Che cosa si può mantenere?

Vari utenti ci chiedono se sia corretto l’uso di mantenere col significato di ‘reggere, tenere in mano un oggetto’.

Risposta

Che cosa si può mantenere?

I maggiori e più moderni dizionari italiani dell’uso (GRADIT, Sabatini-Coletti 2008, GARZANTI 2007, Devoto-Oli 2012, ZINGARELLI 2013) registrano le seguenti accezioni del verbo mantenere:

1. ‘fare in modo che qcs. duri a lungo, rimanga inalterato, non venga meno (mantenere l’ordine, la pace, i contatti con qcn., la calma); conservare un determinato comportamento morale o intellettuale (mantenere un contegno, una condotta esemplare)’.

2. ‘tener saldo, difendere (mantenere le posizioni conquistate, il dominio, un primato, il titolo di campione del mondo)’.
3. ‘fare in modo che qcs. rimanga in una determinata condizione (mantenere fresco un alimento, mantenere vivo l’interesse di qcn.); far rimanere qcn. in un determinato stato (mantenere in vita un malato)’.
4. ‘adempiere, rispettare, tener fede a qcs. (mantenere un impegno, un segreto, la parola data, una promessa)’.
5. ‘sostentare, fornire il necessario per vivere (mantenere la propria famiglia, l’amante); finanziare, sostenere economicamente (mantenere un ospedale)’.
6. ‘fare in modo che qcs. rimanga in buone condizioni provvedendo alla sua manutenzione’ (mantenere la rete fognaria, le strade). In questa accezione, si adopera anche la forma manutenere.

Come risulta chiaro da questi esempi, oggi, nell’italiano cosiddetto standard, il verbo mantenere si usa fondamentalmente con i significati “astratti” di ‘conservare; preservare; adempiere; sostentare’, ma non con il significato “concreto” e originario di ‘tenere con la mano’. Mantenere proviene infatti da una formazione del latino volgare, *manu tenere, sorta per ridare valore concreto al verbo tenēre, che era usato per lo più con valori traslati. Ma col tempo anche per *manutenere si sono affermati analoghi impieghi traslati, che poi sono diventati prevalenti non solo in italiano, ma anche nelle altre lingue romanze occidentali. Del resto, simili processi di astrazione e generalizzazione non erano infrequenti nel latino volgare: si consideri, ad esempio, il caso della parola fŏcus, che in origine indicava il ‘focolare’, ma che poi ha assunto il significato più generale di ‘fuoco’ (sostituendo ignis), significato con cui è passata alle diverse lingue neolatine.

Per quanto riguarda mantenere, il passaggio metonimico che ha portato al significato traslato è descritto così dal Tommaseo nel suo Dizionario della lingua italiana (Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1865-79, sub voce):

L’immag[ine] del Tenere in mano o Colla mano denota una forza che prossimamente regge e conserva e difende. Laddove può aver luogo l’immag[ine] di Mano proprio, il vocabolo ha proprietà e evidenza maggiore. Ma poi si distende alla conservazione d’ogni essere nel genere suo, e d’ogni parte dell’essere o qualità.

Tuttavia, sebbene nell’italiano standard i significati prevalenti del verbo mantenere siano appunto quelli di ‘conservare, difendere e sostentare’, il significato proprio e concreto, quello cioè di ‘reggere, tenere con la mano’, non è mai scomparso del tutto, anche se si riscontra più che nell’italiano scritto, nella lingua parlata a livello popolare, e di conseguenza la documentazione al riguardo è scarsa, ma non insignificante.
Il GDLI (sub voce) ci fornisce infatti alcuni esempi antichi e moderni dell’uso di mantenere per:

a. ‘tenere insieme, fissare saldamente’: "si ruppe il meditullo, cioè quello che mantene le rote" (Boccaccio).
b. ‘tenere immobile’: "mentre la madre manteneva il piccino, egli aveva con precauzione dilatata un pochino la piaga" (Edoardo Calandra, Torino 1852–1911).
d. ‘tenere saldamente in mano’: "Sarestù sì poderosa / di poter questo ramo mantenere?" (1340 ca., Febus-el-forte), "A questo i tre altri frati, volendo mantenere il cassone, chiamando che aiutato loro fosse [...]" (Gentile Sermini, senese della prima metà del XV sec.).

E se consultiamo la voce mantenere nei dizionari dell’uso otto-novecenteschi, troviamo registrato il significato di ‘tenere in mano, sostenere’ nel Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana (Milano, Treves, 1887-91) di P. Petrocchi, che però lo pone “sotto rigo”, cioè tra quelle forme e accezioni che non considera dell’uso comune; mentre il Vocabolario della lingua italiana (Torino, ecc., Paravia, 1916) di G. Cappuccini spiega che mantenere è "Tuttora vivo nel [significato] proprio: Questa sbarretta mantiene (tien ferma, tien fissa) una piccola lastra, ecc.".
In ogni caso – lo ripetiamo – questi usi di mantenere non sono propri della lingua standard attuale (anche se possono affiorare nel parlato più popolare, p. es.: mantienimi la scala che scendo dall’albero, dove mantenere ha addirittura una connotazione rafforzativa rispetto a reggere o a tenere, quasi che mantenere la scala equivalesse a ‘tener ben ferma la scala’), mentre conoscono un largo impiego nelle varietà regionali d’italiano parlate nel Mezzogiorno (dove sono usuali frasi del tipo: mi mantieni un momento il bicchiere?, mantenetemi o l’ammazzo!).
Nei dialetti del Sud d’Italia (ma non in tutti) è infatti ben attestato l’uso di mantenere (nelle sue diverse forme dialettali) col significato di ‘reggere, tenere in mano un oggetto; trattenere qualcuno’ (se ne trovano esempi già tra i classici della letteratura dialettale napoletana del ’600), un uso che è poi entrato nell’italiano regionale (è documentato in Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata), dove risulta ben radicato fin dall’Ottocento, tant’è vero che nel XIX secolo era segnalato e censurato da qualche lessicografo purista e in alcuni dei cosiddetti “repertori di provincialismi”.
Se, in conclusione, vogliamo provare a dare una spiegazione del perché l’uso di mantenere per ‘reggere, tenere in mano’ abbia attecchito proprio nell’Italia meridionale, bisogna innanzitutto considerare che l’area di diffusione di questo fenomeno linguistico coincide con quella di un altro fenomeno (ben più rilevante), anch’esso tipico del Mezzogiorno (ma non solo): ovvero l’uso del verbo tenere al posto di avere per indicare il possesso (tengo sonno; non tengo un euro; che bella casa che tieni!). È possibile che dove tenere ha cominciato a essere utilizzato al posto di avere, assumendo così una funzione (e anche una frequenza) di un certo rilievo, il suo originario significato di ‘reggere, avere in mano’ si sia progressivamente indebolito, al punto che, a un certo momento, è stato necessario “rimpiazzarlo” con un altro verbo (per giunta simile nella forma e che già possedeva l’accezione di ‘reggere’): mantenere (che poi ha ulteriormente esteso il suo impiego, visto che in Campania ricorre anche in frasi del tipo: stasera devo uscire, mi puoi mantenere i bambini?).
Una riprova a questa ipotesi si avrebbe nel fatto che l’uso di mantenere con l’accezione di ‘reggere, avere in mano’ è documentata anche in alcune aree della Sardegna, una regione dove pure è diffuso l’uso di tenere al posto di avere.

 

Per approfondimenti:

  • A. Abbruzzese, Voci e modi errati dell’uso sardo, ad uso delle scuole Medie della Sardegna, Milano, Palermo, Sandron, 1911, p. 50.
  • P. D’Achille, Attraverso i «ponti» dell’Abruzzo e del Molise, "Italiano & Oltre", XI, 1996, pp. 285-291: p. 291.
  • F. Fanciullo, Fra Oriente e Occidente. Per una storia linguistica dell’Italia meridionale, Pisa, ETS, 1996, pp. 97-103.
  • G. Forti, Saggio sui provincialismi della Basilicata, Roma, Botta, 1889, p. 26.
  • L. Rodinò, Repertorio per la lingua italiana di voci o non buone o male adoperate, Napoli, Trani, 1858, sub voce mantenere.

 

A cura di Antonio Vinciguerra
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

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7 ottobre 2013


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