Acchito, acchitto o achitto?

Tony Taglioni, da Terni, ci chiede se la diffusa variante acchitto per acchito sia accettabile o sia invece "un orrore regional-linguistico"; Gloria Velluti, dalla provincia di Roma, aggiunge achitto come terza variante.

Risposta

Acchito, acchitto o achitto?

 

La voce (o le voci) in questione, derivata dal francese acquit, a sua volta da acquitter, è propria del lessico relativo al gioco del biliardo - in cui indica 'la mossa con cui all'inizio del gioco un giocatore colpisce la propria palla o il pallino facendoli rimbalzare contro la sponda opposta' e 'la posizione della palla all'inizio del gioco'-, ma nelle locuzioni d'acchito e di primo acchito 'alla prima, subito', è entrata nell'uso comune.
In prima istanza prendiamo in considerazione la situazione attuale così com'è registrata nella lessicografia contemporanea: mentre Sabatini Coletti 2008, ZINGARELLI 2007, Devoto-Oli 2008 e il Vocabolario Treccani riportano solo la forma acchito, e il DOP afferma esplicitamente "non acchitto", il GRADIT (che programmaticamente registra l'uso della lingua) riporta acchitto, come variante popolare di acchito. Anche il GDLI attesta, accanto ad acchito, questa forma, glossandola come dialettale e popolare, in virtù del fatto che il termine è stato impiegato da Pier Paolo Pasolini. Non risulta invece registrata la forma achitto in nessuno dei dizionari recenti, compreso il GDLI che testimonia anche il passato della nostra lingua, per quanto attiene alla tradizione letteraria.
Per quel che riguarda l'uso, da un esame sui testi digitalizzati in Google libri (3 febbraio scorso) la variante acchitto, almeno nel suo impiego più generico, risulterebbe discretamente usata nella produzione scritta recente (dal 1970 a oggi), senza apparente relazione con la provenienza geografica degli autori, mentre achitto trova un'unica testimonianza (sempre che non si tratti di refuso).
Nel linguaggio della stampa la forma acchitto spunta anche dalle pagine del "Corriere" (solo 2 volte negli anni '90, contro le 347 di acchito), usata da due giornalisti di origine diversa (un romano e un milanese); nessuna testimonianza di achitto. "La Repubblica" si mostra più possibilista: 515 volte acchito, ma anche 29 occorrenze di acchitto. Una di queste in particolare ci pare significativa: il libro di Pietro Grossi (fiorentino) intitolato L'acchito, edito da Sellerio nel 2007, viene così annunciato nella rubrica "Libri" del 13 novembre dello stesso anno: «Alle 18 alla Feltrinelli in Galleria Colonna [a Roma] Pietro Grossi presenta il suo romanzo "L' acchitto"». Sempre "Repubblica" presenta una occorrenza di achitto, ma non si può escludere il refuso.
Infine, nell'uso "libero" e poco controllato dal punto di vista ortografico della rete, le cifre mostrano ancora maggior diffusione della voce acchito (oltre 60.000), mentre acchitto raggiunge circa 12.000 occorrenze; per quanto in misura nettamente minore (poco sopra le 2.000) è attestato anche achitto (sondaggio dell'1 febbraio u.s.)

 

Se esaminiamo il percorso della voce da un punto di vista storico, è proprio la forma che oggi appare come pressoché scomparsa achitto una delle prime a essere registrata e la prima a essere accolta come il corrispondente italiano del francese acquit: la data di ingresso nella nostra lingua è il 1771 (DELI), in quanto la prima attestazione risale al Nouveau dictionnaire françois-italien [e italiano-francese] composé sur les dictionnaires de l'Académie de France et de la Crusca dall'abate François d'Alberti Villeneuve (Marseille, J. Mossy, 1771-72) dove (vol. 1, sv acquit) si legge: Acquit, au jeu de billard, se dit du premier coup que l'on joue pour se mettre en passe. L'Acchitto. V. ce mot dans l'autre volume". Ma nei due tomi troviamo, almeno nelle prime edizioni, una discordanza tra acchitto, che appare come "traduzione italiana" del francese acquit nella parte francese-italiano, e il lemma italiano achitto del volume italiano-francese. Nella prima edizione napoletana del vocabolario (1835) i due volumi sono invece allineati su achitto. Sempre achitto è registrato come "franzesismo" nel Dizionario della lingua italiana a cura di Luigi Carrer e Fortunato Federici (Padova, Tip. della Minerva, 1827-1830); la voce porta l'asterisco che segnala le voci in aggiunta alla IV edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca.
Buona parte dei compilatori dei dizionari "bilingui" dialetto-italiano della prima metà dell'Ottocento accolsero e diffusero la lezione achitto: così fanno Francesco Cherubini e, successivamente, Giuseppe Banfi per il milanese, lo stesso Cherubini per il mantovano, Giovan Battista Melchiori per il bresciano, Ilario Peschieri per il parmigiano, Giuseppe Boerio per il veneziano, Bonifacio Samarani per il cremasco, fino a Giovanni Spano per il sardo.
Il primo a proporre la variante che oggi corrisponde "ufficialmente" al lemma italiano è Pietro Fanfani nel Vocabolario della lingua italiana (1855), seguito poco dopo dal Gherardini nell'Appendice (1857) al suo Supplimento ai vocabolari italiani . Anche il Vocabolario degli Accademici della Crusca nella sua V edizione (il primo volume è del 1863) accoglie la voce, ma senza attestazioni, nella forma acchito (e acchitare) e lo stesso farà il Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini dichiarando esplicitamente: "Recasi sull'autorità della Crusca"(1865).
La scelta di acchito trova giustificazione nell'uso di Giuseppe Giusti testimoniato dal Gherardini: il poeta nelle Memorie di Pisa (1841-43) introduce la locuzione di primo acchito che è registrata anche dalla V Crusca e dal Tommaseo-Bellini. La locuzione è commentata (da Marco Tabarrini, a parere di Elisabetta Benucci) nella Spiegazione di alcune voci e locuzioni tratte dalla lingua parlata che compare nell'edizione Le Monnier del 1852 dei Versi editi ed inediti del Giusti. Inoltre l'uso della stessa locuzione è attribuito dal Fanfani nel Vocabolario dell'uso Toscano (1863) al "bravo stronimo mattematio, 'ndovino e pueta" Nanni di Dolovico (pseudonimo di Giovanni Luigi Fiori 1790-1868), autore livornese di versi e lunari.

 

Per quel che riguarda la forma acchitto, che abbiamo visto prima introdotta e poi presto "cancellata" dalla lessicografia, essa probabilmente deve la sua diffusione, almeno in area meridionale, alla sovrapposizione con l'omofono acchitto (acchietto nel Vocabolario Napolitano-Toscano di Raffaele D'Ambra, 1873), voce napoletana e irpina che vale 'accoppiamento, incetto [sic]' (P. P. Volpe, Vocabolario Napolitano-Toscano, 1869), 'cumulo'. Questa forma, confrontata in DEI con adplicto, termine derivato dal latino volgare adplicitum e documentato in area meridionale dal IX secolo, usata già nel XVII secolo da Giovan Battista Basile ne Lo cunto de li cunti, è a volte tradotta dai vocabolari dialettali dell'area, con acchito e spesso accompagnata dalla locuzione E' primm'acchitto. Che si sia persa coscienza della sovrapposizione è stato notato da Vittorio Parascandola in Vèfio. Folk-glossario del dialetto procidano (Napoli, 1976) dove si legge: «acchitto 'capitale messo da parte, accumulo' [...] "Ho fètto nu buón acchìtto pe la 'ncignata re Pasqua (ho messo da parte quanto mi occorre per gli abiti di Pasqua)" [...] Comunemente si dice anche "Re primm'acchitto" che però, rifacendosi all'it. ha tutt'altro significato».
Per l'Italia centrale invece non è da escludersi l'influenza del verbo acchittarsi e del suo participio passato acchittato, molto diffusi in quest'area con il significato di 'vestirsi/vestito con particolare cura ed eleganza' derivati dal acchitare, acchitarsi 'prepararsi per dare inizio al gioco (del biliardo)' (GRADIT).
Questa variante, pur non essendo attualmente accettata in italiano, ha forse buone probabilità di essere "ammessa" in un futuro non troppo lontano; riprendendo le parole dell'utente di Terni, la strada dell'evoluzione di una lingua, specialmente di quella italiana, è lastricata di "orrori regional-linguistici" o, più propriamente, di regionalismi.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

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