Alcuni lettori ci chiedono quale sia la forma corretta: cuciniamo qualcosa all’insalata o in insalata? Ed è preferibile dire e scrivere riso all’insalata o insalata di riso, pomodori in insalata o insalata di pomodori?
“Oggi parliamo di insalate di riso o riso all’insalata o riso in insalata”, si legge nella pagina di un blog di GialloZafferano dedicata al gustoso piatto freddo, che giustappone le tre possibili alternative lessicali. Lo stesso accade nella Cucina italiana, sito di livello certamente più alto e controllato – come ha recentemente rilevato Giovanna Frosini sulle pagine di questa stessa rivista (Frosini 2020, p. 85) – dove manca, tuttavia, il modulo all’insalata, forse perché percepito come marcato (ed è in effetti assente nei principali dizionari sincronici: vedi infra): “È tempo di riso freddo, insalate di riso e riso in insalata, chiamatelo come volete”.
Le alternative proposte dai due siti culinari presentano in rete valori ben diversi: insalata di riso conta un numero di occorrenze di gran lunga superiore (794.000) rispetto a riso in insalata e riso all’insalata, di cui Google restituisce rispettivamente 8.420 e 4.220 esempi. Le proporzioni tra i risultati si ripetono in misura analoga prendendo a campione le altre serie sinonimiche indicate dai nostri lettori, come ad esempio insalata di pomodori e pomodori in/all’insalata: il sintagma con preposizione di raggiunge la quota più alta (147.000 occorrenze), mentre è piuttosto esigua la fortuna delle espressioni concorrenti (6.410 per pomodori in insalata e 2.000 per pomodori all’insalata; ricerca del 27/11/2022).
Il dato quantitativo, pure rilevante, va senz’altro integrato con quello qualitativo per cogliere eventuali differenze semantiche. Iniziamo dagli usi diacronici: sotto la voce insalata, attestata a partire dal Due-Trecento, il GDLI, oltre a registrare numerosi sintagmi nominali (insalata composta, mista, cruda, cotta, di campo, ecc. fino alle più patriottiche insalata costituzionale e insalata tricolore), include varie espressioni del tipo ‘nome + preposizione + nome’ fra le quali proprio insalata di riso ‘riso freddo, variamente condito, servito con pezzetti di verdura e altri ingredienti’, di cui non fornisce alcun esempio. Seguono le espressioni in insalata e a insalata – con preposizione semplice – col significato di ‘condito con olio, sale, aceto o limone’ e con attestazioni a partire dal Quattro-Cinquecento, anche con connotazione scherzosa: “Aprendo gli occhi a un sonar di corno / quando i Barbogi fer la ragunata, / bocconi e buoi vestiti in insalata / mangiavan lasche fritte entro ’n un forno” (sonetto già attributo per errore al Burchiello nella “farraginosa stampa pseudolondinese” del 1757, come la definisce Zaccarello 2004, p. 15, che espunge il testo dalla vulgata quattrocentesca). Non mancano poi gli sviluppi idiomatici: accanto a qualche espressione più antica, già cinquecentesca, come non essere all’insalata ‘restare ancora molto da fare, non essere ancora al termine’ (Grazzini; da confrontare con l’oggi ben più diffuso essere alla frutta, anch’esso attestato a partire dal Cinquecento, in Ludovico Dolce: cfr. GDLI, s.v. frutta), prevalgono locuzioni otto-novecentesche come mangiare qualcuno in insalata ‘essergli di gran lunga superiore, superarlo, vincerlo con facilità’, documentata a partire da Garibaldi (I mille: “Tutti esti grandi politiconi volevan mangiare i rivoluzionari in insalata!”) e presente anche nella lessicografia dell’uso odierno in forma pronominale intensiva (mangiarsi qualcuno in insalata; cfr. la scheda di Massimo Bellina).
Venendo quindi agli usi sincronici, a differenza delle forme concorrenti riso in insalata e riso all’insalata, nei principali vocabolari dell’italiano insalata di riso è sistematicamente lessicalizzato e registrato in forma di locuzione sostantivata (Sabatini-Coletti, GRADIT; Vocabolario Treccani online lo riporta come sintagma). Registrato singolarmente è pure in insalata (ad eccezione del Devoto-Oli 2018): nella classificazione dei repertori si può distinguere tra chi lo definisce locuzione avverbiale (Vocabolario Treccani online) e chi invece lo considera locuzione aggettivale (così GRADIT, Sabatini-Coletti e Zingarelli). Assente nella lessicografia sincronica è, infine, il sintagma all’insalata, tanto da far sospettare un uso poco comune se non marginale, come già lasciavano ipotizzare i dati di frequenza su Google.
A confermare questa impressione è uno sguardo alla storia dell’espressione nei ricettari italiani, oggi facilmente sondabili nel loro complesso grazie a un nuovo corpus testuale a loro interamente dedicato, che sarà presto disponibile in rete: la banca dati dell’AtLiTeG (Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità), che raccoglie tutti i testi italiani di interesse gastronomico dal Medioevo all’unificazione nazionale. Scopriamo così che in insalata è sintagma ben più antico e diffuso mentre sono del tutto episodiche e recenziori le occorrenze di all’insalata, che compare due sole volte all’interno di altrettanti ricettari ottocenteschi in riferimento allo stesso designatum, il broccolo: “al bordo del piatto [scil. della caponata] ci porrai, intersecando, delle piccole cimette di cavolifiori e broccoli romani, lessati ed accomodati all’insalata” (Ippolito Cavalcanti, Cucina teorico-pratica, Napoli 1852); “broccole all’insalata” (titolo della ricetta; Giovanni Felice Luraschi, Nuovo cuoco milanese economico, Milano 1853).
Allargando il secondo contesto possiamo notare che il titolo broccole all’insalata è preceduto da alcune significative intestazioni incardinate sulla stessa struttura “alla + aggettivo (specie etnico)”: broccole alla milanese, all’italiana, all’inglese, ecc. Si tratta di uno dei moduli sintattici caratteristici della lingua del cibo destinato a larga e duratura fortuna: ancora nella Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi circa il 15% delle ricette avrà un’intitolazione di questo tipo (Frosini 2009, p. 82).
Alla luce di questi dati, non sarà pertanto da escludere l’interpretazione di all’insalata come costrutto analogico tardo, di genesi ottocentesca, nato sul modello di sintagmi lessicalizzati del tipo ‘nome alla X’, con sostituzione dell’usuale aggettivo con un sostantivo, insalata appunto, originariamente usato anche con funzione aggettivale. Nei più antichi ricettari italiani, come ad esempio il toscano Libro de la cocina, la voce compare infatti in espressioni come carne insalata ‘sottoposta a salagione’ (Möhren 2016, p. 136; Carnevale Schianca 2011, p. 310).
A favorire una certa diffusione del sintagma potrebbe essere stato anche l’influsso del tipo dialettale con preposizione primaria a insalata (vedi supra) che pare però forma meridionale, come rivela un controllo incrociato della lessicografia storica e dei dizionari dialettali; si legga ad esempio l’unico passo allegato in proposito dal GDLI: «“Si mangiano a insalata [scil. le arance]”, io dissi, “qui da noi”» (Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Milano 1958). La caratterizzazione diatopica è inoltre evidente sin dai primi risultati di una ricerca effettuata su Google digitando la stringa “riso a insalata” che restituisce soprattutto stralci dialogici e interattivi da forum e gruppi di discussione del Sud Italia, nonché intitolazioni virali come “Oggi per pranzo mi sono fatto un super riso a insalata” di un seguitissimo tiktoker calabrese.
Quanto invece al sintagma in insalata, la prima attestazione in letteratura (gastronomica) risale al Cinquecento, all’interno del Diario del Pontormo (Fedi 1996, p. 47), ricchissimo, com’è noto, di terminologia alimentare: “El mercoledì sera l’altra meza fritta e del zibibo uno buondato e 5 quatrini di pane e caperi in insalata”.
Anche nei ricettari del Sei-Settecento si continua a mangiare in insalata. È quanto si rileva, ad esempio, dalla consultazione dell’importante Libro dello scalco (Roma 1609) e dell’Apicio overo il Maestro de’ conviti (Bologna 1647), con una notevole differenza: nella raccolta di Cesare Evitascandalo a cucinarsi in insalata sono soprattutto frutta e verdura (cetroli, cicoria, limoni), mentre nell’Apicio prevalgono le preparazioni a base di carne o di pesce (pesce cappone in insalata, piedi di capretti in insalata, polpe di luccio in insalata).
Un numero leggermente minore di occorrenze mostra invece nel corpus AtLiTeG il modulo ‘insalata di X’, documentato a partire dai Banchetti del ferrarese Cristoforo Messi Sbugo (Ferrara 1549) – testo spartiacque della letteratura gastronomica italiana, di cui sarà presto pubblicata la nuova edizione a cura di Veronica Ricotta (insalata di spargi, insalata di tartuffole, cappari, et uva passa, ecc.) –, fino alle elaborate ricette del Piccolo Vialardi (Torino 1899: insalata di gamberi di mare, di pesce, di carne, di volaglia, ecc.). La consultazione del TLIO ci consente poi di risalire ancora più indietro, alla lingua italiana delle Origini, con un componimento poetico di Cenne de la Chitarra: “e poi, diretro a questo, una insalata / di salvi’ e ramerin, per star più sani, / carne de volpe guascotta a due mani / e, a cui piacesse, drieto cavolata” (cfr. TLIO s.v.).
Nessuna traccia però, almeno nei ricettari fino all’Unità, di insalata di riso, destinata invece, come si è visto, a prevalere nell’uso odierno. Per le prime attestazioni dell’espressione bisognerà attendere gli anni Trenta del Novecento: a questo periodo risalgono le occorrenze reperite attraverso Google libri, localizzate in riviste femminili o pubblicazioni di settore. La prima riconduce alla nota Guida gastronomica d’Italia del Touring club (Milano 1931, p. 34), dove la ricetta è annoverata fra le più tipiche della Bassa novarese; l’anno dopo, nel patinato rotocalco femminile La donna compare invece “un’insalata (!) di riso e crescione” (Pica 1932, p. 54) con una marca che lascia pensare a un uso non ancora acclimatato; infine, in un articolo apparso su Panorama. Enciclopedia delle attualità a firma della nota giornalista di moda Emilia Rosselli (cugina degli eroi antifascisti Carlo e Nello Rosselli) si dice che “ottima risorsa è sostituire la minestra con una insalata di riso” (Rosselli 1939, p. 121).
Malgrado la sua storia recente, forte è il grado di penetrazione dell’espressione nella nostra lingua: secondo i dati sulle frequenze d’uso ricavabili tramite Ngram Viewer, la sua diffusione è infatti cresciuta in maniera esponenziale a partire dagli anni Settanta – con un incremento più sensibile negli ultimi due decenni –, a tutto detrimento di riso freddo, dalla storia più lunga, già primo-ottocentesca, ma con un decremento già dagli anni Ottanta e poi, di nuovo e più nettamente, dal 2014.
Sulla scorta di tutte le considerazioni qui svolte, ci sentiamo dunque di consigliare sia la locuzione nominale insalata di riso, in quanto più diffusa e registrata in tutti i principali repertori lessicografici dell’italiano, sia, più in generale, il sintagma in insalata, che, seppure semanticamente equivalente a all’insalata, esibisce ai “controllori” della lingua una patente di maggiore antichità e di più frequente utilizzo. Nel dubbio quindi, per riprendere le parole di un antico ricettario, il Cuoco maceratese di Antonio Nebbia (Bassano 1820), “mandateli in tavola in insalata”.
Nota bibliografica:
Francesca Cupelloni
24 marzo 2023
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