Nell’ultimo anno diversi lettori – come Eugenio Bubo di Milano, Marinella Fanesi di Albenga, Gabriele Monaco di Cologno Monzese, Elena Arosini di Pietra Ligure – hanno espresso dubbi sulla parola allerta: ci chiedono informazioni sulla sua esistenza (“dubito che esista il sostantivo allerta anche se è utilizzato frequentemente”, “mi suona male”), sulla corretta grafia (“si scrive all’erta o allerta?”), sul genere del sostantivo (“un o un’allerta?”) e sul suo plurale (“dovendolo volgere al plurale si deve usare gli allerta, le allerta, o come nella maggioranza delle occorrenze sul web, l’orribile le allerte?”). I dubbi si allargano infine anche ad alcuni derivati: “esiste il termine allertare?”.
Che genere di allerta?!
Il termine allerta nasce dalla locuzione avverbiale all’erta, attestata in italiano con il significato generico di ‘rimanere desto, vigilante, guardingo’ già dal 1536 (Pietro Aretino, Ragionamenti).
Il DELI spiega che la locuzione stare all’erta – o anche la semplice esclamazione all’erta! – nasce da una espressione del linguaggio militare che significava originariamente ‘stare su un’altura (per poter vedere in tempo l’arrivo dei nemici)’ e che poi ha acquisito il significato più generico di ‘stare attenti, vigili’. Si richiama il sostantivo erta che indica una salita con una forte pendenza, una costa scoscesa, o anche semplicemente un luogo in alto, un’altura (il termine oggi non è più di uso comune ma è talvolta conservato nell’odonomastica cittadina, come ad esempio nella via fiorentina erta canina). Derivante dal participio passato erectum del verbo latino erĭgĕre ‘rizzare, innalzare’, il termine è attestato già nella Divina Commedia, come iniziale simbolo della difficile via della virtù, contrapposta alla valle oscura del peccato: “Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, / una lonza leggera e presta molto, / che di pel maculato era coverta” (Inf. I 31-33).
Occorre a questo punto fare alcune precisazioni sull’origine del sostantivo: come ha recentemente dimostrato Franco Mosino (“Lingua nostra”, 2011, p. 39), l’espressione stare all’erta non indica esattamente lo ‘stare su un’erta’, ma lo ‘stare in posizione eretta’. Nel linguaggio militare l’espressione era usata in vari contesti, ma si è poi cristallizzata soprattutto nei richiami che si scambiano le sentinelle coi superiori come “All’erta!” – “All’erta sto!”: richiami che servono per verificare che la sentinella sia in piedi e non dorma. E infatti con il significato di ‘stare ben ritto in piedi’ l’espressione era in uso ben prima di entrare nel gergo militare, come riporta il GDLI. In particolare nel TLIO si riscontrano due esempi interessanti, di area siciliana: “la citella, stancata di troppu stari a l’irta” (1321-37) e vendere all’irta (di animali, nel senso di ‘venderli in piedi, cioè vivi’, 1371). E infatti l’espressione è oggi sopravvissuta in alcuni dialetti meridionali sempre per indicare la posizione eretta.
Dunque la locuzione avverbiale all’erta (con il significato di 'stare in piedi' e poi quindi di 'stare vigili') ha dato vita alla forma univerbata (mantenersi allerta), e poi, probabilmente anche tramite l’influsso del sostantivo francese alerte derivato dall’avverbio italiano e attestato in Francia dal 1771, al sostantivo (stato di allerta) con il significato di ‘preallarme’.
Oggi, come riportano tutti i dizionari, all’erta (o in forma univerbata allerta) può essere usato come esclamazione (All’erta! ), come avverbio (essere, stare all’erta) e come sostantivo (in questo caso s’impiega di norma la forma univerbata: diramare un’allerta). Informazioni meno concordi – e hanno ragione i nostri lettori a farsi delle domande – si trovano sul genere del sostantivo. Mentre per alcuni dizionari il sostantivo allerta è femminile invariabile (un’allerta/molte allerta), per altri esso è sia maschile che femminile, sempre invariabile (un’allerta/molte allerta ma anche un allerta/molti allerta).
Nessun dizionario riporta la data della prima attestazione del sostantivo, ma una ricerca in Google Libri permette di risalire al terzo/quarto decennio del XIX secolo (se si esclude il nome di una settecentesca nave della marina reale del Regno di Napoli, L’Allerta), quando il termine viene usato esclusivamente in testi di storia militare (non a caso scritti da ufficiali napoleonici o da autori di area con influenza linguistica francese).
- “A questi danni che la retroguardia tollerava, si aggiungeva che una forte vanguardia russa, comandata dal generale Tchoglokow, non la perdeva mai di vista, spesseggiandola di colpi il giorno, e tenendola in allerta la notte” (Cesare De Laugier di Bellecour, Gli italiani in Russia. Memorie di un ufiziale italiano per servire alla storia della Russia, della Polonia, e dell’Italia nel 1812, vol. 3, Firenze, 1825, p. 441);
- “affine di tenere in continua allerta Cabrino” (Vincenzo Lancetti, Cabrino Fondulo. Frammento della storia lombarda sul finire del secolo XIV e il principiare del XV, tomo II, Milano, Manini, 1827, p. 163);
- “questa manovra [...] cagionò un’allerta universale” (Cesare De Laugier, Fasti e vicende dei popoli italiani dal 1801 al 1815 o memorie di un’uffiziale per servire alla storia militare italiana, tomo III, Firenze, 1830, p. 276);
- “Checché ne sia di questo, la podestà municipale d’Anversa ha con un manifesto invitato gli abitanti ad illuminare le loro abitazioni in caso di allerta notturno” (“Gazzetta Piemontese”, n. 139, 22 novembre 1832).
In altri settori il sostantivo si diffonderà solo più tardi, grazie soprattutto ai notiziari meteorologici («Allerta meteo su Roma, Alemanno: “Non chiuderemo le scuole”», “Corriere della sera”, 14 ottobre 2012).
Verificato dunque che il sostantivo è stato usato sia al maschile che al femminile, cerchiamo di capire quale dei due generi sia oggi prevalente, tramite alcuni mirati carotaggi in rete. Ad esempio, le occorrenze in Internet (ottenute tramite il motore di ricerca Google) di continua allerta (o allerta continua) sono 9.360, quelle di continuo allerta (o allerta continuo) 1.935, con una netta prevalenza dell’uso femminile. Il dato è confermato anche dalle ricerche sugli archivi di alcuni giornali: nell’archivio del “Corriere della sera”, ad esempio, le occorrenze di massimo allerta sono nettamente minoritarie rispetto a quelle di massima allerta (9 a 616).
Anche sulla formazione del plurale i dati sono abbastanza chiari: ad esempio l’espressione continui allerta appare 72 volte in Google, continue allerta 46 e continue allerte 131 (che quindi è la forma maggioritaria). Si conferma dunque l’intuizione del nostro lettore che, lamentando il proliferare del plurale in -e, ha di fatto notato l’emergenza del fenomeno. La ricerca sugli archivi dei giornali conferma il dato: allerte è presente 17 volte nell’archivio del “Corriere della Sera” e ben 53 in quello di “Repubblica”.
Come si può spiegare questa situazione? Per tentare di fare un po' di chiarezza dobbiamo guardare più da vicino il processo di “lessicalizzazione” dell'espressione, cioè il processo che ha condotto l'avverbio, col tempo, a venire usato anche come sostantivo (analogamente al percorso della parola allarme, che deriva dal segnale di preparazione alla difesa militare all’arme! cioè ‘all’arma’).
I processi di lessicalizzazione sono lunghi e talora ondivaghi: ma quando approdano sull’altra sponda si ha un nuovo termine che funziona come un sostantivo normale. Il comportamento oscillante del sostantivo allerta dipende dalla consapevolezza e sensibilità di chi lo usa: se si avverte ancora la sua origine avverbiale si tenderà a mantenerlo invariato e maschile, come avviene di solito per gli avverbi occasionalmente usati come sostantivi (un oggi, il domani, i nostri domani ecc.); il maschile può esser dovuto anche dall’avvertire il sostantivo come frutto di forma ellittica di un sintagma del tipo: uno stare all’erta, un segnale di allerta > un allerta.
Ma via via che il processo di lessicalizzazione si consolida, il nuovo termine tende ad esser inquadrato morfologicamente nella classe dei sostantivi femminili in -a che al plurale escono in -e. (il femminile è indotto non solo dalla a finale e dal sentimento persistente del sostantivo erta su cui si fonda la locuzione, che è femminile, ma anche dall’avvertire dietro al termine un sintagma del tipo: una posizione all’erta > un’allerta). Oggi questa variante non solo è nettamente prevalente, ma è quella che probabilmente si stabilizzerà, proprio per questa convergenza di fattori che sostengono il genere. Il plurale in -e (ovvero la rinuncia all’invariabilità) è dovuto al fatto che ormai allerta è avvertito come un sostantivo autonomo dalla locuzione avverbiale (come è avvenuto con allarme/allarmi).
Dal sostantivo allerta è poi derivato il denominale allertare con il significato di ‘allarmare, mettere qualcuno in stato di allerta’, attestato, secondo i dizionari, dal 1963 (forse perché segnalato per la prima volta da Bruno Migliorini nel suo volume Parole nuove). In realtà, la prima attestazione del verbo va anticipata di circa vent’anni: nel numero di gennaio-febbraio 1941 la rivista fiorentina (ma pubblicata a New York) “Lo stato operaio” scrive: “l’Unione Sovietica tentò di allertare i loro popoli perché agissero contro l’imminente pericolo”. Non possiamo dunque non sentire l’influenza dell’inglese to alert (attestato dal 1868 e derivante dal verbo corrispettivo francese, alerter, usato già da Stendhal nel 1836), visto anche il luogo di pubblicazione della rivista.
Per tirare le fila ricordiamo dunque che, per quanto riguarda il “come si scrive”, i dizionari consentono entrambe le grafie (all’erta o allerta), anche se dobbiamo riconoscere una preferenza per la forma univerbata, soprattutto quando si usa il termine in funzione di sostantivo. Il nome allerta è femminile (sebbene si registri anche un più raro uso al maschile) e al plurale si declina (sebbene, anche qui, permanga qualche caso d’invariabilità).
Il termine allerta ci ha fatto fare un lungo percorso: siamo partiti dalla lingua latina, abbiamo attraversato quella italiana, francese e inglese per poi ritornare, di nuovo, alla nostra lingua.
Visto il contesto europeo, mi piace concludere con una massima di Oscar Wilde:
To be on the alert is to live, to be lulled into security is to die
(Stare all’erta, ecco la vita. Essere cullato nella tranquillità, ecco la morte).
A cura di Angela Frati
Redazione Consulenza Linguistica
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