Ci è arrivata la domanda di una docente di Lettere sul significato di bensì in un passo di una direttiva del Ministero dell’istruzione alla cui applicazione si lega l’ammissione o la non ammissione degli alunni alla classe successiva.
La domanda della docente verte sulla direttiva ministeriale del 16 maggio 2020, art. 3 comma 7, che recita:
Nei casi in cui i docenti del consiglio di classe non siano in possesso di alcun elemento valutativo relativo all’alunno, per cause non imputabili alle difficoltà legate alla disponibilità di apparecchiature tecnologiche ovvero alla connettività di rete, bensì a situazioni di mancata o sporadica frequenza delle attività didattiche, già perduranti e opportunamente verbalizzate per il primo periodo didattico, il consiglio di classe, con motivazione espressa all’unanimità, può non ammettere l’alunno alla classe successiva.
Il dubbio nasce dal fatto che, a quanto scrive la docente, la dirigente scolastica del suo istituto ha “interpretato il significato di quel ‘bensì’ come un INOLTRE" e dunque ha ritenuto di dover ammettere alla classe successiva tutti gli studenti, anche quelli “che non hanno mai partecipato alla DAD (senza problemi di connessione, ma per semplice disinteresse), con nessuna sufficienza, persino con NC [= non classificato] in ALCUNE discipline già dalla pagella del primo quadrimestre, con decine di note alle spalle e persino sospensioni”.
Non abbiamo modo, ovviamente, di verificare le affermazioni della docente. Non c’è dubbio, però, che la direttiva sia chiara e che quel bensì abbia valore avversativo, equivalente a ma. La direttiva vuol dire questo: se le cause dell’impossibilità di valutare la preparazione di un alunno (o di un’alunna) sono dovute non all’impossibilità di partecipare alla didattica a distanza, ma a una sua volontaria mancanza di impegno e di assiduità, peraltro già risultante nel corso del periodo scolastico precedente, ci sono le condizioni perché il consiglio di classe possa decidere, all’unanimità, la non ammissione alla classe successiva.
Come indicano i principali dizionari italiani, bensì ha due funzioni, a cui corrispondono due diversi significati. Può essere usato come congiunzione, con valore avversativo-oppositivo, equivalente quindi a ma (a cui può essere accostato per rafforzarlo: ma bensì), invece, anzi, al contrario, ma può anche fungere da avverbio, con valore affermativo o rafforzativo, nel senso di “certamente”, “certo”, “sicuramente”.
Ora, l’uso di bensì come avverbio è solo letterario e si trova di rado nell’italiano di oggi. Ma non è tanto questo fatto a orientarci a interpretare, nel passo in questione, bensì come congiunzione, quanto il contesto. Infatti il bensì avversativo è di norma in correlazione con una precedente negazione, mentre il bensì affermativo è in genere seguito da un’avversativa introdotta da ma. Qui la successiva avversativa introdotta da ma non c’è; c’è invece, evidentemente, una precedente negazione a cui bensì si correla: “non imputabili alle difficoltà ... bensì a situazioni” (meglio sarebbe stato, per la verità, scrivere “imputabili non alle difficoltà... bensì a situazioni”, che avrebbe reso il parallelismo ancora più stringente).
Non sussiste dunque alcun dubbio interpretativo, tanto più che, anche nel valore avverbiale, il significato di bensì non è quello di “inoltre”, che è proprio invece di altresì, avverbio frequente nel linguaggio amministrativo burocratico, con cui forse questo bensì potrebbe essere stato scambiato.
Il chiarimento, da parte dell’Accademia della Crusca, del significato di un dettato ministeriale ci è parso doveroso, e potremmo fermarci qui. Ci permettiamo però qualche ulteriore commento ai fatti, così come ci sono stati presentati.
Alla dirigente diremmo che la decisione di promuovere tutti poteva trovare altri elementi d’appoggio nella stessa direttiva ministeriale, senza dover forzare il significato del bensì: bastava, per esempio, la mancata unanimità del voto negativo del consiglio di classe, che lei stessa poteva determinare semplicemente con il suo voto favorevole all’ammissione alla classe successiva.
Alla docente che ci ha scritto diremmo che la scelta, in questo tormentato anno scolastico, di promuovere tutti, anche gli studenti che sono stati evidentemente “fannulloni” nel corso della pandemia, non è del tutto priva di motivazioni: da un lato le valutazioni a distanza, specie degli scritti, sono state spesso problematiche e hanno prestato il fianco a critiche; dall’altro l’attribuzione delle ragioni della mancata partecipazione alla didattica a distanza a una scelta deliberata dell’alunno (o dell’alunna) non sempre può essere dimostrata ed è nota la massima in dubio pro reo.
Agli studenti negligenti immeritatamente promossi diremmo che presto o tardi i nodi vengono al pettine, invitandoli quindi a recuperare al più presto con lo studio il tempo perduto.
Infine, agli studenti che si sono lodevolmente impegnati (e che, secondo la docente, sono ora in uno stato di “malcontento” per l’ingiustizia a cui hanno assistito) diremmo che la soddisfazione interiore non deriva dalla punizione altrui, bensì dalla consapevolezza di aver fatto il proprio dovere; il che, alla fine, paga sempre. Crescendo, lo capiranno.
Paolo D'Achille
19 giugno 2020
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