Un lettore ci chiede se sia corretto usare la parola caduti in mare (ormai diffusa nelle espressioni caduti in guerra, in mare, sul lavoro) anche per indicare gli annegati, che effettivamente non muoiono cadendo. Un altro, in occasione dell’inaugurazione a Riccione di un monumento ai caduti del mare, si domanda se sia meglio utilizzare la preposizione del o invece nel mare.
Per rispondere alla prima domanda bisogna, almeno brevemente, riassumere che cosa si intende per “caduto” e in che rapporto questa parola sta con altre usate come sinonimi del sostantivo/aggettivo morto. La morte (come la malattia, il sesso, le funzioni corporali, ecc.) è un referente colpito da tabù linguistico, inteso come tendenza a evitare di far entrare nei discorsi le parole esplicite e dirette con cui tali concetti vengono nominati. Così le lingue hanno sviluppato strategie di sostituzione con sinonimi o con la creazione di metafore e forme eufemistiche per poter far riferimento a tali referenti, senza nominarli direttamente: restando nel campo semantico della morte e del morire basta pensare a espressioni come ultimo viaggio, passare a miglior vita, andare tra i più, mancare, ecc. Il sostantivo/aggettivo morto non fa eccezione e anche in questo caso abbiamo a disposizione alternative come defunto, scomparso, estinto (il caro estinto) e il più tecnico-burocratico deceduto. A questi sinonimi eufemistici va aggiunto anche caduto, che, a partire dai primi dell’Ottocento, si è specializzato per indicare ‘il morto in guerra, sul campo di battaglia o nell’adempimento del proprio dovere’: una parola che riproduce visivamente molto bene l’atto dell’andare a terra di qualcuno perché colpito, atterrato appunto, da un colpo nemico e che permette di evitare morto o ucciso, espressioni decisamente più crude e non nobilitanti. In effetti, proprio per dare dignità e grande considerazione pubblica ai moltissimi morti causati dalle guerre, tra Ottocento e Novecento in Europa si è formato il mito dei caduti (Cfr. George L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-Bari, Laterza, 1998) e, con il concetto, si è diffusa e ha cominciato a circolare la parola. Si tratta di un processo che – come ha ben ricostruito Mosse – inizia dal 1813, con le guerre di liberazione: nella Germania protestante si cominciarono a commemorare i morti in guerra durante le regolari funzioni religiose (soprattutto venerdì santo e Pasqua) mettendo così in risalto il parallelo tra la morte dei caduti e il miracolo della resurrezione cristiana. Con gli inizi della guerra moderna e una nuova coscienza nazionale, i morti in guerra vennero assimilati ai martiri del cristianesimo o delle cause rivoluzionarie, sostituendo alla fede religiosa o laica, la nazione. Parallelamente cambiarono anche le strutture dei cimiteri, fino alla realizzazione dei sacrari di guerra intesi come templi del culto nazionale e poi all’istituzione dei monumenti ai caduti. Con la prima guerra mondiale e l’esperienza della morte di massa, nell’urgenza propagandistica di trascendere la morte in guerra, vengono alimentati “i simboli del Mito dell’Esperienza della Guerra” (Mosse, p. 54). Dal concetto di eroe/martire per la Nazione (in Francia e in Germania in primo luogo) si passa, soprattutto durante la Prima guerra mondiale, a costruire il mito del caduto in guerra, prima in forma personale, con il recupero dei corpi e le sepolture, e poi in forma collettiva con i cimiteri di guerra, i monumenti commemorativi e i parchi della rimembranza, fino all’istituzionalizzazione con i monumenti al milite ignoto che diventano il simbolo unitario nazionale per celebrare tutti i morti in guerra, senza più distinzione di status e di gerarchia militare.
La lingua, anche in questo caso, segue le “necessità” della storia e degli eventi, tanto che l’uso di caduto come sostantivo per indicare il ‘morto in guerra, sul campo di battaglia o nell’adempimento del proprio dovere’ è attestato, come detto sopra, a partire dai primi dell’Ottocento: lo utilizza Monti nella sua traduzione dell’Iliade (1810, “Sentì pietade del caduto il forte Asteropèo; e di zuffa desioso / si scagliò tra gli Achei”), e poi lo si trova in un esempio tratto dalla poesia di Tommaseo A Pio IX (1872, “Non io le membra de’ caduti in guerra / a’ piè nemici ed agli estivi ardori / empio esporrò, ma la dolente terra / ricoprirò di fiori”).
Questo secondo esempio è davvero significativo perché mostra come lo stesso Tommaseo avvertisse uno iato tra l’uso a lui contemporaneo e la tradizione lessicografica: benché nella poesia utilizzi caduti come sostantivo (al plurale preceduto da preposizione articolata), nel suo vocabolario, il famoso Tommaseo-Bellini, caduto è registrato solo come aggettivo (dal part. pass. del verbo cadere) e prevalentemente riferito a cose, nei significati di ‘mancato’, ‘venuto meno’ (già peraltro presenti nel Vocabolario della Crusca); salvo poi inserire una brevissima osservazione alla voce cadere in cui lascia trapelare questa possibilità: “cadere, sottinteso ferito o morto”.
Il GDLI, dopo queste due prime attestazioni (Monti e Tommaseo), elenca brani di autori otto-novecenteschi tratti da opere in cui si descrivono guerre, con toni più o meno celebrativi, da Guerrazzi (“Onore ai caduti!”), a Prati, Carducci, D’Annunzio fino a Pavese («Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: “E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?”»).
Rimanendo ancora in ambito esclusivamente militare, i caduti in o di guerra non sono soltanto i morti sui campi di battaglia: la Marina militare e l’Aeronautica militare hanno dato un altissimo contributo di vite umane, perse in conflitti bellici o in disastri navali o aerei. La celebrazione dei caduti in guerra si estende così anche al ricordo dei marinai, a quei caduti del mare (questa la dizione ufficiale secondo l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia - ANMI, marinaiditalia.com) in memoria dei quali si innalzano in tutta Italia monumenti e cippi: il sito ufficiale dell’ANMI offre una rassegna di 562 tra monumenti, cippi, targhe e intitolazioni dedicati ai caduti del mare e distribuiti su tutto il territorio italiano.
In rete, attraverso la consultazione di Google libri, si rintraccia però anche un’altra espressione (forse di più antica attestazione): caduti in mare nel significato di ‘morti in operazioni belliche di mare’: si tratta di un articolo pubblicato nel 1914 sulla rivista “Patria e colonie” (uscita dal 1912 al 1918, Letture mensili sotto gli auspici della Società Nazionale Dante Alighieri, anno III, sem. I, p. 382), che riferisce appunto dell’inaugurazione di un monumento per i “caduti in mare”:
Un monumento per i caduti in mare. Forse nessun monumento ha più alto significato di pietà di questo che fu recentemente innalzato alla memoria dei caduti in mare. Ogni volta che nel mondo si spande la notizia di un disastro marittimo, noi sentiamo ridestarsi nell’animo nostro tutti gli affetti che ci stringono alla umanità in un senso di solidarietà che è quasi sempre a noi stessi sconosciuto. Scompaiono le divisioni di razza, scompaiono i dissidi politici, e solo resta avanti a noi l’immensità della tragedia, la inanità degli sforzi umani, di fronte alla forza bruta ma possente e suprema della natura. Il monumento per i caduti in mare dice la nostra debolezza di fronte al destino, e la nostra pietà per le vittime dell’ineluttabile.
Purtroppo non si precisa il luogo in cui è avvenuta l’inaugurazione, ma è una coincidenza abbastanza indicativa il fatto che a Napoli, proprio nel 1914, fu completato il famoso monumento della colonna spezzata (che però riporta la dicitura “Ai caduti combattendo sul mare”; corsivo mio), con il posizionamento di una colonna di epoca romana su un basamento che, già collocato nel 1867 e rimasto “orfano”, avrebbe dovuto sostenere una lapide in ricordo di tutti i caduti del mare durante la battaglia di Lissa del 1866. L’articolo citato sopra sembra però riferirsi a tragedie marittime non causate da guerre: doveva essere ancora vivo il trauma dei disastri del Titanic (1912) e del recentissimo (maggio 1914) Empress of Ireland con migliaia di morti (in questo anche molti italiani), caduti in mare “vittime dell’ineluttabile”.
A prescindere dalla locuzione impiegata, caduti del/in mare, per rispondere quindi al lettore che ci chiede se sia corretto l’uso di caduto esteso anche a vittime non di guerra, si vede come il termine caduto abbia ampliato il suo spettro semantico fino a indicare ‘il morto da celebrare, da onorare’ non solo, dunque ‘chi si è sacrificato in guerra (per terra o per mare che sia), ma anche “chi rimane vittima in un conflitto, in una lotta (anche ideale), o cade nell’adempimento del proprio dovere, ecc.: i c. per la libertà; i c. sul lavoro” (Vocabolario Treccani online). La metafora della battaglia/guerra che genera morti e lascia come unica consolazione la celebrazione dei suoi caduti è stata adattata a eventi storici e sociali tragici: dai naufragi accidentali, alle morti sul lavoro alle terribili stragi di migranti nel Mediterraneo. Ed è senza dubbio la metafora più utilizzata per raccontare le questioni migratorie degli ultimi decenni: non stupisce quindi che, per esprimere la volontà di tener viva la memoria della perdita di così tante vite umane, si ricorra al termine caduti.
Un nuovo impulso alla diffusione della sequenza caduti del mare (che abbiamo visto essere la dizione ufficiale scelta dall’ANMI) si è avuto dopo l’istituzione, l’8 luglio 2014, della Prima Giornata internazionale del Mar Mediterraneo, promossa da Earth Day Italia, Ancislink (International No-Profit Association), Asc-Coni (Attività Sportive Conferederate) con il supporto della Marina Militare Italiana e dedicata ai “caduti del nostro mare. Tutti i caduti del mare: dai migranti ai pescatori, ai marinai, alle persone che nel mare avevano trovato il lavoro o inseguivano una speranza”. Scopo dalla giornata è quello di tenere alta l’attenzione internazionale sui problemi geo-politici dell’area mediterranea, promuovendo il ricordo dei migranti che hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo. Nella denominazione di questa celebrazione, nata anche sull’onda dello sgomento di fronte alla strage di Lampedusa (3 ottobre 2013 con 368 morti; dal 2015 il 3 ottobre è la Giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione), ritorna la formula caduti del mare.
Nelle diverse espressioni fin qui considerate, è evidente la presenza di varianti dovute all’alternanza delle preposizioni di (caduti di guerra), in (caduti in guerra/battaglia/mare), della/del (caduti della guerra/del mare/del lavoro), sul (caduti sul campo/lavoro). Per un quadro quantitativo delle occorrenze di ciascuna variante Google può offrire qualche dato anche se, in questo caso in particolare, sono necessarie alcune precisazioni. Si tratta di numeri da prendere con molta cautela perché la ricerca risente inevitabilmente di interferenze dovute a più fattori: 1) le moltissime occorrenze di caduti senza specificazione nel significato di ‘morti in guerra’; 2) le ancor più numerose occorrenze di caduti nel significato letterale di ‘cascati’; 3) in particolare per caduti in mare la sovrapposizione con le occorrenze in cui l’espressione si riferisca effettivamente a qualcosa o a qualcuno cascato accidentalmente da un’imbarcazione.
Per ridurre al massimo tali “rumori” la ricerca è stata mirata a stringhe con cui si è tentato di limitare le diverse interpretazioni semantiche e che si possano poi mettere a confronto tra loro. Vediamo i risultati ricavati (ricerca sulle pagine in italiano del 4/01/2020):
“caduti del mare” 122.000 / “caduti della guerra” 83.500 / “caduti di guerra” 118.000
“caduti in mare” 76.100 / “caduti in guerra” 414.000 / “caduti in battaglia” 49.400
“monumento ai caduti del mare” 41.100 / “monumento ai caduti di guerra” 39.400
“monumento ai caduti in mare” 8.250 / “monumento ai caduti in guerra” 57.700
“caduti del lavoro” 579.000 / “caduti sul lavoro” 491.000
Tra questi, i dati meno affidabili sono senz’altro quelli della sequenza caduti in mare, che sicuramente coprono una buona percentuale di risultati relativi al significato di ‘cascati in mare’ (con riferimento anche a cose, non necessariamente a persone). Direi che proprio questa ambiguità deve aver pesato sulla maggiore affermazione di caduti del mare a scapito di caduti in mare, che sarebbe stato l’esito più immediato per analogia su caduti in guerra (la prima formula da cui hanno avuto luogo le altre). Bisogna dire che, in ogni caso, anche dove il contesto sia reso esplicito dalla presenza di altre parole che richiamano il senso della ritualità celebrativa (monumento, cippo, lapide, giornata in memoria, ecc.) l’uso prevalente ormai si orienta verso caduti del mare. L’alternanza invece tra caduti del lavoro e sul lavoro mostra una situazione più equilibrata poiché tutte e due le forme sono chiare e non fraintendibili.
Per concludere c’è da aggiungere una breve considerazione sull’uso delle preposizioni in italiano: soprattutto di e in hanno molti spazi in comune, in cui non è sempre facile (a volte nemmeno possibile) distinguere precisamente la loro distribuzione. Anche in questo caso non possiamo dire che ci siano usi corretti e usi sbagliati e l’unico consiglio che mi sento di dare è di accertarsi della chiarezza della forma che si sceglie: se caduti in mare, usato per indicare ‘morti in mare’ (per qualsiasi causa), si trova in un contesto in cui può essere interpretato anche come ‘cascati in mare’, allora meglio selezionare caduti del mare. Tale ambiguità può presentarsi quando l’espressione sia preceduta da un sostantivo (gli uomini/i migranti/i bambini caduti in mare), mentre la presenza del solo articolo determinativo (i caduti in mare) in molti casi è sufficiente a disambiguare.
Raffaella Setti
21 aprile 2020
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