F. Beltrami, R. Burini, G. Casciani, A. De Cesaris, G. Fregni, I. Spitale e le classi quinte dell'Istituto Comprensivo di Lacedonia chiedono al servizio di Consulenza Linguistica a quale coniugazione appartengano i verbi dire e fare.
Coniugazione di appartenenza dei verbi dire e fare
Il problema, che diventa rilevante solo nel caso ci si trovi a compiere l'analisi grammaticale del verbo, si articola in due punti distinti: infatti, la coniugazione di appartenenza dei due verbi in questione varia a) in base alla struttura che si dà al sistema verbale italiano e b) a seconda che si facciano o no risalire i due verbi alla loro forma antica italiana dicere e facere.
a) La struttura del sistema verbale italiano. Tutti concordano sul fatto che la sua origine sia da ricercare nel latino. Come scrive Alfonso Leone: «In latino si distinguevano quattro coniugazioni, con l'infinito rispettivamente in -āre (amāre), -ēre (timēre), -ĕre (legĕre), -īre (audīre). Esse sono continuate in italiano (amàre, temére, lèggere, udìre), talvolta con passaggio da una coniugazione all'altra (mordēre > mòrdere, ridēre > rìdere, cadĕre > cadére, tremĕre > tremare, fugĕre> fuggire, complēre > cómpiere o compíre)». Leone poi continua: «Coniugandosi poi verbi come temére e lèggere allo stesso modo, si è fatta di essi una coniugazione sola (la seconda); le coniugazioni quindi, in italiano, si sono ridotte a tre: in -are: 1a / in -ere: 2a / in -ire: 3a».
Non tutti i grammatici sono concordi su questa tripartizione. Alcuni autori, infatti, ritengono che l'italiano abbia continuato puntualmente la struttura quadripartita del sistema verbale propria del latino, mantenendo la distinzione tra i verbi in -ĕre e in -ēre, che in italiano diventa distinzione tra quelli in in -ére con e tonica (valére, sapére, rimanére) e quelli in '-ere (córrere, lèggere) sdruccioli. A seconda che si consideri o no tripartito il sistema verbale italiano, cambia la coniugazione a cui si fanno appartenere dire e fare.
b) Far risalire i verbi dire e fare alle forme antiche italiane dicere e facere, di diretta discendenza latina (dicĕre e facĕre). Tali forme sono citate nel GDLI, Grande Dizionario della Lingua Italiana del Battaglia; se ne trovano occorrenze, per esempio, in Iacopone da Todi (Laude 25: "Lo vostro detto, frate, sì nne place / però che vostro dicere è verace") e Guittone d'Arezzo (Rime, Sonetto 110: "Sempre poria l'om dir en esta parte / trovando assai che dicere di bono, / en tante guise departite e sparte / le parte d'essa e le condizion sono [...]") per dicere, e in una raccolta di documenti bolognesi datati tra il 1287 e il 1330 ("[...] cum ço sia cosa che cotal cose facere / siano cose [...] de male esenplo [...]") per facere, meno usato anche anticamente.
Considerati questi due aspetti, le tre principali posizioni in merito alla coniugazione di appartenenza dei verbi dire e fare sono le seguenti (si citano, in ognuno dei tre casi, alcune grammatiche che adottano tale classificazione):
1) Si considera tripartito il sistema verbale italiano (-are / -ere / -ire), secondo le linee accennate da Leone. Partendo da questa tripartizione, si pone fare tra i verbi irregolari della prima coniugazione (-are) e dire tra i verbi irregolari della terza coniugazione (-ire). Questa spiegazione viene data dalle grammatiche di Luca Serianni, di Dardano e Trifone e in generale da molte delle grammatiche più recenti.
Le altre due posizioni sono spesso sostenute dalle cosiddette grammatiche "scolastiche", normalmente usate nelle scuole dell'obbligo.
2) Il sistema verbale italiano è ancora considerato tripartito, ma questa volta i verbi dire e fare sono classificati come verbi anomali della seconda coniugazione (-ere). Tale classificazione nasce dal considerare preponderanti le già citate forme italiane antiche, di diretta origine latina, dìcere e fácere. Questa posizione è sostenuta, per esempio, dalla Nuova Grammatica Italiana di Moretti e Consonni.
3) Si mantiene per l'italiano la stessa classificazione quadripartita del latino, distinguendo tra verbi della seconda coniugazione in -ére (valére, sapére, rimanére) e verbi della terza coniugazione in '-ere (córrere, lèggere). In conseguenza al mantenimento di tale quadripartizione, i verbi dire e fare vengono posti tra i verbi irregolari della terza coniugazione (quella in -'ere), vista la loro derivazione da dicĕre e facĕre (e la già nota presenza, in italiano antico, dei verbi dicere e facere). A questo filone appartiene, tra le altre, la Grammatica italiana di Calboli e Moroni.
Le tre tesi sono ugualmente sostenibili; l'importante, in ognuno dei casi, è ricordare che i verbi dire e fare derivano inconfutabilmente dal latino dicĕre e facĕre (attraverso l'italiano antico dicere e facere) e che, se come forme dell'infinito possono venire classificati rispettivamente come verbo della prima e della terza coniugazione, per la maggior parte delle altre forme appartengono alla seconda (o terza, in base alla classificazione latina) coniugazione: quella, per intendersi, dei più regolari leggere e chiudere.
Del resto, dire e fare non sono gli unici verbi dell'italiano dall'infinito anomalo: tutti quelli in -rre, come addurre, condurre, porre, vanno necessariamente fatti risalire agli originari adducĕre, conducĕre e ponĕre e come tali posti nella seconda (o terza) coniugazione. Conoscere l'iter storico di tutti questi verbi, quindi, è necessario qualsiasi sia la tesi che si decida di abbracciare.
Riferimenti bibliografici:
A cura di Vera Gheno
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
27 giugno 2003
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