tuttora non attestato dalla lessicografia contemporanea, circolava in ambiente medico già alla fine dell'Ottocento con il valore di "proprietà dei nervi, proprietà delle linee nervose" (si trova per esempio in Teoria fisiologica della percezione: introduzione allo studio della psicologia di Giuseppe Sergi edito nel 1881 e nell'Archivio italiano per le malattie nervose, Vol. 3-4, pubblicati dalla Società freniatrica italiana nel 1865), l'aggettivo nevrile sembra invece una creazione del XX secolo.
Si trova attestato nell'edizione 2007 del GRADIT, datato 1996, con il significato 'vigoroso e vivace, ma piuttosto eccitabile' riferito a cavallo, e nell'edizione 2009 del Devoto-Oli dove la descrizione è pressoché identica, 'vigoroso e vivace, al limite dell'ipereccitabilità', con l'aggiunta tra parentesi: "detto spesso dei cavalli", per cui il riferimento all'animale non è più esclusivo. La datazione è genericamente "XX secolo".

 

Siamo riusciti a raccogliere alcune attestazioni in testi scritti: la forma sembra effettivamente esser stata introdotta in riferimento ai cavalli; la troviamo per esempio, assieme al sostantivo nevrilità, in Turismo equestre ed equitazione di campagna di Giancarlo Galassi Beria (Edizioni Studio Tesi, 1984) dove a p. 38 possiamo leggere: "Le orecchie [del cavallo] non devono essere troppo grandi. La loro mobilità è indice di nevrilità e intelligenza. [...] I riflessi del cavaliere e dell'uomo di cavalli devono essere sempre pronti a capire al volo questi segni premonitori perché il cavallo nevrile a volte passa da uno stato di tranquillità a uno stato di agitazione con estrema rapidità".

 

L'autore del passaggio del riferimento di nevrile dal cavallo all'uomo, nella fattispecie all'uomo calciatore, sembra essere stato Gianni Brera, il quale, in un articolo dal titolo Sono le vere Olimpiadi apparso su "Repubblica" del 29 agosto 1987, scriveva: "Il nostro esile e nevrile Evangelisti mira a salvare l'onore. Ci basta". Ancora nella Storia critica del calcio italiano (1975) Brera diceva di Ferrari che "non ha la nevrile eleganza di Baloncieri" e in Derby!, uscito postumo nel 1993, scriveva che "l'agile nevrile Gatti non se la cava [...] come dovrebbe". Evidentemente il passaggio da una qualità del cavallo a una caratteristica di chi pratica uno sport in cui si deve correre molto, è stato relativamente semplice. L'autorità di Brera fece sì che l'uso dell'aggettivo fosse recepito nell'ambiente del giornalismo sportivo: infatti, a partire dal 1988, se ne trovano esempi riferiti a calciatori sia su "Repubblica" sia sul "Corriere".

 

Il termine è stato poi ripreso, per quanto non in modo quantitativamente rilevante, con riferimenti più estesi: Andrea De Carlo in Noi tre del 1997 lo scrive di una donna ("Ci siamo abbracciati nel traffico di sguardi e movimenti; mi sembrava ancora più bella e nevrile e intelligente di come la ricordavo..."); Vittorio Feltri su "Panorama" nel 1996 lo dice a proposito del "Corriere della Sera" ("Il successo elettorale enorme e imprevisto ha riportato Umberto Bossi sulle prime pagine dei giornali, perfino del Corriere della sera che, di tutti, è il meno nevrile, il meno passionale, ..."); in Le opere e i giorni di Cesare Zavattini. Dipinti (1938-1988), di Paolo Nuzzi e Renato Barilli è riferito allo scrivere ("Così ha da essere la scrittura: nevrile, imprevedibile").

 

Più tardo, almeno così sembrerebbe, il passaggio dall'ambiente dell'allevamento dei cavalli a quello dei cani: lo troviamo in Il pastore tedesco di Eraldo Tonelli edito nel 2003 ("Un po' alto e massiccio, dall'ossatura robusta e dalle linee armoniose, aveva una testa nobilissima, struttura asciutta e muscolosa, nonché un aspetto estremamente nevrile") e in Cani di E.Tonelli, S.Tonelli e M.Neri (2005) a proposito del carattere del setter irlandese. Il valore preciso è difficile da desumere senza una documentazione più ampia, sembra comunque che, come per il cavallo, si tratti di un pregio, quindi non sia completamente sovrapponibile a nervoso. Probabilmente si tratta di animali particolarmente reattivi, scattanti e sensibili.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

9 settembre 2011


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