Approcciarsi senza chiusure alla riflessione linguistica

Diversi lettori lamentano la diffusione e la presunta bruttezza del verbo approcciare, attribuendone la causa alla provenienza dall’inglese. Alcuni chiedono se sia lecito usarlo anche nel senso di ‘affrontare’. Altri vorrebbero sapere se possa formare l’intransitivo pronominale approcciarsi

Risposta

 

Approcciarsi senza chiusure alla riflessione linguistica

 


Dal latino classico prŏpe ‘vicino’, si è formato nel latino tardo il verbo parasintetico adpropiāre, che non ha avuto continuazione diretta in italiano. Ha avuto però più fortuna in francese, dove l’esito approcher vale appunto ‘avvicinare’. Di qui, come imprestito, è rientrato nella nostra lingua, dove lo adopera già Dante: "Non corse mai sì tosto acqua per doccia A volger ruota di molin terragno, Quand’ella più verso le pale approccia" (Inferno XXIII, 46-48). Se si tratti di forma brutta, è materia di gusti personali e non di scienza del linguaggio; ma di certo non è corretto ritenere questo verbo un anglicismo, né in tutto e per tutto un vezzo recente, poiché si tratta di francesismo, e acclimatato da moltissimo tempo nella nostra lingua.
Tuttavia l’inglese c’entra, in primo luogo perché probabilmente la presenza del verbo to approach nell’idioma di attuale maggiore prestigio internazionale (dove pure si tratta originariamente di un francesismo) ne ha certamente spinto la recente maggiore diffusione nell’uso degli italiani. E in secondo luogo perché il senso di ‘affrontare’, oggetto del dubbio di alcuni lettori, che è soprattutto dei casi in cui si accosta una questione, un argomento o simili, è stato senz’altro favorito dal fatto che il verbo inglese ha anche tale valore. In una certa misura si tratta dunque di un calco semantico; ma si può osservare che in questo caso il ruolo della lingua straniera è meno decisivo che in altri. Infatti l’estensione del significato da un avvicinare fisico-spaziale (approcciare il nemico) a un avvicinare figurato (approcciare un tema delicato) è dello stesso tipo di moltissime altre estensioni di significato che si verificano autonomamente in tutte le lingue del mondo, compreso l’italiano. Ad esempio, una soluzione può essere sì, in senso materiale, lo scioglimento di una sostanza in un’altra, ma anche, in senso traslato, lo scioglimento – immateriale – di un problema. Insomma, in questo caso l’influsso dell’inglese ha favorito un’estensione di significato, di natura essenzialmente metaforica, cui la parola era già predisposta. Non per caso, di solito suscita assai minore perplessità l’uso traslato del corrispondente sostantivo deverbale approccio, che dal senso materiale si è specializzato soprattutto (e prima) a esprimere l’idea di un avvicinamento galante (I suoi continui approcci mi infastidiscono), e poi quella dell’atteggiamento intellettuale con cui si accosta una questione (un nuovo approccio al problema).
Quanto alla legittimità dell’intransitivo pronominale, anche questo è usato da Dante: "Ma ficca li occhi a valle, ché s'approccia La riviera del sangue" (Inferno XII, 46-47), ed è già del francese. Del resto, non sembra esserci un motivo per cui avvicinare o accostare possono formare gli intransitivi pronominali avvicinarsi e accostarsi, mentre al sinonimo approcciare debba essere precluso approcciarsi, costruito allo stesso modo (quindi: approcciarsi con impegno alla statistica, in modo maldestro a una persona sconosciuta). Anzi, la capacità che un termine originariamente straniero ha di comportarsi morfologicamente come una qualsiasi parola italiana rivela che non si tratta più di un intruso. Ad esempio, il fatto che l’ingl. beefsteak, adattandosi in bistecca, sia divenuto capace di formare il plurale di forma italiana bistecche e il derivato bisteccheria, ne fa un termine che – anche adottando uno sguardo puristico – “snatura” l’italiano meno di barbecue, la cui veste straniera lo rende un corpo più estraneo, e incapace di produrre forme flesse o derivate in italiano. In questo senso, il fatto che approcciare possa formare approcciarsi è un segno che si tratta di una risorsa pienamente integrata nel nostro sistema linguistico.

 

Edoardo Lombardi Vallauri

 

15 aprile 2016


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