Da più parti ci si chiede se sia corretto adoperare il verbo residuare e alcune sue forme flesse o derivate (come residuante). Analoghe perplessità riguardano il verbo messaggiare, compreso il reciproco messaggiarsi.
La morfologia dell’italiano prevede, nella derivazione, alcuni limiti sulla classe a cui appartengono la parola di partenza e quella di arrivo. Ad esempio, gli avverbi si formano solo dagli aggettivi (da bello si forma bellamente e da lungo si forma lungamente, ma non si possono derivare avverbi da mangiare o pensare, né da tavolo o malinconia): scrive Davide Ricca che vi è “una lacuna della morfologia derivazionale italiana, che non ha modo di derivare direttamente avverbi denominali (e deverbali)” (in Maria Grossman e Franz Rainer, a cura di, La formazione delle parole in italiano, Tübingen Niemeyer, 2004, p. 478; volume a cui si rimanda per approfondimenti.) Quindi, ad esempio, per fare un avverbio che tragga il suo senso da pensare si passa per l’aggettivo pensoso o per pensabile, formando pensosamente e pensabilmente; e per derivare un avverbio da malinconia si passa per l'aggettivo malinconico, da cui malinconicamente.
Tuttavia, fra le tre classi maggiori (verbi, nomi e aggettivi) c’è piena derivabilità. Questo significa che si possono formare:
In questa ultima possibilità rientrano i due verbi su cui vertono le domande dei lettori, che dunque non hanno niente di strano in linea di principio. Forse le perplessità che li hanno spinti a scriverci sono dovute al fatto che si tratta di derivazioni senza nessun altro affisso (suffisso o prefisso) aggiunto al nome, se non proprio la desinenza verbale. Cioè, messaggiare e residuare non corrispondono formalmente ad atom-izz are o de-pistare, ma a dei solamente ipotetici *atomare o *pistare. Tuttavia questa perplessità non ha ragion d'essere perché uno dei procedimenti morfologici saldamente diffusi per la formazione di verbi denominali in italiano è anche la conversione, cioè la mera aggiunta della desinenza verbale alla radice del nome: si possono sabbiare le travi di un soffitto per liberarle da una vernice indesiderata, derivando il verbo dalla sabbia con cui le si percuote; e si può pranzare da pranzo, cenare da cena, recintare da recinto, concimare da concime, salare da sale, zuccherare da zucchero, martellare da martello, pinzare da pinza e così via. Il procedimento era del resto già attivo in latino: ad esempio il verbo nōmināre era formato dal tema nōmĭn-di nōmĕn (genitivo nōmĭn-is) 'nome'; Così fulmināre era derivato da fulmĕn (genitivo fulmĭnis) 'fulmine', fūgāre da fūga e laudāre da laus (genitivo laudis) 'lode'.
Quindi residuare, da residuo (come nome o come aggettivo? In realtà non è facile stabilire quale sia base di partenza, e dizionari diversi considerano il verbo derivato dall’uno o dall’altro), nel senso di 'essere il residuo', 'risultare come residuo', è verbo perfettamente italiano, voce dotta fatta sul latino resĭdŭum, peraltro attestata almeno a partire dall'inizio del XIX secolo; e così il suo participio presente residuante, che una lettrice segnala nell'espressione "per il residuante periodo", probabilmente da un testo di natura giuridica o comunque tecnica: ambiti d'uso, questi, dove il verbo è più frequente e dove – come tanti altri participi – ammette anche impieghi decisamente aggettivali. Poiché in diverse situazioni si possono produrre residui sia di sostanze materiali (un residuo di benzina nel serbatoio, residui di cibo fra i denti) che di tempo, ma anche di ogni altra cosa (il residuo di un vecchio finanziamento, la poca pazienza residua, qui con l'aggettivo omofono del nome), alla lettrice che ce lo chiede rispondiamo che anche residuare si applica a tutte queste realtà, con la sola accortezza di essere consapevoli della sua natura di verbo dalla connotazione ancora più tecnica del nome da cui deriva, quindi da adoperare soprattutto in contesti e per contenuti tecnico-scientifici o giuridici; per cui su quel capitolo del bilancio residuano pochi fondi suona meglio di bambini, basta, mi residua poca pazienza!
Si noti che questo verbo e tutti gli altri verbi denominali che abbiamo citati appartengono alla prima coniugazione; questa è infatti l'unica pienamente produttiva in italiano, cioè quasi l'unica che ha potuto (e tuttora può) formare nuovi verbi diversi da quelli ereditati direttamente dal latino (sul ruolo marginale della coniugazione in -ire si veda la sezione sui cd. verbi parasintetici di Claudio Iacobini in Grossmann e Rainer 2004, cit., pp. 165-188).
Non meno ben formato è messaggiare, da messaggio, la cui recente introduzione spiega perché alcuni lettori non lo abbiano trovato sui dizionari che hanno consultati (ma è su quelli più aggiornati, specie online). Rispondendo ai dubbi che ci sono presentati, possiamo dire che non c'è motivo per cui il verbo non possa avere uso sia intransitivo (ho messaggiato con Flavia) che transitivo (Luigi la messaggia in continuazione, Ferdinando mi ha messaggiato); e quindi si giustifica anche l'uso del reciproco: ci siamo messaggiati per tutto il giorno. È meno probabile nei fatti, ma non per questo meno grammaticale, il riflessivo: per poter avere quel testo anche nel computer, Gregorio si è messaggiato su Facebook.
La parola messaggio nell'attuale significato di 'informazione trasmessa con un qualche mezzo' è stata introdotta in italiano come prestito dal francese verso la fine del XIII secolo, ed è quindi da quel momento che la derivazione di messaggiare è stata formalmente possibile. Tuttavia, per entrare nell'uso questo verbo ha dovuto aspettare la spinta ricevuta dalla molto maggiore frequenza e dalla natura in parte diversa che il nome e la cosa si sono guadagnati nella modernità tecnologica. Prima gli SMS e poi i brevi messaggi che si inviano nelle chat hanno reso questa attività così continua e rilevante da indurre i parlanti a dedicarle un verbo tutto suo, diverso dal generico scrivere, che era bastato finora per parlare dell'invio di messaggi di varia natura affidati alla carta.
Edoardo Lombardi Vallauri
21 maggio 2018
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