Ci sono arrivati alcuni quesiti che ci chiedono se è legittimo usare i nomi maschili pedone, personaggio, drago e genio quando sono riferiti a donne (o a esseri femminili).
Premessa
La tematica della femminilizzazione dei nomi maschili – che abbiamo già molte volte affrontato nelle risposte della consulenza o in altre pagine del sito – investe prevalentemente quelli che si riferiscono a professioni e cariche tradizionalmente ricoperte solo o soprattutto da uomini. Su questo tema, e più specificamente “sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari”, la nostra Accademia è stata interpellata di recente anche da un organo autorevole quale il Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione. La risposta si trova allegata al verbale della seduta del 26 gennaio 2023 del Consiglio direttivo allora in carica, ed è reperibile su questo sito.
Il problema ormai sembra estendersi non solo ai nomi di professioni o di cariche, ma ai nomi maschili in generale quando, usati in senso proprio o figurato, si riferiscono a donne. È bene ricordare anzitutto che, se è vero che il genere grammaticale, nelle lingue che conoscono questa categoria, tende, con riferimento agli esseri umani, a coincidere con il genere naturale, questo non avviene proprio sempre. Nel caso dell’italiano, non sembra turbare più di tanto il fatto che ci siano nomi femminili che designano anche e soprattutto uomini (sentinella, guardia, guida, spia, vedetta, ecc.; ma si pensi anche all’uso figurato di carogna o di frana); anzi, il nome femminile persona è universalmente accettato per indicare ogni essere umano (a prescindere dal genere), così come, in vari dialetti e italiani regionali, il nome femminile creatura (specie al plurale: creature) designa sia bimbe sia bimbi. Tuttavia, nel caso di nomi maschili riferiti a donne, la mozione (cioè l’adeguamento del genere grammaticale al genere naturale di esseri umani o comunque animati) è molto frequente: da modello si è passati a modella (cfr. Anna M. Thornton, La datazione di modella, in “Lingua nostra”, LXXVI, 2015, pp. 25-27); il soprano (con il plurale i soprani) si usa spesso al femminile (la/le soprano: si veda la mia risposta su questo stesso sito), perfino membro/membri tende a essere sostituito da membra/membre (si veda la risposta di Anna M. Thornton in “La Crusca per voi”, 49, 2014, pp. 14-15). Siamo però, in fondo, sempre nell’ambito delle professioni o delle cariche.
I nomi epiceni
Ci sono dei nomi, detti epiceni, che mantengono il genere grammaticale (maschile o femminile che sia) a prescindere dal genere naturale della persona o dell’animale a cui vengono riferiti: è il caso, da un lato, di persona e degli altri nomi femminili sopra ricordati, a cui si possono aggiungere vittima, maschera, pedina in senso metaforico (negativo), e, dall’altro, di nomi come essere, individuo, soggetto, ostaggio, maschili anche se riferiti a donne. Lo stesso vale per nomi come amore o tesoro (e, in passato, anche bene e, nella lingua letteraria, idolo) da un lato e gioia mia e vita mia dall’altro, usati in funzione allocutiva o appellativa dagli innamorati, a prescindere dal sesso (è vero però che, nell’uso giovanile, non sono rare forme femminili come tesora, amora e perfino ama per amo come accorciamento di amore). Nella categoria dei nomi epiceni – a cui appartengono anche figura e tipo, visto che le forme con mozione figuro e tipa hanno significati diversi, e peggiorativi – rientrano (o almeno dovrebbero rientrare, secondo lo standard tradizionale) anche quelli su cui ci sono pervenute domande: genio, pedone, personaggio e drago (a cui aggiungiamo per completezza mostro in senso metaforico, sia negativo, sia anche positivo, come avviene del resto per drago). Non c’è dubbio che questo sia l’uso dello standard, documentato dalle seguenti frasi (le prime tre sono exempla ficta; le ultime due citazioni):
Maria è un genio!
Il personaggio di Antigone è uno dei più poetici del teatro greco.
In Iron Lady Meryl Streep è un mostro di bravura.
UN ALTRO PEDONE INVESTITO, STAVOLTA È UNA DONNA DI 80 ANNI, IN GRAVI CONDIZIONI (Genovaquotidiana.com, 23/12/2022; nell’esempio, tuttavia, pedone si può anche considerare un “maschile non marcato”)
Ma no, anche l’estate, invece, sarebbe tornata immancabilmente, uguale al solito. Non la si può uccidere, essa è un drago invulnerabile che sempre rinasce, con la sua fanciullezza meravigliosa. (Elsa Morante, L’isola di Arturo, Torino, Einaudi, 1957, p. 375; dal corpus PTLLIN; qui è riferito all’estate, che non è una persona, ma che nel contesto viene personificata)
L’effettiva unicità della forma maschile di questi nomi nell’italiano di oggi può essere documentata da alcuni dei dizionari più accreditati (oltre al GDLI, che è un dizionario storico, abbiamo consultato il GRADIT, il Vocabolario Treccani in rete, le ultime edizioni del Devoto-Oli 2023 e dello Zingarelli 2024), attraverso le definizioni e gli esempi forniti nei lemmi delle forme maschili e la presenza o meno (secondo le diverse modalità adottate nei singoli dizionari) delle corrispondenti forme femminili (avverto che dalle voci lessicografiche via via riportate si omettono sillabazione, pronuncia e altre indicazioni non pertinenti al nostro discorso), ma anche dalla documentazione attinta ad altre fonti, e in particolare dalla rete. Passiamo allora in rassegna i singoli nomi, in un graduale ordine crescente di apertura alle forme femminili.
Personaggio
Cominciamo con il caso, molto particolare, di personaggio. Nessun dubbio sull’utilizzo esclusivo del maschile, che è l’unica forma registrata nei nostri dizionari, anche per indicare protagoniste o comprimarie di opere poetiche, narrative o teatrali. Va però detto che la SIL (Società Italiana delle Letterate), di ispirazione femminista, usa da tempo il termine personaggia con riferimento a figure femminili create da scrittrici e non da scrittori: si vedano specificamente il volume L’invenzione delle personagge, a cura di Roberta Mazzanti, Silvia Neonato, Bia Sarasini, [Roma], Iacobelli, 2016, e il sito dell’associazione, in cui si segnala che è in programma un Dizionario delle personagge. La scelta della Società Italiana delle Letterate è ricordata (ma forse non ben percepita nel suo senso) da un lettore; tra le domande pervenuteci, varie, anche di lettori maschi, mostrano un’apertura a personaggia, mentre una lettrice ritiene preferibile parlare di personaggio femminile. Data la presenza crescente, dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, di poetesse (o poete), narratrici, drammaturghe, critiche letterarie, ecc., l’uso di personaggia sembra destinato ad aumentare, ma, come si è detto, ha una restrizione importante rispetto al maschile e implica l’accoglimento di un ben definito orientamento ideologico (oltre a una sicura competenza storico-letteraria).
Mostro
Si tratta di una nostra integrazione, perché non ci sono stati proposti quesiti sul femminile di questo nome, che resta maschile anche quando viene riferito a donne, come documentano due esempi riportati nel GRADIT: “pettinata così sei un mostro!” e “quella donna era un mostro di avarizia”. È possibile e anzi probabile che la presenza di mostra ‘esposizione’ (lessema etichettato nello stesso dizionario come appartenente al lessico di Alto Uso, e quindi rientrante nel Vocabolario di Base, al pari di mostro, che però è etichettato come Fondamentale, dunque più ampiamente attestato) blocchi la possibile mozione. Un esempio della stringa “sei una mostra” ci viene restituito da Google libri (ricerca del 24 luglio 2023):
«Sei una mostra! Non ho ancora le unghie asciutte! Dei d’Egitto, ho perso una ciglia finta! Adesso impazzisco! Im-paz-zi-sco!» «Ma che cacchio, tutte le volte la stessa scena? Sono lì le tue ciglia, dietro gli assorbenti, come sempre!» (Andrea Rizzi, L’A maiuscola, 2022, e-book)
L’esempio non sarebbe neppure molto probante, perché a parlare è un travestito e, almeno nello stereotipo con cui vengono rappresentati, personaggi del genere usano spesso al femminile nomi maschili. Tuttavia, in rete, e in particolare su Twitter, si trovano alcune recenti occorrenze di “sei una mostra!”.
Drago
In questo caso partiamo dalle prime due accezioni della voce riportata nel GRADIT (la prima marcata come voce del Vocabolario di base, nel settore del lessico di Alta Disponibilità, la seconda come COmune):
drago s.m. AD 1 mostro favoloso rappresentato per lo più in forma di enorme rettile alato che sputa fuoco 2 CO fam., persona molto abile e capace: nel suo lavoro è un d., Maria è un d. in qualsiasi genere di sport
Mentre per il primo significato il dizionario lemmatizza anche il femminile draga (sia pure come OBsoleto), nel secondo, come risulta da un esempio, il maschile drago si può riferire anche a una donna.
La voce draga è lemmatizzata anche nel GDLI, documentata da due soli esempi cinquecenteschi, entrambi usati in senso figurato con riferimento a personaggi femminili (nel caso dell’Aretino non lo si evince con certezza dal contesto, ma lo abbiamo verificato):
Draga, sf. La femmina del drago o serpente. - Anche per simil.
Aretino, II-113: Andava come una draga per le forche a cavar gli occhi a gli impiccati. Berni, 65-49 (V-217): Martassin con un colpo glie l’aperse, / e le fe’ sopra ’l capo una gran piaga, / Bradamante per questo non si perse; / ma riscaldata a guisa d’una draga, / a Martassin d’un gran colpo rispose.
Non direi che la mancanza di attestazioni più recenti si spieghi con la presenza, anche in questo caso, di un omonimo, draga ‘escavatore subacqueo’, perché si tratta, come è indicato nel GRADIT, di un Termine Specialistico, non paragonabile a mostra ‘esposizione’.
L’espressione “Sei una draga!”, nel senso figurato di ‘sei di una bravura eccezionale’, evidentemente riferito a una donna, ha 588 risultati in Google: un numero ridotto, che probabilmente si spiegherà col fatto che anche l’uso figurato del maschile è oggi meno diffuso rispetto al passato.
Ci pare opportuno segnalare che di drago esiste anche l’allotropo dragone, oggi assai poco usato, che richiama altre coppie analoghe nel mondo degli animali reali o immaginari, come grifo/grifone e falco/falcone. E da dragone è stato formato non dragona, voce assente da tutti i nostri dizionari, forse bloccata dalla presenza di un omonimo, indicante la “doppia striscia di cuoio o di cordoncino fissata in capo all’elsa delle sciabole militari, entro la quale si infila il polso per rendere la presa più sicura” (GRADIT), bensì dragonessa, voce registrata in tutti i nostri dizionari (e citata dalla lettrice che ci ha posto la domanda), sia in senso proprio, sia in quello di ‘donna grossa, crudele e violenta’. Riportiamo la voce del GDLI, che documenta entrambe le accezioni nel Salvini e la seconda ancora nel Cuoco.
Dragonéssa, sf. La femmina del dragone.
Salvini, 17-546: Era presso, fontana di bell’acqua, / ove la dragonessa uccise il sire / figliuol di Giove con la forte coda.
2. Figur. Donna grossa, crudele, violenta. - Anche: la dea della guerra.
Salvini, 24-320: Unigenita Pallade, ... / dragonessa di divin furor vaga, / chiara, onorata, de’ flegrei giganti / spergitrice. Cuoco, 2-I-110: Che cosa è la donna? Desiderio dell’uomo, fiera domestica, leonessa socia di letto, dragonessa custodita.
A dispetto della sua registrazione anche nei dizionari sincronici, oggi la forma non sembra più in uso. Come femmina del drago si usa piuttosto draghessa, che ha molte attestazioni, anche come nome proprio di personaggi finzionali: citiamo solo, per es., la Draghessa sputafuoco di Shrek, che peraltro, come si legge in Wikipedia viene chiamata Dragona da Fiona nel doppiaggio italiano, all’inizio di Shrek 2 (film d’animazione del 2004).
Genio
Dei vari significati della parola (che deriva dal latino Genius, nome della divinità tutelare della nascita), due sono quelli per i quali si pone il problema di una possibile forma femminile: quello di ‘essere immaginario o astratto a cui si attribuisce la ragione di una nostra scelta nel campo pratico e del corrispondente risultato’ o, più specificatamente, di ‘spirito dotato di potere magico’, come il genio della lampada di Aladino (Devoto-Oli 2023), e quello di ‘persona dotata di eccezionale e irripetibile capacità inventiva e interpretativa propria dello spirito umano’ (ivi), significato certamente più comune (spesso peraltro usato in modo antifrastico).
Ebbene, la lessicografia non registra per nessuno dei due sensi una possibile forma femminile, neppure nel caso della locuzione genio incompreso e degli alterati, spesso lemmatizzati autonomamente, genietto e geniaccio (il lemma geniaccia dello Zingarelli 2024 è il peggiorativo di genìa ‘stirpe’); la forma genina, citata dal lettore che ci ha posto la domanda, sarà frutto di un errore, perché si tratta di un termine chimico, che nulla a che fare con genio.
Nell’uso concreto, invece, le cose stanno in modo un po’ diverso. Nel senso di ‘spirito dotato di potere magico’, su Google e su Google libri troviamo varie occorrenze della forma geniessa, accostabile, come la coppia sopra citata drago/draghessa, a orco/orchessa, dove peraltro il suffisso -essa si giustifica anche col fatto che l’orca è un animale, reale o immaginario:
Domenichino immaginò in questa figura una Geniessa che colle deboli e bianche mani sta facendo un innesto ad una pianta. (Roberto d’Azeglio, Studi storici e archeologici sulle arti del disegno, Firenze, Le Monnier, 1861, vol. II, pp. 377-378; il corsivo è dell’autore, che lo usa anche poco prima per la forma Angiolesse)
Suo figlio è un genio, suo figlio è un Dio! E lei, che lo ha figliato, lei è una Dea! ... è una ... geniessa lei! (Michele Cuciniello, Il Pergolesi. Dramma storico in quattro atti, Milano, Barbini, 1875, pp. 17-18)
Dhandi è una bambina orfana che vive in povertà fra le strade di Agrabah. Sarà lei a liberare la geniessa Eden, di cui diverrà la padrona. (Personaggi di Aladdin, Wikipedia, con riferimento alla serie televisiva Aladdin, prodotta dalla Disney e andata in onda a partire dal 1994)
Quanto al significato di ‘persona dotata di eccezionali capacità intellettive o artistiche’ (accezione per la quale si potrebbe ipotizzare che genio sia una riduzione di uomo di genio, a cui è certamente lecito affiancare donna di genio, che in effetti è espressione attestata, anche come titolo di un concorso riservato a donne tuttora attivo), in rete si trovano numerosissime occorrenze della frase “Sei una genia!” (Google dà 1.630 risultati; moltissime sono anche le attestazioni su Twitter), che stanno a dimostrare come nell’uso comune il femminile sia ben diffuso: ci sono anche 121 risultati per genia incompresa e c’è il Diario di una geniaccia; numerose sono poi le occorrenze di genietta, che però è anche il nome proprio di una bambola, una specie di fatina.
Pedone
Il nome (dal lat. medievale pedone(m), derivato di pes, pedis ‘piede’) ha vari significati, a partire da quelli, registrati come OBsoleti nel GRADIT, di ‘corriere’ e di ‘fante’ (grado militare di chi andava a piedi). Anche in questo caso il problema si pone per due accezioni, per le quali riportiamo quanto si legge nei vari dizionari da noi consultati, che registrano tutti (in varie modalità) la forma femminile in -a.
GDLI
pedone s.m. (f. -a)
2 Ciascuno degli otto pezzi uguali che nel gioco degli scacchi sono a disposizione di ognuno dei giocatori, collocati inizialmente in fila davanti agli altri pezzi dello stesso colore
4 Chi procede a piedi in un viaggio o nel traffico cittadino; chi cammina o passeggia per una via; passante (e si contrappone a chi viaggia su una cavalcatura o su un veicolo o a chi guida un’automobile).
GRADIT
pedona s.f. 1 scherz. → pedone 2. OB Pedina
pedone s.m. 1 chi procede a piedi, spec. nel traffico cittadino: strada riservata ai pedoni, un continuo andirivieni di pedoni […] 3 negli scacchi, ciascuno degli otto pezzi uguali di minor valore a disposizione di ciascun giocatore, che si muove in verticale lungo le colonne senza poter retrocedere
Vocabolario Treccani online
pedóna s.f. – 1. Femm., per lo più scherz., di pedone nel sign. 1: c’era una graziosa p. che attraversava la strada. 2. Forma ant. per pedone nel gioco degli scacchi: ti darò scaccomatto Colla pedona in mezzo lo scacchiere (Pulci), ti vincerò clamorosamente; fu usato anche con il sign. di pedina, in senso proprio e, in senso fig., nell’espressione muovere una pedona, compiere un passo per raggiungere un determinato obiettivo: benché seco avesse poche posse, Pur non di manco del futuro gioco Fu la prima p. che si mosse (Machiavelli).
pedóne 1. Chi cammina a piedi: tempo ... che sappiamo esser brevissimo, ed al sicuro non è più di quello, nel quale un p. cammina due passi (Galilei); ogni volta che il baroccio aveva raggiunto qualche p., si barattavan domande e risposte (Manzoni). Con partic. riferimento al traffico cittadino: strada riservata ai p.; dare la precedenza ai pedoni. 3. Nel gioco degli scacchi, ciascuno degli otto pezzi di minor valore di cui dispone ognuno dei giocatori […]
Devoto-Oli 2023
pedone s.m. 1. (f. -a) Persona che procede a piedi, spec. nel traffico cittadino 2. (f. -a) giochi arc. Negli scacchi, ciascuno degli otto pezzi di minor valore di cui dispone ognuno dei giocatori
Zingarelli 2024
pedona s.f. † pedina degli scacchi
pedone s.m. 1 (f. scherz. -a) chi cammina a piedi, spec. contrapposto a chi si sposta con un veicolo: viale riservato ai pedoni 2 ciascuno dei 16 pezzi minori del gioco degli scacchi che, nella disposizione iniziale dei pezzi, si collocano davanti agli altri
In Google libri risultano anche diversi esempi di forme citate pure in alcune richieste pervenuteci: la pedone e pedonessa (sulla cui formazione può aver influito il modello di barone/baronessa), quest’ultimo documentato in passato nel senso di ‘moglie di un pedone, di un fante’ e oggi usato scherzosamente (non di rado viene racchiuso tra virgolette):
Nella fattispecie concreta, la Corte dichiara che la condotta della pedone, che ha attraversato la strada in maniera repentina, parlando al telefono e senza guardare se stessero sopraggiungendo contemporaneamente veicoli, inosservante sia delle regole sulla circolazione stradale sia di quelle di comune prudenza, è incontrovertibilmente colposa. (La responsabilità dell’investimento è del pedone se attraversa la strada parlando al cellulare, “Diritto e Giustizia”, 28 agosto 2019)
Parte ricorrente ritiene insufficiente e contraddittoria la motivazione: con la quale l’impugnata sentenza ha determinato il concorso di colpa della conducente dell’autovettura investitrice nella misura dell’80%e della pedone investita nella misura del 20% senza motivazione e/o con motivazione insufficiente e contraddittoria. Ritiene parte ricorrente che, nella specie, il rapporto eziologico necessario a determinare l’imputabilità concorsuale del comportamento della pedone non sussiste e l’investimento è derivato solo dallo sbandamento dell’auto che ha attinto la pedone. (Comportamenti dei pedoni Corte di Cassazione sez. III civ., Sentenza n. 5540 del 9 marzo 2011, “Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti”)
Il mondo dei pedoni e delle “pedonesse” (“La Provincia di Lecco”, 11 giugno 2013)
Inviato da: una pedona....o pedonessa? il martedì, 19 giugno 2018 (Casi metropolitani, “Corriere della Sera – Forum)
Io sono una “pedonessa” anche perché se dovessi avere a che fare con questa gente mi finirebbe male. (Basta con i posteggiatori | La mappa di Livesicilia)
Possiamo dire che la forma pedona, registrata anche da un dizionario storico come il GDLI – e accostabile a femminili come padrona e barbona, femminile di barbone nel significato del fr. clochard, e cioè di persona senza fissa dimora, di aspetto trasandato, che vive di espedienti e di elemosine, ai margini della società (e che, se donna, non ha la barba) –, si può senz’altro accettare e usare senza alcuna connotazione scherzosa. Oltre tutto, pedone è usato anche come aggettivo e come tale ha il suo regolare femminile pedona (cfr. la locuzione alla pedona ‘a piedi’, registrata nel GDLI e oggetto di una domanda a cui così, di passata, rispondiamo).
Le voci nel Vocabolario Treccani (2022)
Per concludere l’analisi lessicografica, vediamo il trattamento dei nomi finora considerati nell’ultima edizione (2022) del Vocabolario Treccani, che si caratterizza per la particolarità di lemmatizzare insieme nomi maschili e femminili (ove le coppie esistano), seguendo l’ordinamento alfabetico, il che determina spesso l’anteposizione del nome femminile al corrispondente maschile, che pure – oltre a essere quello più antico – ha spesso anche una gamma di usi più ampia. Ebbene, in questo dizionario troviamo le seguenti entrate: drago, genio, mostro (mostra, mostro è registrato come participio passato di mostrare nella lingua antica e letteraria) e personaggio, ma pedona, pedone, a conferma che solo l’ultimo termine ha una forma femminile ormai generalmente accolta. Aggiungiamo (e così rispondiamo a un altro quesito, posto da una lettrice) che lo stesso dizionario lemmatizza angela, angelo e diavola, diavolo (ma, comprensibilmente, solo demonio): effettivamente le forme angela e diavola sono legittime, nonché ben attestate (e da secoli: angela è anche in Dante), in senso figurato (di diavolo c’è anche il femminile diavolessa, usato non di rado in senso proprio per indicare una figura demoniaca femminile), ma il maschile è tuttora molto frequente anche con riferimento a donne: “Maria è un angelo!”; “quel diavolo di tua zia!”, ecc. Come non ricordare, per chiudere, lo stereotipo la donna è l’angelo del focolare, registrato nella stessa voce del Vocabolario Treccani? Ma un recente libro di Francesca Fiore e Sarah Malnerich si intitola, provocatoriamente, Angele del focolare. Dove sta di casa la felicità? (Milano, Feltrinelli, 2023).
Conclusioni
Come risulta da questa rapida rassegna, la situazione dei nomi epiceni di cui abbiamo trattato appare attualmente in movimento e l’espansione nell’uso attuale dei nomi femminili derivati dai corrispondenti maschili sembra indubbia. Aggiungiamo, al riguardo, il caso di rampollo nel senso (considerato COmune nel GRADIT) di ‘discendente diretto di una famiglia’ o in quello scherzoso di ‘figlio’. Ebbene, diversamente da questo dizionario, dal GDLI e dal Vocabolario Treccani in rete, che non registrano il femminile rampolla, effettivamente assente dallo standard tradizionale (nel libretto della Cenerentola di Gioacchino Rossini, di Jacopo Ferretti, pur aperto a neologismi, Don Magnifico inizia la sua prima aria con le parole Miei rampolli femminini rivolgendosi alle sue due figlie), la forma femminile in -a è indicata sia nello Zingarelli sia nel Devoto-Oli e apre, ovviamente, il lemma dell’ed. 2022 del Vocabolario Treccani ). Naturalmente, nell’impiego delle forme contano anche la variazione diafasica (non diremmo certamente che la compianta Margherita Hack è stata “una genia dell’astrofisica”), diamesica (l’uso del parlato e del trasmesso è senz’altro più aperto ad accogliere forme come genia, draga e perfino mostra in espressioni come “Sei una genia!”, “Sei una draga!” e “Sei una mostra!”) e diastratica, a cui riporta il caso di personaggia, usato in un senso particolare (non tutti i personaggi femminili, ma solo quelli creati da scrittrici) da un côté femminista della critica letteraria. Dunque, l’attribuzione di nomi epiceni maschili a donne si può considerare meno pacifica di quella dei nomi epiceni femminili a uomini, in cui l’italiano di oggi appare molto più stabile. È vero che circolano forme come guardio, guido e perfino pediatro, ma si trovano nell’italiano popolare (è, in particolare, il caso di guardio) oppure si tratta di coniazioni scherzose, e a volte provocatorie, da parte di uomini contrari alla femminilizzazione dei nomi maschili. Queste e altre analoghe forme maschili sono, comunque, certamente molto lontane dallo standard, dal neostandard o anche solo dal substandard, tanto che sul loro possibile accoglimento nessuno, almeno finora, ha avanzato alcun dubbio.
Paolo D'Achille
13 dicembre 2023
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