Giovanna M., di origine canadese, che da anni vive in provincia di Caserta, ci scrive che "ultimamente sente spesso, soprattutto in trasmissioni in cui si insegna a cucinare, cucire o creare qualcosa [...] l'espressione andremo a... affettare, tritare, infornare, aggiungere, ecc. ecc. " che le "ricorda tanto" l'espressione we're going to... inglese oppure il "futur proche" francese. Fanno analoghe riflessioni Annamaria D., dalla provincia di Alessandria, che lo trova un uso "inutile e ridondante", Pino P. da Firenze, che lo definisce "irritante" e moltissimi altri nostri lettori.
Andiamo a... servire la risposta!
La costruzione andare a + infinito nei casi che vengono proposti all’attenzione rientra nelle cosiddette perifrasi imminenziali, che collocano l’evento – che ancora non si è realizzato – in un futuro prossimo. L’italiano possiede diverse perifrasi con senso di imminenzialità (stare per / essere in procinto di / essere sul punto di / accingersi a + infinito), ma non costruzioni che propriamente indichino il "futuro prossimo" o il "passato recente" (si veda Renzi-Salvi 1991, par. 3.5.6).
In varie lingue romanze, invece, il futuro immediato si esprime per mezzo di verbi fraseologici grammaticali, ossia di verbi come andare, venire ecc. che perdono il loro significato fondamentale di movimento per assumere un valore sostanzialmente temporale: così in francese aller + infinito, in spagnolo ir a + infinito; e anche in inglese be going to + infinito (cfr. Jansen 2010). Perifrasi italiane corrispondenti a queste straniere (andare a + infinito, anche venire di + infinito) sono note nel Settecento, probabilmente proprio per influenza del francese, ma vengono rapidamente respinte dalla lingua letteraria e dall’uso. A un francesismo "a lungo censurato e sconsigliato" ci si riferisce anche nella ‘voce’ del Vocabolario Treccani (dist. 7), dove si riportano esempi come: "il passo che ora vado a leggervi" (in luogo di ‘che ora vi leggerò’), "lo spettacolo va a cominciare" (che vale ‘sta per cominciare’, ‘comincerà fra poco’), e se ne nota al tempo stesso la larga diffusione nell’italiano di oggi.
Il secondo esempio citato risale al GRADIT 2000 (si veda anche l’edizione scolastica: Il dizionario della lingua italiana, Torino, Paravia, 2000 e successive), uno dei pochi in cui la costruzione di andare "seguito da a e da un infinito" è registrata anche col valore di ‘stare per’, ‘essere sul punto di’ (s.v. 1andare 11); il GDLI (andare1, dist. 35) riporta sotto Andare a (seguito da un infinito) ‘stare per, incominciare, essere imminente’ esempi di Costantino Arlìa (Lessico dell’infima e corrotta italianità, Carrara-Milano 1890: "Si arieggia al modo francese quando si dice: ‘Vado a dirvelo’, invece di ‘Ora ve lo dico, sto per dirvelo’ [...]. Dunque è errato il dire: ‘La predica va a cominciare’"), di Giuseppe Rigutini-Giulio Cappuccini (I neologismi buoni e cattivi, Firenze 1926), di Alfredo Panzini, che insistono tutti sulla natura di calco – da respingere – dal francese. Questa la testimonianza di Panzini: "Andare a, non nel senso materiale di muoversi, come vado a vestirmi, ma nel senso di essere in procinto, risponde al francese aller faire, aller comencer. I modi nostri stare per (cominciare), ora (si incomincia) nel gergo dei mal parlanti cedono il posto all’espressione francese; alla quale fa riscontro assai bene l’altra, venire di ..., fr. venir de" (Dizionario moderno, Milano 1905).
In andare a + infinito il significato temporale si sostituisce insomma al significato spaziale, e la costruzione acquista valore alternativo al futuro morfologico vero e proprio: il senso di azione futura diviene l’unico possibile o comunque dominante sul significato legato allo spostamento. Proprio da questo deriva la perplessità che possiamo provare di fronte a questa costruzione: come rilevava Luca Serianni sulla "Crusca per voi" (n. 24) in espressioni come andiamo ad ascoltare, andiamo a cominciare "l’idea di futuro prossimo è sganciata da qualsiasi movimento", ossia proprio dal concetto a cui siamo più normalmente abituati quando usiamo il verbo andare (che suggerisce l’idea di un movimento per compiere una certa azione, necessariamente situata in un tempo futuro, anche se di poco, o di pochissimo). La diffusione di questo costrutto appare propria degli ultimi anni, se ancora agli inizi del Duemila si poteva rilevare per questo tipo di locuzioni l’assenza di uno slittamento semantico dal piano spaziale al piano della temporalità, e dunque continuare a osservare la mancanza di una definizione della costruzione andare a + infinito come forma analitica del futuro grammaticalizzata, con l’unica eccezione dell’espressione andare a cominciare (si veda Amenta-Strudsholm 2002).
Nel quadro della linguistica del testo, bisognerà tuttavia tener conto di un altro elemento, ossia la possibile analogia di andare a + infinito con altri moduli di articolazione, ad esempio passiamo a, con valore di deissi testuale. La deissi è in generale il procedimento mediante il quale, utilizzando elementi quali i pronomi personali, i dimostrativi, gli avverbi di luogo e di tempo, si mette in rapporto l’enunciato con la situazione spazio-temporale in cui si inserisce; in una situazione di deissi testuale, dove il testo stesso diventa il contesto, la perifrasi andare a potrebbe valere come una modalità per istruire il destinatario del discorso a trovare un punto di riferimento (in questo caso fondamentalmente temporale) rispetto al punto in cui si trova. Del resto, ai verbi andare e venire è riconosciuta una componente deittica come interna al significato lessicale (RSC 1995, par. 2.2.4; Andorno 2005, p. 40; Palermo 2013, pp. 119-142).
È evidente però che il fulcro della domanda che è stata posta consiste nella recente (o recentissima) fortuna di questo modulo sintattico. Essa appare collegata a una particolare forma della lingua che potremmo definire l’"italiano gastronomico", in specie quello della televisione e dei mezzi di comunicazione sociale. È infatti nelle numerose trasmissioni televisive legate al cibo e alla cucina e nei canali del web che andare a + infinito sembra aver trovato una sorta di zona franca, da cui poi irradiarsi nell’uso di ambiti più generici. I luoghi dell’italiano gastronomico sono occasione e veicolo di forme e parole (come impiattare, impiattamento), che sembrano comunicare un valore estetico o simbolico o presuntivamente dinamico della lingua. Certamente nell’uso ‘gastronomico’ di andare a + infinito si sente una marca di intenzionalità, di progettualità dell’azione, ai fini della migliore riuscita.
Una rapida consultazione delle varie forme di italiano gastronomico in rete (30.3.2016) permette alcune osservazioni: sul sito della rivista La cucina italiana (www.lacucinaitaliana.it), un sito di livello certamente alto e controllato, domina nella scrittura delle ricette la forma prescrittiva tradizionale, con l’impiego della 2a persona plurale dell’imperativo (mescolate ecc.); nel blog di GialloZafferano la forma scritta di una ricetta di torta al cioccolato prevede una più coinvolgente prima persona plurale (che si modifica solo nell’osservazione dialogica finale):
In una ciotola mettiamo la farina setacciata con il lievito e lo zucchero, mettiamo da parte. Tritiamo i due cioccolati e li sciogliamo a bagnomaria o con il forno a microonde. Mettiamo le uova in una ciotola, le giriamo per bene con il cucchiaio, versiamo ora il latte e l’olio e giriamo ancora, mettiamo in questo composto le polveri, quindi farina lievito e zucchero. Giriamo per bene fino ad avere un composto cremoso ma denso, ora a questo aggiungiamo la cioccolata fusa e giriamo ancora per bene. Imburriamo ed infariniamo uno stampo per torte e vi versiamo dentro l’impasto, livelliamo per bene e via in forno statico preriscaldato a 160° per circa 50 minuti (Potete anche cuocere a 180° per 40 minuti, ma io con questa cottura ho avuto un ottimo risultato).
Ma basta passare al canale YouTube del medesimo sito GialloZafferano per constatare come la situazione sia diversa, e nel video della ricetta della Torta tenerina (sempre una torta al cioccolato) il giovane cuoco largheggia in espressioni del tipo: "Andiamo a sciogliere"; "Vado a separare"; "Andiamo a incorporare"; "La vado a imburrare".
Non mancano in ogni caso esempi anche nel testo scritto, su altri blog:
La crostata che andiamo a fare oggi è estremamente calorica ma altrettanto goduriosa. È composta da due strati di frolla separati da un ripieno di biscotto e nutella, il tutto ricoperto con glassa al cioccolato. […] Dopo averla sfornata lasciamo raffreddare completamente. Andiamo a fondere il cioccolato fondente e, posizionando la crostata su una gratella, versiamo il cioccolato e aiutandoci con una spatola glassiamo la torta facendo attenzione che anche le pareti siano ben coperte (http://cucinandoinsiemeavoi.blogspot.it/).
Ma in genere la forma scritta della ricetta è ancorata al modulo dell’imperativo 2a persona plurale o 2a singolare (quest’ultima nel libro Artusi Remix di Donpasta [Daniele De Michele] 2014), dell’infinito (usato per esempio nei libri di ricette di Benedetta Parodi, che derivano da una fortunata trasmissione televisiva), dell’indicativo 1a persona plurale (che appare la più prossima a scivolare nella perifrasi). Certamente il canale comunicativo favorisce una differenziazione degli usi, e il ricorso (anche molto insistito) al modulo andare a + verbo appare tipico del linguaggio parlato.
In conclusione: si tratta di una costruzione fraseologica, impiegata sia per l’interferenza con l’uso analogo in altre lingue (soprattutto francese, inglese), sia perché avvertita come dotata di uno statuto più aggiornato e alla moda rispetto ad altri segnali di articolazione testuale che potrebbero rappresentare un’alternativa. La diffusione dell’italiano gastronomico parlato per via televisiva e negli altri mezzi di comunicazione ha fatto il resto.
Per approfondimenti:
Piazza delle lingue: Lingua e saperi
17 maggio 2016
Evento di Crusca
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Evento esterno
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