Iris Cartia da Milano e Ilenia Innocenti da Prato ci chiedono se esista differenza di significato o di ambito d'uso tra le forme cioccolata e cioccolato.
Del problema dell'oscillazione con cui è reso in italiano il termine di origine amerindia (nahuatl chocolatl), giunto in Europa tramite lo spagnolo chocolate, si è occupato Bruno Migliorini in un saggio datato 1940 dal titolo Cioccolata o cioccolato? (Profili di parole, Firenze, Le Monnier 1968, pp. 46-56). A cioccolate, forma introdotta da Francesco Carletti nei primissimi anni del Seicento e confermata nel 1620 dal Vocabolario italiano e spagnolo di Lorenzo Franciosini, si affiancavano cioccolatte, cioccolata e cioccolato già prima della fine del secolo: nella terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) si registra la voce cioccolate con la glossa "Dicesi anche più volgarmente cioccolata" e alla voce ingrediente compare cioccolatte in una citazione da Esperienze intorno a diverse cose naturali di Francesco Redi. Lo stesso Redi nelle sue Annotazioni al Bacco in Toscana (1685) registra le varianti cioccolate, cioccolatte, cioccolata e cioccolato. Migliorini spiega così questa molteplicità di forme: "Fatto interessante, e del resto frequentissimo nell'introduzione di vocaboli esotici, dappertutto si oscilla nell'imitare la voce spagnola. [...] In Italia la forma primitiva cioccolate fu subito alternata nella desinenza e nel genere. I nomi italiani in -ate erano poco frequenti, e nessuno indicava bevande; perciò la desinenza soggetta all'attrazione di altre più frequenti: -ata, che già aveva con sé l'acqua cedrata, -ato, come il gelato, -atte, come già il latte" (Ibid. p. 50).
L'oscillazione persiste nel secolo successivo, tanto è vero che la IV Crusca (1729-1738) tratta in un'unica voce le forme cioccolata, cioccolato, cioccolate e cioccolatte; solo nel corso del Novecento ci si avvia verso una semplificazione che, a livello dialettale, si risolve rapidamente nella riduzione a un unico termine: "Il Piemonte e il Veneto, l'Emilia e la Toscana, Roma, Napoli, la Sicilia hanno optato per il tipo cioccolata, o per una forma dissimilata plebea che non è mai giunta all'uso scritto, ciccolata. Invece la Lombardia ha preferito il tipo cioccolato; la Sardegna, infine, il tipo cioccolate" (Migliorini, Ibid. p. 54). Anche la lessicografia di lingua registra la tendenza, ma in direzione di un modello binario: al termine femminile cioccolata si affianca un unico termine maschile: Giovanni Gherardini nel suo Supplimento a' vocabolarj italiani (1852-1857) sceglie di conservare tra le forme maschili il solo cioccolate, mentre la V Crusca ( 1863-1923) propone cioccolatte.
Ridotta a due voci l'alternativa di lingua, si attiva un meccanismo consueto, ovvero quello, continua il Migliorini, "di adibire una delle forme a un significato, un'altra a un altro. [...] in senso analogo ci pare tendano a differenziarsi cioccolato e cioccolata. Faceva una proposta in questo senso già il Gherardini. Dopo avere osservato la sovrabbondanza delle forme, tutte approvate dalla Crusca, egli concludeva (Lessicografia italiana, 2a edizione, Milano, 1849, p. 132): "poiché abbiamo a nostra disposizione tante maniere di scrivere la parola medesima, io vorrei destinarne una a significare la pasta, e direi il cioccolate; un'altra ne destinerei a significar la bevanda fatta con essa pasta, e direi la cioccolata". Quasi tutte le proposte ortografiche e lessicografiche del valente e bizzarro medico sono cadute nell'oblio: questa invece, forse perché egli non faceva che formulare un uso che cominciava a delinearsi, ha avuto una certa fortuna nell'uso generale (salvo che, dov'egli diceva cioccolate noi diciamo cioccolato)» (p. 55). Inoltre ciò che era giunto in Europa come base per la preparazione di una bevanda (si veda la definizione della III e IV Crusca "Pasta composta di diversi ingredienti, il corpo principale della quale è la mandorla Caccao, così detta dall'albero, che la produce. Si prepara in diverse maniere, ma per lo più sciolta nell'acqua calda, collo zucchero, per uso di bevanda" ) comincia a essere usato anche per formare "piccoli pani o tavolette o pasticche" come registra la descrizione riportata nella quinta edizione del Vocabolario degli Accademici. Migliorini concludeva il suo saggio con una previsione: "Si tenga presente la diffusione grandissima, in quasi tutta l'Italia, della forma cioccolata per la bevanda; e si veda d'altro lato con quale uniformità gl'industriali usino la forma cioccolato per il preparato in tavolette: negli avvisi pubblicitari si legge quasi costantemente cioccolato. L'uso delle due forme è storicamente giustificatissimo, e d'altra parte la differenza fra cioccolata in tazza e cioccolato in tavolette (o in polvere) è funzionalmente utile; la diffusione che essa ormai ha nel campo industriale ci fa credere che sia destinata a imporsi generalmente" (p. 56).
La lessicografia più recente sembra aver accolto solo in parte la proposta: secondo il GRADIT Grande dizionario italiano dell'uso, diretto da Tullio de Mauro, edizione 2007, cioccolata e cioccolato, entrambi termini di alto uso, sono sostanzialmente sinonimi, sia come sostantivi, col valore di 'alimento costituito da una miscela di cacao e zucchero, con eventuale aggiunta di aromi, essenze o altre sostanze che viene venduto in polvere o sotto forma di tavolette, cioccolatini', sia come aggettivi invariabili nell'accezione 'di colore bruno scuro'; ma la differenza rilevata sul piano del rapporto con altri elementi lessicali - l'esclusività del sintagma cioccolata calda da un lato e di cioccolato fondente, al latte, bianco dall'altro -, sembra confermare le previsioni di Migliorini. Il Sabatini Coletti 2008 concorda sostanzialmente col GRADIT, ma precisa meglio il rapporto associando al solo lemma cioccolata il valore di 'bevanda da bersi calda, a base di cacao sciolto nel latte' (ovvero cioccolata calda). Per valutare le tendenze dell'uso attuale si rivela utile un sondaggio condotto in rete attraverso Google che conferma la differenziazione semantica: 147.000 occorrenze per cioccolata calda contro 18.300 per cioccolato caldo; 71.700 per cioccolata in tazza vs 3.080 per cioccolato in tazza; 236.000 per cioccolato fondente vs 35.900 per cioccolata fondente. Per ciò che riguarda la frequenza delle voci indipendentemente dalle forme con cui concorrono, la rete registra un notevole vantaggio del maschile rispetto al femminile: 3.910.000 per cioccolato vs 1.300.000 per cioccolata. Se ci si riferisce in particolare al settore della produzione e commercializzazione del prodotto, nei siti Internet delle più rinomate case produttrici appare usato esclusivamente il maschile, a meno che non si parli di cioccolata in tazza; e non è certo un caso infine che il noto film Charlie and the chocolate factory di Tim Burton sia stato tradotto in italiano con La fabbrica di cioccolato.
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
13 febbraio 2009
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