Sono pervenute in Accademia alcune richieste di chiarimento sull’esistenza, l’uso, le forme di alcuni verbi.
Numerose richieste riguardano i verbi coercire, coercere, coercizzare, con il significato di ‘costringere, obbligare’, ai quali sarebbero da ricollegare gli aggettivi coercitivo, coercibile o i sostantivi coercizione e coercibilità. I nostri lettori, dal punto di vista della derivazione delle parole non errano; infatti valutativo, valutabile, valutazione, valutabilità sono tutti derivati del verbo valutare con l’aggiunta di determinati suffissi (si tratta di un procedimento derivativo tipico dell’italiano e delle lingue romanze). L’errore sta nel fatto che in italiano non esistono i verbi coercere, coercire (ma per questo cfr. quanto si dirà più oltre) e coercizzare, e infatti essi non sono attestati da alcun dizionario (per citare i maggiori: GDLI, GRADIT, Vocabolario Treccani). Come si spiega allora l’esistenza in italiano degli aggettivi e dei sostantivi sopra riportati? Semplice: sono tutti prestiti dal francese.
L’aggettivo coercitivo, attestato (come riporta il GRADIT) in italiano dal 1691, deriva dal corrispondente aggettivo francese coercitif (attestato dal 1560); allo stesso modo, coercizione (nella nostra lingua attestato dal 1812) deriva dal francese coercition (attestato dal 1586 e derivato dal lat. coercitione(m)); la stessa cosa vale per i più recenti coercibile (in italiano compare dal 1830, derivato dal francese coercible, attestato dal 1766) e coercibilità (attestato dal 1886, prestito dal francese coércibilité). Tutti questi sostantivi e aggettivi francesi sono derivati dal verbo coercer, a sua volta derivato dal verbo latino coercēre “costringere”, nato dall’unione di cum+arcēre.
Quindi rispondiamo ai nostri lettori che il problema di scegliere tra coercire, coercere, coercizzare nemmeno si pone, in quanto tali verbi non esistono in italiano: solo coercire ‘costringere’ è registrato nel GRADIT come termine specialistico del diritto, datato 1988: evidentemente si tratta di una retroformazione, analoga a quella che si è avuta per perquisire da perquisizione. Ma nell’uso comune è bene non ricorrere a voci di uso molto circoscritto, tanto più che la lingua dispone già di un verbo di matrice dotta che significa ‘obbligare, costringere, ridurre entro certi limiti’: coartare (part. pass. coartato, dal latino coartare), adoperato sempre in senso figurato e attestato già in Dante, nel canto XII del Paradiso, nel celebre discorso di San Bonaventura da Bagnoregio sulla corruzione dell’ordine francescano, ove il santo afferma, a proposito dell’atteggiamento di Matteo d’Acquasparta e di Ubertino da Casale nei confronti della regola francescana: “Là onde vegnon tali alla scrittura / ch’uno la fugge e l’altro la coarta”.
Passando ad altri verbi, veniamo alla coppia ergere/erigere. Attestati sin dall’inizio del XIV secolo, questi due verbi hanno gli stessi significati ‘costruire, innalzare’, ‘istituire, fondare’, ‘sollevare, alzare (detto del corpo, dello sguardo’ ed entrambi derivano dal latino erigĕre (e+regĕre). Certamente la voce erigere è più dotta di ergere e si afferma pienamente con l’Umanesimo. La differenza tra i due verbi è nelle coniugazioni dei verbi: ergere (presente ergo, ergi; pass. remoto ersi, ergesti; part. pass. erto); erigere (presente erigo, erigi; pass. remoto eressi, erigesti; part. passato: eretto).
Lo stesso significato di ‘rendere piccolo’, in senso reale e figurato, hanno invece i verbi parasintetici rimpiccolire e rimpicciolire, derivati rispettivamente dalle forme aggettivali piccolo e picciolo, la seconda oggi molto rara, ma in passato ben diffusa, specie in poesia (caratterizzata dalla stessa palatale invece della velare che si ha in piccino). Questi verbi appartengono alla terza coniugazione in -ire e al presente si coniugano con l’aumento -isc- (rimpicciolisco, rimpiccolisce). Dal punto di vista delle occorrenze (e diversamente da quanto si è appena detto per le basi derivative), nell’uso è più frequente rimpicciolire.
Riguardo a un’altra richiesta sulla coppia tessere/tessire, diciamo ai nostri lettori che tessire in italiano non esiste. Esiste il verbo tessere (part. pass. tessuto). Si può ipotizzare che la forma impropria tessire costituisca una retroformazione a partire da voci come tessimento e tessitura e che ci sia stata anche l’influenza di ordire (l’espressione figurata ordire trame, più frequente di tessere trame) a provocare l’erroneo passaggio del verbo tessere dalla seconda alla terza coniugazione.
Riccardo Cimaglia
5 giugno 2018
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