Alcuni lettori chiedono di fare chiarezza sulle differenze tra due parole formalmente simili e semanticamente affini: condoglianze e cordoglio. Ci è stato, dunque, chiesto di spiegare l’etimologia delle voci in questione e di appurare se la voce cordoglianza possa ritenersi corretta.
I dubbi dei lettori si spiegano col fatto che tanto condoglianza quanto cordoglio appartengono alla stessa “famiglia” di parole, il cui “capostipite” si può considerare, con il RIF, il verbo latino dolēre ‘provare dolore’ ‘dolersi’ (alla base dell’italiano dolere), a cui si collega anche il sostantivo letterario (documentato almeno dal Trecento: cfr. TLIO) doglianza ‘dolore, angoscia, lamento, lagnanza, rimostranza’ (dall’antico francese douliance, dal verbo doloir ‘dolere’), tuttora usato nella lingua del diritto nel senso di ‘rimostranza mossa contro precedenti decisioni giudiziali da parte di chi si appella o ricorre’ (GRADIT).
Il termine condoglianza è un prestito cinquecentesco dal francese condoléance, a sua volta dal verbo condouloir (DELI), derivato dal latino condolēre, formato da cŭm ‘con’ e dolēre, che si potrebbe tradurre con ‘condividere il dolore’ (Zingarelli 2019, GRADIT). In italiano, infatti, “con- è presente in numerosissime parole per lo più di formazione latina in cui esprime i valori ‘unione, partecipazione, simultaneità, uguaglianza’” (Claudio Iacobini, Prefissazione, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 97-164, a p. 162), tra le quali ricordiamo esempi come compiangere, commiserare, compatire, compiacere ecc. Il sostantivo condoglianza, spesso usato al plurale, ha mantenuto in modo trasparente il significato della base latina: ‘partecipazione al dolore altrui, spec. in occasione di un lutto’; da qui espressioni come fare (ma anche porgere) le condoglianze, visita di condoglianze o sentite condoglianze. Altri continuatori diretti del latino condolēre sono il verbo intransitivo pronominale condolersi, attestato in italiano molto tempo prima del sostantivo, che però, sempre con il significato di ‘partecipare al dolore altrui’, è oggi confinato alla lingua letteraria (Zingarelli 2019), così come il participio presente condolente, che con funzione aggettivale o sostantivale significa ‘che, chi partecipa o esprime la propria partecipazione a un lutto o a una disgrazia altrui’ (GRADIT).
Il secondo termine in esame, cordoglio, deriva dal latino cordŏlĭu(m), composto di cor ‘cuore’ e dolēre (DELI), ed è documentato già dal Duecento. Il significato letterale sarebbe ‘dolore di cuore’ e quindi ‘profondo dolore provocato dal lutto’ (Zingarelli 2019). Da cordoglio derivano voci ormai fuoriuscite dall’uso, quali il verbo cordogliare ‘compiangere, compassionare’, usato anche nella forma riflessiva cordogliarsi ‘dolersi, avere pietà’, l’aggettivo cordoglioso e l’avverbio cordogliosamente (GRADIT).
Rientra in questo gruppo anche la voce cordoglianza, di cui però i dizionari sincronici dell’italiano che abbiamo consultato non riportano traccia. La forma è tuttavia registrata nel GDLI come variante di cordogliènza, etichettata come Ant[ica]: ‘cordoglio, dolore, pietà, risentimento’. Come si legge nella sezione etimologica, il sostantivo “deriva da cordogliare, con suffisso -enza, formatosi per influenza della poesia trovadorica provenzale e derivato dai suffissi del lat. mediev. -antia, -entia, plurali di participi neutri, caratteristici nella formazione di nomi astratti derivati da verbi”. Il TLIO tratta cordoglianza e cordoglienza come due voci distinte e riporta per cordoglienza due attestazioni di Jacopone da Todi e di Lapo Gianni: nel primo col significato di ‘profonda afflizione dell’animo’ e nel secondo con quello – che sembra quasi anticipare il valore di condoglianza – di ‘solidarietà e comprensione per il dolore altrui, pietà’:
Or ne di’ l’avengnença / de la tua cordollença». / «A bbesogno venite, / ké fra ll'atre smarite / eo so’ la plu dolente... (Jacopone, Laud. Urbinate, XIII ui.di. (tod.), 4.26, pag. 496).
Veniste a me con sì libero core, / di vostro servo avendo cordoglienza: / gran canoscenza lo vi fece fare, / ond’i’ vo’ dare al su’ mal guarigione (Lapo Gianni, XIII ex./1328 (fior.), 1.22, pag. 571).
Ma il sostantivo è attestato già in precedenza (come segnala il GDLI), nel primo verso della canzone di Giacomo da Lentini Ben m’è venuto prima cordoglienza.
Per quanto riguarda cordoglianza, il TLIO offre due esempi risalenti al XIV sec. in testi di area veneziana e toscana, dove il termine ha significato di ‘sentimento di dolore’. Questi i passi:
Alltissimo re pare de glloria, / pregote che me di'seno e memoria / ch’io possa dir una nobelle istoria / meraveiossa, / Ch’è de alldire molto dellitossa, / ma allo core è mollto spaurossa / perçiò qu’ella conta una cossa / de cuordoiança / Che fere e tocha çascuna amança... (Ell Dio d’amore, 1310/30 (venez.), 8, pag. 112).
E dice: «Peccatori, ché non piangete / quando vedete sì grande cordogliança?» / Sì grande cordolglio facea Margarita / de la passione, non se porrea dire. / [E]scalça e nuda, quella è la sua vita, / e 'l suo corpo pena assai sentire (Laude cortonesi, XIV (tosc.), 51.33, vol. 1, pag. 386).
Una ricerca in Google libri ci offre ulteriori esempi di cordoglianza anche nei secoli più vicini al nostro. Ne abbiamo uno in una lettera scritta da Gabriele D’Annunzio all’editore Treves il 5 agosto 1891, dove il significato è ancora lo stesso, ben distinto da quello di condoglianza:
Sono contento dell’opera, per quanto può essere contento un incontentabile. Un gran soffio d’idealità anima le pagine nuove, e la commozione e la cordoglianza riscaldano tutto il libro. Fatemi una bella edizione. (cit. in Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile: vita di Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori, 2000, p. 186).
Altre isolate occorrenze si trovano in ambito prevalentemente letterario. In Google libri si possono reperire, però, anche attestazioni otto-novecentesche in cui cordoglianze si sovrappone erroneamente a condoglianze, assumendone il significato (bisogna tuttavia fare attenzione alla resa che Google libri offre della parola nei testi messi a disposizione, in quanto spesso la n di condoglianze viene letta come una r a causa di perdite d’inchiostro o di una digitalizzazione non precisa). Si riportano qui di seguito tre esempi sicuri:
Noi avanziamo e all’egregio rabbino ed alla degna di lui famiglia le più sincere nostre cordoglianze (“Il corriere israelitico”, XV, 1876, p. 160).
Col pretesto di presentare al nuovo re Francesco II le cordoglianze di Vittorio Emanuele II per il lutto che l’avevo colpito, Cavour mandò a Napoli, come ambasciatoire straordinario, il conte di Salmour (Giulio Trevisani, Stefano Canzio, Compendio di storia d’Italia, vol. 2, Milano, La Pietra, 1961, p. 628).
Venne deciso di inviare alcuni compagni a firmare il registro delle cordoglianze esposto presso l’ambasciata sovietica (Antonio Rubbi, Incontri con Gorbaciov: i colloqui di Natta e Occhetto con il leader sovietico giugno 1984-novembre 1989, Roma, Editori Riuniti, 1990, p. 38).
Sull’equivoco tra condoglianze e cordoglianze gioca Edoardo Erba nella commedia in due atti Vizio di famiglia:
Pietro: “Ha finito di soffrire.” | Babysitter: “Cordoglianze.” | Annalisa: “Condoglianze. Enne, ci vuole la Enne.” | Pietro: “La Enne. Mia madre muore, la donna che mi ha partorito non c’è più, e lei pensa alla Enne. È una follia. Non c’è più un briciolo di sentimento, qui dentro.” (Edoardo Erba, Vizio di famiglia: commedia in due atti, Milano, Ricordi, 1995, p. 55).
Oggi la parola giusta per esprimere la propria partecipazione al dolore altrui provocato da un lutto è senza dubbio condoglianze e non cordoglianze. Le due parole paiono simili (e sembrano derivare entrambe dalla doglianza che abbiamo citato all’inizio), ma la differenza si coglie dal loro segmento iniziale: cŭm ‘con’ per condoglianza e cor ‘cuore’ per cordoglianza, che dunque è sinonimo, ormai disusato, di cordoglio, termine ancora oggi ancora vitale, come purtroppo sappiamo bene in questo drammatico momento.
Concludiamo con la speranza di avere sempre meno occasioni di confonderci tra condoglianze e cordoglianze e con l’augurio che il cordoglio di questi giorni possa sciogliersi nelle settimane a venire.
Kevin De Vecchis
10 aprile 2020
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