Che responsabilità!

Sono arrivate in redazione alcune domande che riguardano il termine responsabilità: qual è la sua etimologia? Quali sono i suoi significati? Qual è il rapporto con il termine colpa?

Risposta

Seguendo la traccia delle domande che ci sono state rivolte in merito alla parola e al concetto di responsabilità, inizierei dall’etimologia. Il sostantivo responsabilità deriva dall’aggettivo responsabile, che ha alla base il verbo latino respondēre ‘replicare’, ‘ribattere’, ma anche ‘corrispondere, rispondere alle esigenze, agli impegni’, con l’interferenza della sua forma intensiva responsāre (costruita sul participio passato responsum ricorrente nella formula responsum dare), in cui è insita la solennità e la sacralità delle sentenze dei giudici e degli oracoli. Respondeo deriva a sua volta da spondeo, che indica ‘l’atto solenne del promettere e del garantire’, collegato direttamente col greco spĕndō, che contempla il significato di ‘concludere un patto e prendersi reciprocamente a garanti’. Nell’evoluzione del verbo si passa dal significato di ‘prendere gli dei a garanti’ a quello di ‘prendersi reciprocamente a garanti’ attraverso lo scambio delle promesse: da qui i termini performativi (ovvero che realizzano qualcosa solo attraverso la loro enunciazione) della terminologia matrimoniale sponsus, sponsa e sponsalia, da cui anche l’italiano sposare nel senso prima di ‘promettere in moglie’ e poi di ‘scambiarsi promessa reciproca solenne’ (cfr. Benveniste 1976 e Foddai 2022). Se il verbo in greco ha significato religioso, in latino assume, fin dall’origine, l’accezione giuridica di ‘farsi garante di giustizia, dare la cauzione personale per qualcuno’ (rimasta in parte nel moderno anglolatinismo sponsor).

Tornando a responsum, è su questo sostantivo che si innesta il suffisso -bile (con possibile influenza del francese, cfr. GRADIT: “1657 nella var. ant. risponsabile; dal fr. responsable, sec. XIV, der. del lat. respondēre ‘rispondere’”), tipico della formazione deverbale di aggettivi, che apporta alla semantica del verbo il tratto di ‘poter essere’ (responsabile è quindi ‘chi può dare risposta’, ‘chi può assolvere agli impegni presi’; dall’aggettivo, con l’aggiunta del suffisso -ità, si forma responsabilità (così come accade ad esempio per irritabile > irritabilità, fattibile > fattibilità, leggibile > leggibilità, possibile > possibilità e molti altri), un nome cosiddetto di qualità perché appunto designa la qualità dell’essere, in questo caso, responsabile. Il derivato, costruito sulla forma intensiva latina, arriva in italiano dal francese responsabilité (a sua volta ripresa dall’inglese responsability, cfr. DELI) e, come vedremo, il termine ha una repentina e ampia diffusione a partire dal 1789 (GRADIT la data 1785) e le rarissime attestazioni precedenti, anche nella forma risponsabilità, che pure non mancano, sono assolutamente sporadiche; segnalo le retrodatazioni che sono riuscita a rintracciare su Google libri per entrambe le varianti: per risponsabilità si risale al 1767 (“Ridotto il Maresciallo a tali Angustie, pensò a discaricarsi di ogni risponsabilità nelle contingenze dell’avvenire, e assicurare la sua stima da qualunque imputazione”, Dissertazione istorico-cronologica del Regimento [sic] Real Macedone, Napoli, 1767), mentre di qualche anno successiva è l’attestazione di responsabilità che compare nel Piano di Direzione, Disciplina, ed Economia dell’Università di Pavia del 1773 (“La custodia, e responsabilità sulla conservazione del Museo medesimo, sarà a carico del detto Professore, il quale formerà un esatto catalogo di quanto ora vi esiste”). In italiano si è persa la forma intensiva del verbo latino (responsare) e abbiamo solo rispondere, che ha conservato come significato primario quello di ‘replicare verbalmente a una domanda o a un discorso’, mentre il tratto semantico della risposta fattiva, dell’agire in conseguenza dei propri compiti e del proprio ruolo è rimasto primario nell’aggettivo responsabile (e quindi nella forma predicativa essere responsabile) e in tutti i suoi derivati (responsabilità, responsabilizzare, responsabilizzazione).

Sicuramente più complessa è l’analisi semantica di responsabilità, che investe più dimensioni dell’operare umano, principalmente quella politico-morale e quella religiosa.

Il vocabolo, già nel suo significato più ampio di ‘condizione di rispondere del proprio operato’, presuppone, da un lato, il coinvolgimento di valori etico-morali per cui chiunque agisca in un contesto sociale o si assuma un incarico è chiamato a rendere conto in modo ragionevole e retto delle sue azioni; dall’altro, entra nella sfera religiosa con l’avvento della religione ebraico-cristiana che presuppone un appello, una chiamata da un’entità superiore (Dio) a cui il soggetto morale decide liberamente di rispondere attraverso il suo comportamento, il suo agire nel mondo. Già in queste due declinazioni del termine ritroviamo due àmbiti, quello politico (in senso etimologico di ‘soggetto agente nella polis’) e quello religioso: nel primo esso assume il valore di piena assunzione degli effetti derivanti dalla propria azione nella comunità umana, mentre nel secondo la responsabilità diventa una delle caratteristiche distintive della dinamica relazionale tra il singolo e il Dio (rivelato) verso cui l’essere umano può scegliere di essere pronto alla chiamata (quindi responsivo, che è un aggettivo che oggi trova largo impiego soprattutto in informatica, come calco semantico dall’inglese responsive, nell’accezione di ‘capace di adattarsi’, detto ad esempio di contenuti che possono adattarsi alla dimensione e alla forma dello schermo di computer e dispositivi mobili) e, di conseguenza, di trasferire nella sua dimensione umana una dinamica analoga, di cura e interesse reciproci, tra i suoi simili.

Sulla semantica del rispondere, e quindi della responsabilità come chiamata a rendere conto, ho individuato un’ottima sintesi nel modello proposto da Franzini 2012, che, senza appiattire la complessità dell’oggetto di analisi, indica tre modelli interpretativi e tre prospettive semantiche da applicare al concetto di responsabilità. I modelli fanno riferimento: 1) all’aspetto causale-imputativo, di natura giuridica, che prevede l’imputazione di un soggetto che è causa di un’azione intenzionale e libera contraria a una norma; in questa prospettiva essere responsabili si traduce nell’esser chiamati a sostenere un confronto su qualcosa che si è compiuto; 2) all’aspetto affidatario per cui a qualcuno è affidato un compito, un incarico, una custodia di cui si assume la responsabilità: 3) all’aspetto antropologico originario (primario, fondamento delle relazioni personali io-tu) per cui al soggetto agente è data l’autonomia di agire liberamente e responsabilmente da un’alterità (divina o in posizione di superiorità). Per quel che riguarda poi la semantica del rispondere, come in un qualsiasi contesto dialogico, si considerano: 1) il soggetto della risposta, che può essere il singolo o la collettività; 2) la forma della risposta, che può essere positiva o negativa (rispetto alla richiesta derivante dalla responsabilità di cui si è investiti), retrospettiva o prospettica (per le conseguenze prodotte da azioni compiute o per quelle attese da azioni future); 3) l’oggetto della risposta, che può limitarsi a sé (rispondere di sé), ma la modalità primigenia è quella di rispondere all’altro (non si risponde di sé se non in una relazione con l’altro) e, quando questa alterità assume una forma istituzionale, si risponde davanti a (una legge, un tribunale, uno Stato, ecc.).

C’è poi un’altra sfumatura, ben evidenziata da alcune delle domande che ci sono state rivolte: quella della colpa, ovvero in quali casi responsabilità e colpa entrano in stretta connessione di causalità (tra il comportamento e il danno prodotto), tanto da poter essere, nella lingua comune, scambiati per sinonimi. Se cerchiamo precedenti nell’antichità classica, quando questi concetti filosofici si sono definiti, possiamo notare che, benché le lingue classiche non avessero vocaboli specifici per il nostro concetto di responsabilità, la sovrapposizione dei significati di ‘essere causa’ (e quindi ‘avere colpa’) e di ‘essere consapevoli dei propri compiti ed eseguirli nel modo più retto possibile’ è rintracciabile nell’accezione attribuita da Aristotele (nell’Etica Nicomachea) alla parola greca aitia, che contempla i significati di ‘causa, motivo’ ma anche di ‘imputazione, accusa, colpa’; nel terzo libro dell’opera Aristotele dedica molto spazio alla distinzione tra azioni volontarie (libere) e involontarie (per ignoranza) e individua la necessità di punire le azioni ingiuste o malvage laddove sia evidente la volontarietà di chi le ha compiute, mettendo così in stretta relazione l’“essere causa” volontaria di qualcosa di negativo con il dover “riparare” al danno o “scontare una pena” (assumersi la colpa e quindi la responsabilità delle proprie azioni).

Ma è in epoca moderna, all’interno della riflessione illuminista e dei travolgimenti della Rivoluzione francese, che il concetto di responsabilità si lega in modo definitivo alla dimensione del soggetto (privato) e del cittadino (pubblico) e assume la forza di obbligo verso la Nazione da parte del “re dei francesi” (non più re di Francia) e dei “ministri costituzionali” di rispondere, rendere conto dei propri atti alla collettività istituzionalizzata. Come accennato, la provenienza francese è anche nella forma attuale della parola che, a partire dalle aree settentrionali governate da Napoleone Bonaparte, comincia a comparire nei testi giuridici: una delle prime attestazioni rintracciate in Google libri, proprio nella variante risponsabilità, è presente in un Verbale del Consiglio de’ Seniori contenuto nelle Leggi organiche della Repubblica Cisalpina del 1797: “Quanto alla risponsabilità di cui Butturini ha voluto aggravare il Consiglio de’ Seniori, risponde, che il solo Gran Consiglio sarà risponsabile per non aver voluto proporre le giuste misure per provvedere al bisogno della Repubblica”.

Viene da chiedersi allora quale parola con significato analogo si usasse in italiano prima dell’avvento di responsabilità: a una prima indagine sembrerebbe difficile trovare un’unica parola che possa coprire il ventaglio semantico così articolato di responsabilità, ma a una ricognizione più attenta carico (nelle varianti charico, cargo, chargo, carco, charco, carego) sembra soddisfare più accezioni. Nel TLIO, ad esempio, sono segnalate sia l’accezione di “Peso connesso all’assolvimento di un compito (in partic. dei compiti connessi con una mansione, un ufficio, una dignità); il compito stesso” (indicata con il n. 3, con vari esempi a partire dal XIII sec. e un passo dal Decameron: “il re, per non perder tempo, verso la Fiammetta voltatosi, piacevolmente il carico le ’mpose del novellare”); sia quella di “Attribuzione di responsabilità o di colpa” (la n. 4, con esempi a partire dal XIII secolo, in documenti bolognesi, mentre per il fiorentino è riportato questo passo dal Libro di Sidrach, a. 1383: “e lasci andare l’uomo, ché tutto il carico e il biasimo non è se non della femmina”) e quella di “Responsabilità o colpa” (la n. 4.3 con un esempio anche dalla Commedia, Inf., 27.136: “Noi passamm’oltre, e io e ’l duca mio, / su per lo scoglio infino in su l’altr’arco / che cuopre ’l fosso in che si paga il fio / a quei che scommettendo acquistan carco”).

Nella riflessione filosofica successiva si continua a trattare il concetto di responsabilità mantenendolo strettamente collegato a quello di libertà, che sta alla base della volontarietà del soggetto agente; attraverso il confronto tra i principali filosofi e pensatori dell’epoca moderna si delineano con maggior precisione, da un lato, l’àmbito etico in cui sono centrali le conseguenze delle proprie azioni (si risponde di sé) e, dall’altro, l’àmbito politico in cui la responsabilità si esplica nei compiti e ruoli sociali affidati al cittadino (si risponde all’altro). Quando l’altro diventa la Nazione, lo Stato, l’Istituzione, il soggetto affidatario di un ruolo ufficiale è chiamato a rispondere anche davanti a e la responsabilità diventa materia specifica della giurisprudenza. L’estensione e le numerose declinazioni del principio di responsabilità in chiave giuridica si mostrano in tutta la loro articolazione alla voce responsabilità del GRADIT, in cui troviamo elencate ben 17 polirematiche con cui si distinguono i differenti profili dell’esercizio della responsabilità e la perseguibilità o meno (civile e/o penale) di atti o inadempienze del soggetto giuridico che possono aver recato danni ad altri: si contemplano quindi responsabilità amministrativa, civile, contabile, contrattuale, diretta, disciplinare, illimitata, indiretta, internazionale, limitata, morale, oggettiva, patrimoniale, penale, politica, precontrattuale, professionale; di queste specificazioni civile, penale, amministrativa e internazionale rientrano nella classe più ampia della responsabilità giuridica e la differenziazione è fatta sulla base del Codice (appunto civile, penale, amministrativo, internazionale) in cui ciascuna viene definita e regolamentata.

È proprio in àmbito giuridico, quindi all’interno di un linguaggio specialistico e semanticamente molto vincolante, che possiamo provare a chiarire meglio il rapporto tra responsabilità e colpa: tecnicamente la colpa nel diritto civile e anche penale è “il comportamento, anche omissivo, dal quale derivi un danno per altri, o causato da negligenza, imprevidenza, imperizia, o dalla violazione di specifiche norme” (IS-LeGI, Indice semantico per il Lessico Giuridico Italiano); la colpa quindi non si sostanzia della volontarietà, ma piuttosto della scarsa attenzione all’osservanza di regole cautelari mirate proprio a evitare i danni prodotti da comportamenti ritenuti rischiosi. In questo aspetto la colpa si differenzia dal dolo, che prevede la volontà consapevole e libera di provocare danni ad altri. La responsabilità invece, sempre restando in àmbito giuridico, è la “condizione di chi deve rispondere della violazione di una legge”; essa, in àmbito sia civile che penale, si distingue in soggettiva e oggettiva. Soggettiva (per dolo o colpa), personale, ovvero interessa solo il soggetto che ha commesso il fatto antigiuridico, sempre che questo sia imputabile (ovvero in grado di intendere e di volere); oggettiva per i superiori in scala gerarchica (datori di lavoro o altro) del soggetto che abbia compiuto un atto illecito nello svolgimento delle proprie mansioni: in questi casi però si configurerebbe senza dolo e senza colpa, una responsabilità potremmo dire “riflessa”, non diretta e derivante soltanto dalla mansione di coordinamento e supervisione dell’operato di altri. Si tratta tuttavia di una questione ancora non del tutto appianata dal punto di vista normativo e, almeno in àmbito penale, resta non ammessa una responsabilità oggettiva “pura”, che andrà sempre valutata in relazione all’evento, a fatti diversi dall’evento e all’intero fatto di reato. Si vede come colpa e responsabilità (soggettiva o oggettiva), in àmbito giuridico, arrivino a sovrapporsi semanticamente solo nel momento in cui una responsabilità sia dimostrata e giudicata tale da richiedere un risarcimento del danno o una pena, ovvero la responsabilità sia riconosciuta come colpevolezza.

Appare evidente come in questo contesto il concetto di responsabilità si intersechi con la dimensione della colpa e quindi venga associato a qualcosa di negativo: una conferma linguistica dell’estensione, anche alla lingua comune, di questa stretta connessione ci viene dal Thesaurus Dizionario analogico della lingua italiana (Treccani, 2018) che, tra le parole in relazione semantica con responsabilità, snocciola una lista di verbi e sostantivi connotati da una certa “pesantezza”: accanto ai meno marcati accettare, assolvere, assumersi, troviamo anche accollarsi, addossarsi, prendersi, sobbarcarsi e nomi come fallo, errore, mancanza, negligenza, sbaglio, crimine, delitto, misfatto, reato; tra i sinonimi poi, impegno, obbligo, ma anche colpa e colpevolezza. Vista in questa prospettiva la responsabilità è primariamente un peso (più o meno opprimente, ma sempre oneroso) come condizione di chi è chiamato a rispondere, appunto, perlopiù di eventi e atti finiti male.

C’è però un’altra faccia della medaglia che mostra la responsabilità come una dote o come una posizione di rilievo, di prestigio in un determinato àmbito (perlopiù lavorativo, ma non solo): la dote è quella di sapersi comportare in modo serio, consapevole quindi delle conseguenze delle proprie azioni, un atteggiamento che ha a che fare con l’assennatezza, l’avvedutezza, la coscienziosità, il giudizio, la prudenza, lo scrupolo, la scrupolosità e la sensatezza (sempre tra i sinonimi elencati dal Thesaurus); la responsabilità in uno specifico settore è invece il ruolo di direzione, coordinamento, controllo dell’attività di altre persone che viene affidato per meriti, per fiducia, per apprezzamento riconosciuti. Una condizione quindi insita nella natura umana per cui ogni individuo, in prima persona, è chiamato a rispondere del proprio operato; uno stato spesso ambìto e raggiunto con impegno e sforzo nel caso di posizioni direttive; una prova di equilibrio e rispetto verso il prossimo e la società quando sia esercitata coscienziosamente, che può però essere trascurata o calpestata e portare a commettere errori più o meno gravi. In tutti i casi una grande responsabilità!

Nota bibliografica:

  • Benveniste 1976: Emile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. II, Torino, Einaudi, 1976, (Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Paris, Les Editions de Minuit, 1969), vol. I, pp. 446 ss.
  • Foddai 2022: Maria Antonietta Foddai, Responsabilità: origine e significati, in “Diritto@Storia”, XX (2022), n. 19.
  • Franzini 2012: Roberto Franzini Tibaldeo, Responsabilità, in “Lessico di etica pubblica”, III (2012), n. 1, pp. 183-200.

Raffaella Setti

9 giugno 2025


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