Alcuni lettori e alcune lettrici ci scrivono per sapere se, per indicare le focaccine tonde di pane cotto fra due piastre (un tempo di terracotta), sia più corretto utilizzare il termine tigella, che originariamente indicava le piastre stesse, o crescentina, il nome più diffuso nell’Appennino modenese, ma che a Bologna, denomina il morselletto di pasta fritta, ovvero lo gnocco fritto di Modena.
Proviamo a chiarire questo dubbio, che, come molti ci hanno scritto, pare davvero amletico.
Una premessa
Uno dei tratti peculiari dell’italiano del cibo è, senza dubbio, la varietà del lessico. Nonostante l’intervento di normalizzazione e di semplificazione terminologica compiuto da Pellegrino Artusi nel periodo postunitario, infatti, la lingua italiana del cibo è andata progressivamente arricchendosi non solo di dialettismi (pensiamo a voci come cassata dal siciliano, grissino dal piemontese, fettuccine dal romanesco, pesto dal ligure, panettone dal milanese e così via), ma anche di geosinonimi, ossia di sinonimi geograficamente differenziati, e di geo-omonimi, parole uguali che in diverse zone del territorio designano cose differenti. È questa, del resto, una delle caratteristiche che non consente alla lingua del cibo di rientrare nell’ambito delle lingue speciali, ma che fa sì, piuttosto, che essa sia annoverata tra i linguaggi settoriali (secondo Gualdo [2016, p. 372; ma ripreso da Frosini-Lubello 2023, pp. 9-10]: “i linguaggi settoriali, per effetto della variazione diafasica [didattica, divulgazione e comunicazione tra esperto e profano] e di un più spiccato condizionamento da parte dei mezzi di comunicazione di massa, si caratterizzano, rispetto a quelli specialistici, per un indebolimento dei tratti tipici di questi ultimi, quali la regolarità nei processi di formazione dei termini, l’alto tasso di tecnicismi specifici e la rigida biunivocità tra questi e i concetti da loro designati”). Se, dunque, per dirla con gli storici Capatti e Montanari, “l’Italia delle cento città e dei mille campanili è anche l’Italia delle cento cucine e delle mille ricette”, potremmo aggiungere – in modo del tutto parallelo – che l’Italia è anche il paese dalle cento pietanze e dalle mille denominazioni.
Paese che vai crescentine che trovi
Se sull’Appennino modenese chiediamo il nome di quella deliziosa focaccina tonda, fatta con un impasto a base di farina, strutto, lievito e acqua, e cotta con un apposito strumento un tempo di terracotta, è molto probabile sentirsi rispondere che quella che stiamo descrivendo è la crescentina, ma…
C’è, infatti, un ma: a valle, nell’ambiente cittadino, ha preso piede la denominazione tigella. Chi è legato alla tradizione, come emerge dalla moltitudine di pagine e di blog sparsi in rete (si vedano, ad esempio, i risultati della banca dati CoLIWeb), e come lettrici e lettori ci hanno esposto nei loro quesiti, non accetta la denominazione tigella perché con questo nome nella montagna modenese si è sempre identificato lo strumento con cui si cuociono le focaccine e non il prodotto finale.
Proviamo a ricostruire la storia della voce nella lessicografia.
L’unico repertorio (salvo errore) che registra crescentina è il GRADIT (s.v. crescentina [3]), che fornisce la definizione seguente: ‘nella cucina emiliana, sorta di piccola focaccia lievitata cotta al forno tra piastre di terracotta e poi farcita con lardo, aglio, rosmarino e talora formaggio, più raramente ripiena di crema di cioccolata o marmellate’. Nessuna traccia, invece, negli altri strumenti consultati, etimologici, storici e dell’uso (LEI, DEI, VEI, DELI, l’Etimologico, Tommaseo-Bellini, GDLI, Devoto-Oli 2010, Sabatini-Coletti, Zingarelli 2023). A essere documentati sono alcuni geo-omonimi della voce, vale a dire:
– il toscanismo crescentina ‘focaccia spolverata di zucchero’ (GDLI s.v. crescente; GRADIT [1]; Vocabolario Treccani in rete);
– la voce di area toscana e settentrionale crescentina/cresentina ‘crostino di pane abbrustolito’ (DEI, VEI; con questo significato le impressioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca registrano, dal 1623, solo cresentina, forma retrodatabile, secondo quanto riferito in ArchiDATA, al 1606; allo stesso modo, Tommaseo-Bellini; e GDLI [1741-42, Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, Rime] con rimando a crescentina; Tramater; Petrocchi; crescentina: GDLI [Supplemento 2009]; GRADIT [2], che segnala la voce come toscana);
– il termine, questa volta di area bolognese, crescentina ‘porzione di pasta fritta’ (DEI; Zingarelli 2023), documentato anche nella forma non diminutivale crescente (Artusi 1891, GDLI; GRADIT; Devoto-Oli 2010; Vocabolario Treccani in rete [che s.v. segnala anche il dim. crescentina]). Altre informazioni si ricavano dalla lessicografia dialettale: il Vocabolario bolognese - italiano compilato da Carolina Coronedi Berti (1874, p. 306) registra cherséint ‘Crescentina. Focaccia fritta, che si fa della comune pasta con che facciamo il pane o altrimenti: così detta perché cresce nella padella’; significativo è il riscontro nel Vocabolario modenese - italiano compilato da Ernesto Maranesi e Pietro Papini (1893, p. 110), in cui, s.v. chersénta è fornito il significato più diffuso in area bolognese; si legge: “chersénta (da crescere perché la Chersénta friggendo si gonfia) – Donzellina, donzelletta”.
Si può facilmente supporre che, almeno per crescentina ‘focaccia spolverata di zucchero’ e crescentina ‘pezzo di pasta fritta’, l’origine prossima della voce sia identica, ossia il participio presente del verbo crescere, per via della crescita del pezzo di pasta in cottura o durante la frittura (o per azione del lievito; cfr. anche DEI; VEI).
Guardando ai testi della tradizione gastronomica italiana, grazie alla consultazione della banca dati di AtLiTeG (Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dalle origini all’Unità) ricaviamo crescentina in due testi, entrambi collocabili nell’odierno territorio dell’Emilia-Romagna, ossia nell’opera di Cristoforo Messi Sbugo (1549), spenditore di corte degli Estensi, I Banchetti, compositioni di vivande, et apparecchio generale, pubblicata a Ferrara nel 1549, e nell’Apicio di Giovanni Vasselli, opera pubblicata a Bologna nel 1647; in entrambi i testi, tuttavia, la parola è usata nel significato di ‘sfogliatina dolce’ (per l’attestazione nei Banchetti vedi Ricotta 2023, p. 304, e la bibliografia ivi riportata).
Molti secoli dopo, ritroviamo la voce crescente nella Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (dalla I ed. 1891), col significato di ‘pezzo di pasta fritta’ che ancora oggi sopravvive a Bologna (proprio nella Scienza, del resto, si rintraccia la prima attestazione finora nota della voce con questa accezione: cfr. Alba i.c.s.). Alla ricetta n. 194 (XV ed.) si legge:
Quando sentii la prima volta nominare la crescente, credei si parlasse della luna; si trattava invece della schiacciata, o focaccia, o pasta fritta comune che tutti conoscono e tutti sanno fare, con la sola differenza che i Bolognesi, per renderla più tenera e digeribile nell’intridere la farina coll’acqua diaccia, e il sale, aggiungono un poco di lardo.
E successivamente, come si ricava dalla consultazione della Banca dati del VoDIM, nel 1904, all’interno del ricettario di Giulia Lazzari Turco, Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza per l’uso di famiglia. In quest’ultimo testo, la voce crescente, pur intesa nello stesso significato veicolato da Artusi, viene affiancata impropriamente a piadina:
Crescente (piadina). — Mettete un pezzo di burro come una piccola noce entro un bicchiere di latte caldo, e incorporate in questo latte tanta farina quante ne assorbe e un po’ di sale. Maneggiate il composto a lungo sulla spianatoja, poi lasciatelo riposare 30-40 m. in forma di palla coprendolo con un pentolino caldo. Tirate quindi la sfoglia della grossezza d’un pezzo da 5 lire, riducetela a quadrati o a rombi piuttosto grandi friggendoli di mano in mano che li tagliate nello strutto non troppo bollente. Questa pasta deve gonfiarsi molto e si serve per uso di famiglia con le uova al burro o con intingoli.
Sempre nel ricettario di Lazzari Turco troviamo anche il diminutivo crescentine, porzioni di pasta fritta consigliate in accompagnamento alla Lepre in umido:
Lepre in umido colla salsa dolce e forte. — Preparate una lepre secondo la regola, tagliatela a pezzi regolari dopo averla salata e steccata con filettini di lardo e mettetela in una tegghia con un bel pezzo di burro diviso a fiocchi. Quando la carne è rosolata da tutte le parti, bagnatela con un po' di consommé o brodo buono misto con qualche cucchiaino di marsala. Allestite una salsa dolce e forte, facendo caramellare in una scodellina di ferro 50 gr. di zucchero e sciogliendolo con 2 decilitri di aceto buono rosso, mescolate a parte un cucchiaio di fecola con un cucchiaio di salsa, unite ogni cosa, versate il composto nella tegghia e tiratevi i pezzi di lepre a cottura. Servite con un contorno di crostoni, o di crescentine, o altra pasta fritta, oppure semplicemente nelle apposite cazzaroline per gli umidi fini.
La crescente indicata da Artusi e da Lazzari Turco, dunque, è l’odierna crescentina bolognese, quella che in area modenese è conosciuta, con qualche leggera variante nella ricetta, come gnocco fritto (Vocabolario Treccani in rete s.v. gnocco) e in area ferrarese come pinzino. Siamo di fronte, dunque, a un caso di geosinonimia. Nulla di strano; è, anzi, un chiaro segno “di salute di un linguaggio settoriale che non si è assoggettato a una unificazione forzosa” (Beccaria 2014, p. 301).
Tigella
Se la lessicografia ci restituisce poche notizie rispetto alla voce crescentina ‘piccola focaccia cotta fra due testi’, per il sostantivo tigella è disponibile maggiore documentazione, almeno contemporanea. Quest’ultimo termine è infatti accolto dal GDLI, il più importante vocabolario storico della nostra lingua, e dai maggiori strumenti lessicografici moderni. Per il GDLI, che s.v. non riporta tuttavia alcun esempio, tigella è termine di area modenese e bolognese e ha origine dalla forma tigèla ‘teglia di terracotta’ con cui tradizionalmente la piccola focaccia veniva per l’appunto preparata. Tigella è registrata da alcuni repertori dell’uso (Devoto-Oli 2010; GRADIT; Zingarelli 2023), che ne confermano l’origine emiliana, rinviando all’area dell’Appennino modenese. Le uniche notizie circa l’ingresso in lingua della voce si ricavano dal GRADIT, che indica il 1983; secondo quanto emerge dalla banca dati ArchiDATA, tuttavia, è possibile retrodatare la voce al 1962, dal momento che risulta attestata nell’articolo pubblicato nel giornale “Stampa sera” (10-11 dicembre 1962, p. 3) di Guido Rupignié, intitolato Una lettera di Rossini all’«aquila dei salsamentari»; si legge:
[…] Le tigelle, che seguivano come secondo piatto, sono un rompidigiuno da Pantagruel: tondelli di pasta di pane azzimo fra i quali si adagia una fetta di lardo rosa con profumo d’aglio e un ramoscello di rosmarino: sistemata in tal modo a crudo , la tigella vien collocata fra due pistre [sic] porose surriscaldate, e servita poi calda e fumante […].
In italiano, dunque, la voce è di circolazione piuttosto recente. Sempre il Vocabolario modenese - italiano compilato da Ernesto Maranesi e Pietro Papini (1893, p. 110), del resto, registra tigèla solo nel suo significato originario, ossia di “piccola teglia piana senza orlo, di terracotta, o di lastra di ferro, che infuocata serve a fare una specie di castagnacci, detti da noi ciac”. Nessun riscontro, invece, nei vocabolari dialettali bolognesi consultati (Morri; Coronedi Berti), né, come si ricava dall’interrogazione dell’AtLiTeG e del VoDIM, nella letteratura gastronomica del passato.
Provando a ritrovare il bandolo
Da ciò che emerge dalle risultanze degli strumenti lessicografici e dalle testimonianze a disposizione, appare piuttosto chiaro come il termine crescentina rivendicato dai modenesi dell’Appennino sia rimasto per lungo tempo relegato alla sola area d’origine, e dunque alla sola zona di montagna, dal momento che anche i vocabolari dialettali modenesi escludono la voce, almeno nell’accezione di ‘focaccia’ (vedi Maranesi 1869; Galvani 1868; Maranesi-Papini 1893). Probabilmente, per evitare sovrapposizioni di significato con il geo-omonimo bolognese, e dunque per economia linguistica, i parlanti hanno via via optato verso l’uso del termine tigella, voce che, infatti, non solo è di più recente circolazione, ma è anche quella che trova maggiore accoglimento nella lessicografia dell’uso. Tigella, del resto, ha avuto una larga fortuna negli ultimi decenni a seguito della forte spinta data dalla commercializzazione industriale del prodotto su larga scala.
Per quanto possa apparire fuorviante, sull’appropriatezza della voce bisogna anche riconoscere che l’identificazione del prodotto con il nome dello strumento utilizzato per la preparazione non è cosa nuova in ambito culinario: è questo, infatti, un meccanismo di formazione delle parole presente da lungo tempo nel linguaggio del cibo. Rispetto alla nomenclatura delle preparazioni, le traslazioni metonimiche sono sempre state molto frequenti; basti pensare, relativamente al colore, a formazioni come savore nero ‘salsa nera’ e a ginestrata, genestrata ‘minestra con zafferano’ (il pane nero è fra gli ingredienti principali del savore, mentre lo zafferano, giallo, della ginestrata; v. Frosini-Lubello 2023, p. 42), e per nomi derivati, sempre per metonimia, dagli strumenti, si pensi alla più moderna casseula ‘piatto lombardo a base di verza e carne di maiale’, che molti fanno risalire a cassola, la pentola con cui si cuoce, altri da cazza, il mestolo con cui la pietanza viene lavorata (vedi Polimeni 2015, pp. 86-87 e la bibliografia ivi riportata; e si potrebbero citare altri casi, tuttavia ancora fortemente discussi, come ad esempio lasagna: cfr. la risposta della Consulenza linguistica su questa voce).
Ad ogni modo, proprio o improprio che sia, la lingua va dove i parlanti vogliono, e nulla vieta che in futuro le cose possano andare diversamente.
Esiste, tuttavia, il deposito fatto dalla Regione Emilia-Romagna alla Camera di Commercio circa la ricetta di questa delizia emiliana (consultabile qui), che, di fatto, mette d’accordo tutti; la disciplinare di produzione reca, infatti, la denominazione di Crescentina (Tigella) di Modena: entrambi i nomi sono stati mantenuti, e tutti noi potremo fare pranzi tranquilli.
Nota bibliografica:
Monica Alba
5 giugno 2024
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).