Cosa facciamo quando riponiamo le cose al loro posto? Le ritiriamo o le rientriamo? Oppure le conserviamo? O invece le posiamo?

Molti lettori ci chiedono se il verbo in uso nel loro territorio per ‘riporre, mettere via’, ‘riportare al proprio posto’ appartenga alla lingua comune o alla varietà locale: lettori di area settentrionale (perlopiù piemontesi, ma anche milanesi e vicentini) ci sottopongono ritirare, il cui uso è contestato loro da conoscenti toscani o meridionali; altri, originari del Sud, domandano chiarimenti sul verbo rientrare usato transitivamente in questo senso; i due verbi si “confrontano” nelle parole di un lettore originario della Sicilia che vive e lavora in Piemonte: “quando ho detto di aver rientrato il carrello delle medicazioni nella stanza, sono scoppiati a ridere dicendo che dovevo parlare in italiano. Giù in Sicilia si usa tantissimo, e qui invece si usa dire ho ritirato il carrello…”. Altri lettori di origine meridionale ci sottopongono l’uso di conservare e una lettrice che scrive da Napoli chiede se si possa usare posare in questo senso.

Risposta

In primo luogo una constatazione: il contesto reale in cui ognuno di noi si trova a usare mettere via, mettere a posto o un equivalente locale è, di solito, informale, per non dire familiare. Così, secondo gli esempi riportati dai lettori, al Nord della penisola si può “ritirare la valigia nello sgabuzzino” (il verbo, altrove, significa piuttosto ‘riprendere’, da cui le possibili perplessità di altri parlanti sul suo uso in tale contesto), mentre al Sud si rientra “lo stendino” dal terrazzo o anche il “bucato”; sempre al Sud si conservano “i giochi” (intesi come giocattoli) o “la valigia”, mentre si posa “il sale nell’armadio”. Ma, ci dicono, si può anche ritirare “il certificato nella busta”, “i fascicoli nelle cartelle” in ufficio, nonché il carrello, che si può pure rientrare, in un’azienda sanitaria, e si ritirano o si conservano “l’astuccio/ i libri nello zaino”, in ambiente scolastico. In questi casi il contesto di riferimento è evidentemente professionale. Per tutti gli esempi riportati l’italiano comune prevede l’uso di riporre in contesti formali o, in quelli più informali, mettere (mettere via o a posto se non si specifica il luogo in cui l’oggetto va riposto).

I verbi proposti dai lettori sono una “rappresentanza” a livello di italiano locale di una più nutrita compagine dialettale attestata dalla carta 902 (‘riporre [i vestiti]’) dell’AIS. Ecco, in ordine alfabetico, normalizzate nella grafia, le forme verbali più ricorrenti testimoniate dalla carta:

  • buttare (via, dentro) in Piemonte;
  • logare in punti isolati di Liguria, Piemonte ed Emilia-Romagna;
  • mettere (via, giù, dentro) in Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio;
  • poggiare in Lombardia ed Emilia-Romagna, in punti isolati di Liguria, Piemonte, Trentino e Friuli;
  • ponere, arponere, riponere in Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo e Sardegna;
  • posare, riposare in Lazio e in punti isolati di Emilia-Romagna, Calabria e Abruzzo;
  • rimettere in Toscana e in punti isolati di Abruzzo e Campania;
  • serbare, servare in Sicilia e Calabria orientale;
  • stipare in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria.

Le forme elencate sono presenti anche nell’italiano attuale, a esclusione di logare e ponere, che sono anche varianti antiche di locare (a sua volta antico e letterario per “mettere, posare, deporre, fissare una cosa in un luogo o spazio determinato”, facilmente avvicinabile al più attuale collocare cfr. GDLI) e di porre.

Ecco come i verbi corrispondenti in lingua vengono definiti nel Devoto-Oli online (si citano solo le accezioni utili alla trattazione; nel caso di associazione a un sinonimo se ne riporta la definizione tra parentesi quadre preceduta dal segno =):

  • locare tr. arc. Collocare [= Mettere in un luogo; sistemare, disporre];
  • mettere tr. Collocare in un posto (anche + in, su, a);
  • poggiare1 tr. Lasciare un oggetto mettendolo in un posto, posare (anche + su): poggia pure il soprabito sul letto;
  • porre tr. Sistemare in un luogo, mettere (anche + in, su, a): porre i vestiti nell’armadio;
  • posare1 tr. Mettere giù, spec. con una certa cautela; poggiare (anche + a, su, in): posare la valigia a terra; posare la borsa sul tavolo; […] Collocare nella sede prefissata, sistemare: posare le fondamenta di un edificio; posare i cavi;
  • rimettere tr. Mettere di nuovo nella sede o nella posizione precedente; ricollocare: rimettere il libro sul tavolo;
  • serbare elev[ato] v.tr. Tenere da parte qualcosa, conservare [= Tenere con cura un oggetto o un bene; custodire] (anche + per): ho serbato tutte le sue lettere;
  • stipare tr. Accalcare in un ambiente ristretto più cose o persone, ammassare, ammucchiare (anche + in): stipare i vestiti nell’armadio.

Come si può notare, quasi tutti i componenti della lista possono essere usati in rapporto a oggetti che vengono spostati e posti sopra una superficie (nel caso di poggiare e posare) o all’interno di un contenitore. Nelle descrizioni ricorrono altri verbi della stessa lista (evidenziati da noi in neretto) con l’unica eccezioni di stipare, che presenta il tratto della pluralità “forzata” degli oggetti riposti. Alla lista aggiungiamo poi riporre, presente, come abbiamo visto, anche nel titolo della carta AIS, che viene così definito dallo stesso Devoto-Oli:

riporre v.tr. 1 Porre, collocare qualcosa in luogo chiuso o riparato, spec. per conservarlo o custodirlo (anche + in): riporre nell’armadio i vestiti invernali; riporre un gioiello in cassaforte; riporre il fieno, metterlo al riparo nel fienile []
Porre una cosa nel luogo da cui si era presa, ricollocare: riporre un libro nello scaffale; riporre gli occhiali nell’astuccio; […].

A fine di questa rassegna possiamo rispondere ai nostri lettori che posare e conservare in italiano comune presentano tratti diversi rispetto a riporre: al primo manca l’idea del luogo chiuso e riparato in cui l’oggetto viene messo (si posa qualcosa su una superficie), mentre per il secondo è proprio il luogo ad aver maggiore rilievo in quanto deve assolvere la funzione di custodire, proteggere un oggetto da qualcosa che può danneggiarlo (si conservano i cibi in frigorifero perché non si deteriorino o i gioielli in cassaforte perché i ladri non li sottraggano). In più, nel caso di conservare, il verbo non indica un movimento ma un’azione che dura nel tempo; non è quindi associabile a ogni volta che… come nella frase che viene contestata a una lettrice (“ogni volta che conservo un oggetto di mia figlia”), che invece fotografa il momento in cui un’azione ripetuta si verifica. Conservare e posare nel senso di ‘riporre’ rappresentano un adattamento nell’italiano locale di voci dialettali (serbare, servare; posare, riposare), attestate, come abbiamo visto, nella carta AIS. Sarà quindi opportuno evitarle in situazioni in cui è preferibile l’uso dell’italiano comune (a scuola, in azienda, in ufficio).

Nella lista delle forme dialettali riportata sopra non sono presenti due dei verbi proposti dai lettori: rientrare e ritirare. Entrambi appartengono anche all’italiano standard e hanno in comune il processo di formazione: sono costituiti da un verbo-base, tirare ed entrare, con l’aggiunta del prefisso ri-, che ha valore di ‘dietro, all’indietro’ (cfr. Claudio Iacobini, Prefissazione in Grossmann-Rainer 2004, p. 130) nel caso di ritirare, e ‘un’altra volta, di nuovo’ nel caso di rientrare (cfr. ivi, pp. 155-156). Sempre nella prospettiva della lingua standard, i verbi da cui prendono origine sono diversi per un aspetto rilevante: tirare è transitivo mentre entrare è intransitivo. Sarà utile anche in questo caso porre la questione in prospettiva diatopica, in rapporto cioè all’area geografica: nell’italiano locale di buona parte del Sud della penisola entrare è anche un verbo transitivo che vale ‘mettere dentro, introdurre’; si può cioè entrare l’auto in garage o la carne in frigorifero. Niente quindi, in questa prospettiva, vieterebbe di rientrare i libri nello zaino o il carrello nel luogo preposto.

Come per gli altri verbi, vediamo quali sono i valori in lingua di ritirare e rientrare. Di nuovo consultiamo il Devoto-Oli online.

ritirare v.tr. Mettere qualcosa al riparo o al sicuro in un luogo; riporre (anche + in): ritirare dentro la biancheria stesa; ritirare la macchina in garage anche assol.: il bar sta per chiudere: cominciano a ritirare
Rimuovere, togliere qualcosa da un luogo: ritirare la lenza, le reti da pesca

Notiamo che il dizionario riporta la possibilità dell’uso assoluto di ritirare analogo a quello di rimettere testimoniato dall’AIS per la Toscana. L’accezione, sostanzialmente corrispondente a quanto riportato dai lettori piemontesi, appare nel dizionario solo a partire dall’edizione 2004-2005 e non è presente in tutti gli altri dizionari contemporanei, benché vi si trovino alcuni degli esempi a corredo; per esempio nel Sabatini-Coletti 2024 s.v. ritirare si legge (sottolineato nostro):

Tirare dentro o indietro qlco. [SIN] ritrarre: ritirare gli artigli, le unghie; togliere qlco. da dove lo si era messo: ritirare la biancheria stesa, le reti

Come si vede la descrizione è diversa, anche se identico è almeno un esempio riportato (ritirare la biancheria stesa): si mette in rilievo il movimento “inverso” piuttosto che la collocazione in un luogo riparato e il verbo equivalente non è riporre (come mette invece il Devoto-Oli) ma ritrarre. Analoga la scelta del Vocabolario Treccani online, che riporta come seconda accezione di ritirare

Tirare indietro, muovere all’indietro: stese la mano e poi la ritirò in fretta; E li orecchi ritira per la testa Come face le corna la lumaccia (Dante); con pleonasmo, r. indietro (il capo, la mano, ecc.); più genericam., rimuovere da un luogo tirando verso di sé: r. le reti da pesca, la lenza; r. i panni stesi ad asciugare

Più sintetico lo Zingarelli 2024, che, per ritirare, non prevede riferimenti alla biancheria e alle reti:

tirare indietro, ritrarre: ritirare la mano dopo averla tesa; la chiocciola ritira le corna nel guscio

Descrizione analoga a quella del Devoto-Oli si trova invece nel dizionario Garzanti, a partire dall’edizione 2006 (s. v., n. 4):

mettere al riparo, al sicuro; riporre: ritirare l’auto in garage; ritirare i vestiti nell’armadio

La stessa accezione di ritirare appare dalla prima edizione (1999; confermata nell’edizione 2007) del GRADIT, dove si legge:

estens., riporre, rimettere a posto: r. i vestiti nell’armadio, l’agenda nel cassetto, quando finisci ritira tutto con cura; anche ass.: tra poco si chiude, è ora di r. | mettere al riparo o al sicuro: r. i panni in casa quando piove, r. i fiori dal balcone, r. l’auto in garage, r. i gioielli in cassaforte

GRADIT riporta, oltre al contesto esemplificativo relativo alla biancheria stesa ad asciugare presente in tutti gli altri dizionari citati, anche quello relativo ai vestiti nell’armadio già visto in Garzanti e quello relativo all’auto in garage (in Devoto-Oli e Garzanti) nonché la possibilità dell’uso assoluto in riferimento ai tavolini del bar che abbiamo visto anche in Devoto-Oli. Non è da escludere quindi che l’attestazione del GRADIT sia alla base di Devoto-Oli e Garzanti.

Un valore analogo di ritirare, benché non del tutto coincidente, è attestato qualche anno prima anche nel GDLI (vol. XVI, 1992, n. 10):

Porre al riparo o al sicuro qualcosa in un dato luogo; riporre beni, oggetti preziosi per custodirli.

A corredo di questa accezione il dizionario riporta solo citazioni risalenti ai secoli XVI-XVIII; “sommerse” nel GDLI (cioè registrate sotto altre voci) si trovano però anche una testimonianza coeva e altre più recenti, che riportiamo:

Come Veronica ebbe spoppato Letizia amareggiando le mamme con il succo della corteccia di noce, il conte di Riverenza non volle ancora ritirare presso di sé la bambina. (Giovanni Faldella, La figliuola da latte, in Racconti lombardi dell’ultimo Ottocento, a cura di G. Ferrata, Milano, 1949, pp. 149-167: p. 152 [già in Id., Figurine, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1875]; GDLI s.v. spoppare1; ritirare presso di sé qui vale ‘far tornare ad abitare nella propria casa’)

La salutava [il giardiniere] e la teneva a giorno: - Oggi rinnoviamo le grandiflore; - oppure: - È venuto il tempo di ritirare in serra le azalee. (Riccardo Bacchelli, Oggi, domani e mai, Milano, 1961 [19321], p. 318; GDLI s.v. grandiflòro, 2., vol. VI, 1970; si noti come il termine paia quasi un tecnicismo della floricultura)

Convenzionalmente, vedeva la De Gasperis simile a un fiore bianco e intatto mezzo sommerso in una pozzanghera... A lui spettava ritirare il fiore dalla mota e metterlo al sicuro. (Alberto Moravia, L’avaro [1937], in I racconti, Milano, 1954, p. 167; GDLI s.v. mota1, 8; per questa particolare accezione cfr. AIS c. 1444 ritirare ‘raccogliere’, P. 190 Airole [IM])

Di queste attestazioni, che hanno in comune l’origine settentrionale degli autori (Faldella era vercellese, Bacchelli bolognese e Moravia, al secolo Alberto Pincherle, anche se nato e vissuto a Roma, era di origine veneta), quella che testimonia un uso del termine più coerente con le definizioni di GRADIT, Garzanti e Devoto-Oli è quella del bolognese Bacchelli. La citazione appare nel VI volume del GDLI, la cui prima edizione risale al 1970, quindi prima dell’attestazione in GRADIT. E non si tratta di una novità di quegli anni, visto che il testo di Bacchelli viene pubblicato per la prima volta nel 1932. Riusciamo ad andare ancora più indietro nel tempo grazie a un articolo comparso sulla “Stampa” (quotidiano piemontese) nel 1914 in cui il verbo viene riferito ai tavolini di un bar (presente, come abbiamo visto, tra gli esempi del GRADIT):

I Caffè avevano ricevuto l’ordine di ritirare i tavolini e le sedie dei «déhors» e così si è avuto nei grandi «boulevards» lo spettacolo insolito dei Caffè privati dei loro abituali ranghi di tavolini. (La dimostrazione parigina contro la guerra, “La Stampa”, 28/7/1914, p. 7)

Tutti gli esempi passati in rassegna hanno alla base il valore espresso da ritirare di ‘riportare dentro, tirare dentro’ qualcosa che prima era stato portato all’esterno, che in qualche modo “contiene” dentro di sé il significato, in uso soprattutto in area settentrionale, di ‘rimettere al suo posto’ qualcosa (che dal suo posto era stato tolto, come uno stendino o dei fiori; analoghe considerazioni valgono per la forma riflessiva ritirarsi ‘tirarsi indietro’, ‘tornare dal luogo da cui si è venuti’, che qui non trattiamo).
Sul fronte della lingua occorre però considerare che il verbo ritirare vale anche (e forse soprattutto) “Farsi consegnare qualcosa di cui si è destinatari, proprietari o che spetta di diritto; prelevare, riscuotere (anche + da)” (Devoto-Oli s.v. 7); per esempio le valigie si ritirano nello sgabuzzino, ma anche, con valore diverso, al terminal dell’aeroporto, l’auto si può ritirare in garage ma anche dal carrozziere. Sarà dunque il contesto situazionale a chiarire di volta in volta (ma, sul piano semantico, l’accezione sembra piuttosto regionale).

Più problematico il caso di rientrare, verbo quasi (vedremo subito le eccezioni) esclusivamente intransitivo nell’italiano comune, ma non in quello usato in area meridionale.
Devoto-Oli elenca ben 9 accezioni per rientrare intransitivo, ma attesta anche la possibilità di un impiego transitivo in àmbito marinaresco:

v.tr. mar. Ritirare un oggetto a bordo: rientrare i remi
Ridurre la forza delle vele: rientrare i coltellacci

Più ampia la porzione dedicata all’uso transitivo di rientrare dal GRADIT, benché le accezioni abbiano una marca restrittiva, “di basso uso” o “termine specialistico” in particolare della tipografia (“spostare una riga in dentro rispetto all’allineamento del margine sinistro”) e della marineria; riportiamo quelle che ci interessano:

v.tr. BU ritirare all’interno, recuperare: r. il bucato steso
v.tr. TS mar. riportare a bordo qcs. che era fuori bordo: r. le scialuppe | far scorrere i remi orizzontalmente nelle scalmiere verso l’interno dell’imbarcazione finché l’estremità del girone tocca il bordo opposto | serrare alcune vele per ridurre la velocità dell’imbarcazione

Ancora, ma non di molto, più estesa la trattazione in GDLI:

Tr. (per lo più in costruzioni con valore causativo). Riporre, ricollocare qualcosa nel posto indicato o dal quale è stato tratto fuori; ritirare, portare via o dentro.
- Marin.: rimettere o riportare a bordo.
- Marin. Rientrare le vele: serrare quelle che sono guarnite su aste scorrevoli.
- Rientrare la forza di vele: ridurre la superficie del velame disteso, ritirando i coltellacci e gli scopamari.

A corredo dell’accezione (la n. 20) il dizionario riporta (oltre a quella del Dizionario di Marina medievale e moderno, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1937, s. v.: “‘Rientrare’: di un oggetto: ritirarlo dentro da fuori bordo. Rientrare le aste di posta, l’asta di fiocco, i parabordi, gli ormeggi”) tre citazioni letterarie:

La parola alla Luna! Viva la Luna! Rientrate le lampade! O spegnetele tutte. (Filippo Tommaso Marinetti, Vulcano 8 sintesi incatenate [I rappresentazione 1926], Terza sintesi La grande gara del fuoco, in Teatro, a cura di G. Calendoli, 3 voll., Roma, 1960, vol. III, p. 169)

Il pagliaio aveva un finestrone senza imposte, che serviva, dopo la trebbiatura, per rientrare la paglia. (Ignazio Silone, Vino e pane, Milano, 1955 [I ed., col titolo Pane e vino, 1937], p. 45)

Dal marciapiedi davanti al caffè Addis Abeba furono rientrati in fretta le sedie e i tavolini. (Ignazio Silone, Una manciata di more, Milano, 1954, [I ed. 1952], p. 106)

Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto da genitori dell’Italia settentrionale (il padre di Voghera, la madre di Milano), ebbe un’istruzione scolastica prevalentemente in francese, mentre Secondo Tranquilli, noto come Ignazio Silone, abruzzese di nascita, visse a lungo in Svizzera, in particolare a Zurigo. Per Marinetti è difficile ipotizzare un’influenza dell’italiano meridionale, mentre è probabile quella del francese, lingua in cui il verbo rentrer può ricorrere negli stessi contesti di ritirare (rentrer le linge ‘mettere al riparo la biancheria’, rentrer la voiture ‘mettere al riparo l’auto’, il faut rentrer les plantes avant les grands froids ‘bisogna mettere al riparo le piante prima del grande freddo’, ecc.; cfr. Il Sansoni Francese 2019).
In Silone (di cui si sottolinea l’uso di rientrare riferito a tavolini (e sedie) di un bar analogo a quello testimoniato per ritirare sulla “Stampa”, in GRADIT e Devoto-Oli) sono invece possibili entrambe le ipotesi: potrebbe trattarsi di un localismo meridionale avvantaggiato dal parallelo con il francese.

Come abbiamo visto, nell’italiano della marineria si usa rientrare i remi per ‘tirare i remi dentro l’imbarcazione aggiustandoli per traverso in modo non sporgano fuori’; con lo stesso valore è possibile trovare testimonianze anche di ritirare i remi: così nel GDLI è presente nella descrizione dell’espressione di àmbito marinaresco Intrecciare i remi (s.v. intrecciare, 16) e nella spiegazione del comando Leva remi! (s.v. levare, 67). Lo si trova anche in opere ottocentesche e in particolare nel Vocabolario di marina in tre lingue (3 voll., Milano, Dalla Stamperia Reale, 1813-1814) di Simone Stratico, nato in Dalmazia e vissuto per lo più a Padova, dove si legge che acconigliare “Vuol dire intrecciare i remi e ritirarli nella galera o nella lancia”. La sequenza è attualmente impiegata, stando alla rete, come variante del modo idiomatico tirare i remi in barca “ritirarsi (da un’impresa), rinunciare alla lotta” (cfr. GDLI s.v. barca, 6).

Quindi in italiano comune il “dissidio” testimoniato da coloro che ci hanno scritto tra il settentrionale ritirare e il meridionale rientrare può essere superato durante una gita in barca a remi; comunque sarà bene ricordare che nei luoghi di lavoro, specie se pubblici, è sempre preferibile l’impiego di una forma appartenente alla lingua di tutti.


Matilde Paoli

8 novembre 2024


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