Sono veramente tanti coloro che ci chiedono se per i verbi bollire o cucire la prima persona del presente indicativo sia bollo o bollisco, cucio o cucisco: quale delle due forme è corretta? Sono forse accettabili entrambe?
Circa cinquecento verbi della terza coniugazione in -ire ampliano il loro tema aggiungendovi, in quattro persone del presente indicativo e congiuntivo e in una dell’imperativo, la sequenza -isc-: il presente di agire è, per esempio, agisco, agisci, agisce, agiscono, agisca, agiscano; il presente di capire è capisco, quello di finire finisco e così via.
Un gruppo molto ristretto di questi verbi ha nel proprio paradigma sia le forme senza -isc- sia le forme con -isc-: è il caso, per esempio, di aborrire, che presenta sia aborro sia aborrisco, di mentire, per il quale sono documentati sia il tipo mento sia (molto più raramente) il tipo mentisco, e di nutrire, che presenta sia nutro sia (di nuovo più raramente) nutrisco; non sembra, invece, il caso né di bollire né di cucire, per i quali suggerisco (ecco un altro verbo in -isco!) l’uso delle sole forme senza -isc-.
Interrogando gli oltre duemila testi del Duecento e del Trecento digitalizzati e archiviati nel Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, i mille (che vanno dal Duecento al primo Novecento) presenti nella Biblioteca Italiana Zanichelli e i cento romanzi italiani del periodo 1947-2006 raccolti nel Primo Tesoro della Lingua Italiana del Novecento, ho incontrato soltanto un bollisce in un’opera di Tommaso Garzoni (1549-1589) e un cuciscono in un racconto di Carlo Dossi (1849-1910).
Gli altri esempi (tutti ottocenteschi) dello stesso tipo che ho raccolto curiosando in Google Libri sono talmente pochi che non consentono d’ipotizzare che queste forme abbiano (o meglio, abbiano avuto) un’effettiva circolazione nella lingua italiana: sono, piuttosto, forme occasionali, accolte da singoli scriventi e parlanti in base a un meccanismo d’inclusione analogica (finire: bollire, cucire = finisco: bollisco, cucisco).
Una conferma viene dal fatto che, fatti salvi due repertori ottocenteschi specializzati nella raccolta di forme verbali (quello di Marco Mastrofini, del 1814, e quello di Giuseppe Compagnoni, del 1817), nei testi più importanti della tradizione grammaticografica italiana (dal trattato Della lingua toscana di Benedetto Buonmattei, del 1643, alla Grammatica italiana di Luca Serianni, del 1988) di bollisco e di cucisco non si fa alcuna menzione, neppure per sconsigliarne l’uso.
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29 marzo 2016
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