Molti lettori chiedono come mai si alternino le forme con grafia gli e li nei derivati di foglia e foglio, e quale sia la soluzione più corretta.
Cominciamo col ricordare che le due parole hanno la stessa radice latina folium, che indicava originariamente solo l’organo delle piante, e solo in epoca tarda è stato usato, con estensione metaforica, per il foglio di carta. La foglia, italiana e delle altre lingue romanze, è il risultato di una reinterpretazione del plurale neutro latino folia come un femminile singolare.
Già ben prima che l’impero romano d’occidente cadesse, la l davanti a un nesso di semivocale e vocale era articolata con più intensità, e in seguito s’è prodotto il nuovo suono palatale intenso che ha assorbito la i, che la grafia conserva solo in funzione diacritica. Foglio e foglia, come consiglio, famiglia, figlio, sono le forme che ci aspettiamo nell’evoluzione storica della fonetica: parole latine usate con continuità in tutta l’area romanza e dunque appartenenti al patrimonio ereditario che la lingua di Roma ci ha lasciato.
Alle parole della lingua comune, tuttavia, se ne affiancarono presto moltissime altre prese dal vocabolario latino per via dotta: termini del lessico letterario, intellettuale, religioso, accolti quando ormai i fenomeni evolutivi della fonetica si erano chiusi. In questi casi la grafia resta più fedele a quella latina, anche perché – banalmente – l’assunzione avviene prima per via scritta, dalla lettura visiva dei testi, e solo dopo nella pronuncia. Senza dimenticare i moltissimi latinismi presi di peso e nemmeno adattati alla morfologia della lingua moderna; uno di questi è l’espressione in folio, che significa letteralmente ‘in un foglio’ e indica un foglio di stampa piegato solo una volta, in modo che ne risultino quattro facciate.
Dunque la prima e più semplice risposta al dubbio è che le parole che conservano la grafia latineggiante sono recuperi moderni di forme latine, spesso tarde o medievali e rinascimentali, o anche creazioni molto più recenti ottenute con elementi formativi latini. Dunque non varianti erronee, ma solo di trafila colta.
Tuttavia la situazione è più intricata, come spesso accade nella foresta del vocabolario.
Prendiamo il foglio: nella terminologia del libro manoscritto e a stampa, il foglio di pergamena o di carta piegato a metà è chiamato bifoglio o bifolio: il grande e compianto paleografo Armando Petrucci ha usato alternativamente le due varianti nei suoi scritti, con una leggera preferenza per bifoglio; si dice inoltre foliazione, assai più raramente fogliazione, la numerazione dei fogli (così come la cartulazione – latinismo ancor più forte, da chartula ‘piccola carta’ – è la numerazione delle carte). Da quest’uso deriva foliazione per ‘numero complessivo di fogli’ di un giornale o di una rivista; anche per quest’accezione la variante fogliazione è attestata, ma è largamente minoritaria.
Alla foliazione del manoscritto e del libro a stampa è senz’altro legato il raro affoliazione ‘numerazione dei fogli di un documento’ segnalato da un lettore come termine delle cancellerie dei tribunali; dal GDLI ricaviamo che Costantino Arlìa, nel Lessico dell’infima e corrotta italianità (1881), condannava le parole affogliare e affogliato degli uffici, preferendogli numerare e numerato, e registrava anche l’ulteriore accezione burocratica di ‘accludere, inserire in un foglio’. In effetti la forma è ancora usata – seppur raramente – in tribunali e procure a proposito di fascicoli processuali, come si apprende da una ricerca nelle banche dati giuridiche DeJure e Pluris. Ma affoliazione non è una parola ottocentesca; una preziosa scheda dell’archivio digitale Vocanet, che integra le banche dati del Lessico giuridico italiano e della Lingua legislativa italiana registra addirittura un esempio di affogliazione datato 1522, negli Statuti della Honoranda Università de’ Mercatanti della Inclita Città di Bologna, che riporto:
Vogliamo & Ordinamo, Che quando fossero produtti nella detta Corte alcuni libri per approvarli & far approvare, nelli quali fosse alcuno mancamento nell’intitulazione, affogliazione, o per scrittura, il qual mancamento paresse al Giudice, & Consuli, & altri predetti, o per ignoranza di quello, c’avesse governato i detti libri, o ver di colui del quale fossero detti libri. Et il detto mancamento non fosse proceduto da fraude, dolo & inganno, ma per semplicità, possano non ostante tal mancamento, approvare i detti libri (rubr. 19, c. 62r).
E cercando in rete non è raro trovare affoliatio nel medesimo significato in testi giuridici latini di quello stesso secolo. Il latinismo è moderno, probabilmente d’epoca umanistica, poiché non risulta nei principali vocabolari del latino medievale, ed entra progressivamente nel vocabolario tecnico del diritto, fino a essere registrato nel Dizionario tecnico-pratico del notariato (1826) di Giovanni Calza da Gattinara, come informa sempre Vocanet.
Ci sono però un altro folio e un’altra foliazione, usati in matematica e, in particolare, in topologia; lo segnala un altro lettore, sempre chiedendo se non sia opportuno italianizzare la grafia. Il folio è una curva piana di terzo grado, così detta perché ha la forma di una foglia; è chiamata anche folium Cartesii, cioè ‘foglia di Cartesio’; aumentando i gradi dell’equazione, le foglie aumentano, e si avranno le curve dette bifolio, trifolio, e quadrifolio. Anche tra i matematici italiani si alternano la grafia latineggiante, preponderante per folio, evidentemente per non fare confusione con il più comune foglio, e quella italiana, prevalente nelle altre forme. Il GDLI attesta l’italiano folio in quest’accezione dal 1843; è probabile che una ricerca in testi specialistici più antichi consentirebbe di risalire più indietro nel tempo, ma più interessante mi sembra lo sviluppo, senz’altro da questo folio, di foliazione in topologia, la decomposizione di un oggetto geometrico descritta in termini che non sarei in grado di semplificare nell’Enciclopedia della scienza e della tecnica Treccani, cui rinvio. La grafia ci dice che l’origine probabile è dal moderno latino scientifico, ma attraverso l’inglese foliation, modellato su feuilletage, la parola che i matematici francesi Charles Ehresmann e Georges Reeb usarono quando svilupparono la nozione negli anni Quaranta del XX secolo; in italiano esiste – nello stesso significato – anche fogliettamento, che sembra però d’uso marginale.
Non finisce qui. In botanica si è preferito partire dalla foglia in senso proprio e dal verbo fogliare ‘produrre foglie, germogliare’, attestato già nel Duecento, per i derivati fogliare (agg. ‘della foglia’), fogliato, fogliatura, fogliazione (il Tommaseo considerava “più italiano” fogliatura), e fogliarizzazione ‘appiattimento di un ramo che lo rende simile alla lamina di una foglia’; antico è anche affogliare per ‘dare foglie (d’erba) al bestiame’. E in petrografia, dal significato estensivo – pure piuttosto antico – di foglia ‘lamina’, per es. d’oro, è stato tratto già nel Settecento fogliazione ‘divisione di una roccia in sottili lamine parallele’, formazione tipica delle rocce metamorfiche e distinta dalla stratificazione, propria delle rocce sedimentarie.
Eccoci così agli ultimi arrivati, defoliare/defogliare ed esfoliare. Già a fine Settecento il Dizionario universale di Francesco d’Alberti di Villanuova registrava defogliazione ‘caduta delle foglie’, ma non il verbo defogliare, che tuttavia è entrato pienamente nel lessico della botanica, dove prevale senza dubbio nella grafia italiana. Con una sola eccezione, dovuta a motivi più politici che botanici: defoliante, una parola che diventa drammaticamente famosa alla fine degli anni Sessanta, per l’uso del Napalm da parte delle forze armate statunitensi durante la guerra del Vietnam. Il Napalm è una miscela di sali di sodio e alluminio altamente incendiaria, usata per bruciare le fitte foreste locali dove si nascondevano i guerriglieri vietcong; le bombe e i razzi che contenevano questa sostanza gelatinosa erano chiamati defoliants ‘defoglianti’, ed è dunque la grafia latineggiante dell’inglese che tende a dominare nell’uso comune di aggettivo e sostantivo: lo conferma il primo Supplemento al GDLI (2004), che lemmatizza la forma defogliante, ma riporta solo esempi di defoliante. Basta consultare un corpus digitale per accorgersi di questa asimmetria: defogliare e defogliazione, tecnicismi botanici, ricorrono molto più spesso delle varianti con ‑foli‑, mentre accade esattamente il contrario per defoliante rispetto a defogliante.
Pure d’origine esogena è la grafia di esfoliante, esfoliare ed esfoliazione. Sebbene il GDLI attesti esfogliativo ed esfogliazione – nel significato medico di ‘sfaldamento di strati dell’epidermide’ – nel Vocabolario universale della società tipografica Tramater, pubblicato a Napoli negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, la fortuna di queste parole è ben più recente, degli ultimi anni del Novecento, e si deve alla cosmesi: ancora il primo Supplemento del GDLI riporta esempi di esfoliante ‘prodotto per l’esfoliazione’ ed esfoliazione ‘pulizia dell’epidermide dagli strati di cellule superficiali’ in giornali e riviste dei primi anni Novanta del XX secolo, mentre per esfoliare si arriva addirittura al 2005 (le voci, però, sono tutte lemmatizzate nelle forme con esfogli‑; al contrario, il Vocabolario Treccani preferisce esfoli- e non ammette la grafia italiana nemmeno tra le varianti).
La parola esfoliare risale con evidenza a exfoliare, un prefissato della tarda latinità rivitalizzato nella lingua scientifica dall’Illuminismo in poi, quando entra in tutte le lingue d’Europa uno stuolo di grecismi e latinismi, spesso coniati forzando le regole formative e semantiche delle due lingue classiche, ma preservandone la grafia (per il greco, ovviamente, in traslitterazione latina). L’origine, dunque, sarà probabilmente da cercare nel verbo inglese (to) exfoliate, da cui anche exfoliant ed exfoliation. Da exfoliare l’italiano aveva tratto già da tempo – per via popolare – sfogliare, transitivo ‘staccare le foglie’, intransitivo ‘perdere le foglie’, ed estensivo ‘tagliare i fogli’ e poi ‘voltare i fogli’; e qui il cerchio si chiude.
Ricapitolando: i derivati di foglio sono meno numerosi, e le forme con grafia moderna o latineggiante si alternano con un certo equilibrio: bifoglio e bifolio nelle scienze del libro, foliazione o fogliazione – piuttosto noto anche al parlante comune – nella lingua dell’editoria; affogliazione e affoliazione, decisamente rari e specialistici, ma singolarmente antichi, nell’uso giuridico e burocratico. I derivati di foglia prendono invece strade diverse: in botanica si mantiene la grafia con ‑gl-, e così pure in petrografia; in matematica e topologia prevale nettamente la grafia latineggiante, ma la variante moderna è ammessa. Il modello latino, però assunto tramite altre lingue (probabilmente l’inglese, che è all’origine del folico di acido folico ‘sostanza vitaminica estratta dalle foglie’), domina in defoliante e nelle forme di esfoliare.
Che conclusioni trarne? Intanto, che con le parole d’origine latina i doppioni (o allotropi) sono da sempre diffusissimi nella nostra lingua (pensiamo a famigliare e familiare o ai più rari, ma illustri, soglio e solio ‘trono’ e ‘potere’ di un sovrano), e una razionalizzazione che livellasse le grafie sarebbe in molti casi una forzatura antistorica e contraria alla sensibilità linguistica diffusa. Poi, che alcuni vocabolari specialistici raggiungono naturalmente una sorta di omeotermia, autoregolandosi e adottando in modo abbastanza sistematico una grafia a scapito di un’altra: è il caso della botanica, dove le forme che risalgono a foglia hanno una prevalenza direi anche simbolica. In altri casi, soprattutto quando le parole entrano nel circuito della lingua di tutti i giorni, a dettar legge è l’uso prevalente: sarebbe difficile sostituire d’autorità esfogliante o sfogliante a esfoliante, e tanto più sfogliare a esfoliare. Semmai potrebbe essere utile qualche forma di supervisione autorevole all’ingresso dei neologismi, per suggerire – soprattutto a specialisti e pubblicisti – le soluzioni più consone alle regole formative dell’italiano. Solo per affogliazione / affoliazione mi permetto di esprimere un modesto parere, riprendendo l’opinione dell’Arlìa: non sarebbe preferibile, e molto più trasparente, numerazione?
Riccardo Gualdo
13 febbraio 2022
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