Due lettori ci chiedono notizie sul termine marinaresco tramacco usato per indicare il trasbordo della merce da un container all’altro: qual è la sua origine? Perché, pur essendo una parola di uso comune tra gli addetti al settore, anche di regioni diverse, non si trova nei dizionari? Forse non lo si considera termine di lingua?
Né tramacco, né il verbo tramaccare sono registrati nei dizionari storici o nei dizionari dell’uso contemporanei, ma, a stupire, è l’assenza nei dizionari di marina dove ci aspetteremmo l’attestazione proprio per l’ambito d’uso, l’attività portuale appunto, come segnalano nelle loro domande Marco L., di Genova, e Bernardo A., di Pontassieve (FI).
Il significato di tramacco è abbastanza chiaro e ben descritto nelle richieste dei due lettori che vorrebbero informazioni circa l’origine e la diffusione della parola nella lingua: il sostantivo maschile, di cui trasbordo è sinonimo “imperfetto”, designa il trasferimento di merce da un contenitore a un altro.
Per il momento lasciamo da parte trasbordo e il verbo trasbordare, che recuperiamo più avanti, per ricostruire, seppure con pochi indizi, la storia di tramacco, e anche di tramaccare, per quanto non appartenga al repertorio italiano, salvo accertarne l’uso nell’italiano parlato di alcune aree nord-orientali d’Italia. E, a mio avviso, è proprio dal Nord-est che deve iniziare la nostra indagine.
In assenza di attestazioni che siano numericamente consistenti tanto da poter tracciare la storia di questa parola, che ha incuriosito i nostri lettori e che è a tutti gli effetti dell’italiano tecnico, avanzo l’ipotesi che si tratti di un prestito alla lingua proveniente dal dialetto triestino e inizio la verifica.
Rosamani (1958), nel dizionario giuliano-dalmata, registra il verbo tramacar ‘trasportare’ e riporta “Vemo tramacà do armeroni fina in quarto pian” che riprende da Canti triestini (1952), trascritti per coro maschile, da Claudio Noliani, musicista, filologo e folclorista, in collaborazione con Mario Macchi. La parola è di Trieste e di Lussingrande, in croato Veli Lošinj, il più importante porto peschereccio dell’isola di Lussino (Lošinj) che ha perso rilevanza per il rapido spopolamento, significativo a partire soprattutto dal dopoguerra. In certo modo rimaniamo in area con l’attestazione di Fiume (Rijeka), terza città della Croazia che si affaccia sul golfo del Quarnaro (Kvarner) di rimpetto alle isole Quarnerine, di cui fa parte appunto Lussino. Dunque, nel dialetto fiumano, secondo Samani (1978), tramacar ha sia il significato di ‘trasportare mobili da un posto ad un altro’ (“Dai, aiutame tramacar l’armadio in quela camara”, “Tramachemo sta roba altrove che qua la disturba”), sia ‘traslocare, cambiare alloggio’ (“I nostri vizini ieri i se ga tramacà nel novo quartier”, dove quartier vale ‘abitazione’), seppure osservi che quest’ultimo significato, è ricoperto con maggior frequenza dal riflessivo trasportar-se. Il dizionario di Pellizzer (1992), relativamente più recente, testimonia a Rovigno (Rovinj) tramacà prima di tutto col valore di ‘travasare’, detto del vino (ma forse anche di altri liquidi) e poi con quello di ‘spostare’ un mobile da un luogo a un altro. Per altre osservazioni si rifà a Mario Doria che, nel Grande dizionario del dialetto triestino (1987), dedica ampio spazio a tramacar, e per primo, salvo prova contraria, registra il sostantivo deverbale tramaco ‘trasloco, trasbordo’.
Prima di entrare nel merito della breve, ma interessante, trattazione di Doria, si deve definire l’area dialettale in cui ci muoviamo. Ad esempio, in Friuli si ha stramudà e tramudà ‘cambiar luogo a qualcosa’ e la forma riflessiva col significato di ‘cambiare alloggio’ (Pirona 1871) e anche nei dialetti del Veneto non si riscontra tramacar. Dunque siamo in un’area che comprende Trieste e alcune località costiere e insulari dell’Istria.
Mario Doria amplia le accezioni del verbo e le contestualizza in frasi del parlato dialettale o riportando alcuni versi tratti dalle raccolte di poesie di Dino Brezza, pseudonimo che il poeta Sergio Penco (Trieste 1943-2009) adotta quando usa il dialetto triestino per le sue composizioni. Sintetizzo, riprendendo gli esempi in contesto, dalla trattazione di Doria al lemma tramacar:
1. trasportare a mano, scaricare: “Biṣogna tramacar bale de coton da un magaẓin a l’altro”;
2. trasportare, traghettare: “E ’ndavo avanti e indrio con questi aeri / tramacando la gente sora el mar” (D. Brezza, Vita morte e miracoli di Toio Bertoldo, Trieste, 1982);
3. travasare: “I tramacava vin fora de la bota” (D. Brezza, Il favoloso Toio Bertoldo, Trieste 1980, p. 1);
4. sgomberare, andarsene, “’Ndemo che xe ora de tramacar”.
Il tratto semantico di base, sempre e comunque, lo spostamento da un luogo a un altro o da un contenitore a un altro e poco importa se il vino in realtà va fuori dalla botte o se l’oggetto da spostare sono le persone: l’uso di Brezza fa pensare a una dimestichezza col verbo e a un valore “identitario” tali da poterlo giocare in poesia. E senz’altro è così anche per tramaco: “snobbato dai dizionari” che trattano in modo cursorio anche tramacar − escluso il Doria −, come scrive Lino Carpenter sul “Piccolo” (12 agosto 2006), è parola che ha pesato sulle spalle dei poveri fino alla prima guerra mondiale. Si lega a una data precisa, il 24 agosto, in cui scadevano i contratti semestrali d’affitto e si dovevano lasciare liberi gli alloggi, così le masserizie venivano radunate per la strada. Non era cosa di poco impatto questo tramacco, per così dire, collettivo. Ne parla Silvio Rutteri, in Trieste spunti dal suo passato (Trieste, Eugenio Borsatti, 19511), citato da Carpenter, che dedica un capitolo alla fatidica data del tramacco.
Parola di origine oscura, tramacar potrebbe essere, secondo Doria, un prestito dall’italiano tramitare o tramittare. Registrata nel Panlessico italiano (1839, II, p. 1748), poi nel Vocabolario universale Tramater (1840, IV), nel dizionario italiano di Cardinali e Borrello (1851, III), e, infine, passata al GDLI (s.v. tramittare e trasmittare), col significato di trasferirsi da un luogo a un altro, non è accolta in nessuna edizione del Vocabolario della Crusca. Giuseppe Barbieri nelle Lettere critiche (1824) sostiene che si debba (gli Accademici della Crusca debbano!) meglio utilizzare la traduzione della Civitate Dei di Sant’Agostino come fonte di vocaboli e, spigolando nel testo, recupera e propone anche tramittare che traduce il latino se transfert: “La sapienza di Dio, per lo quale furono fatte tutte le cose, la qual si tramitta nelle anime sante” (L. XI. c. 4). Barbieri, con molta probabilità, è la fonte del Panlessico, ma, come abbiamo visto, questo suo suggerimento lessicale non ha gran successo nella lessicografia. Del resto Niccolò Tommaseo, di cui sono noti i forti disaccordi con le posizioni di Barbieri, nelle Osservazioni sopra le lettere critiche (1824), così commenta tramittare:
Donde mai questo goffo tramitta? Non da tramitto latino, che nell’ind[icativo] farebbe tramitte. Dunque vocabolo barbaro, o difformato (ed. 2007, a cura di A. Cotugno et al., p. 240, nota c).
Dopo questa valutazione Tommaseo non accoglie certamente tramittare nel suo dizionario, ma già si era constatato lo scarso o nullo interessamento della lessicografia per una parola attestata una sola volta come traduzione di un testo teologico. A questo punto è quasi impossibile invocare il prestito dall’italiano al dialetto triestino come punto di partenza di tramacare e il dubbio, che lo stesso Doria avanza iniziando la discussione etimologica con un “forse”, diventa certezza. A partire da tramittare una serie di mutamenti fonetici spiegano il punto d’arrivo:
[…] forse prestito da un ital[iano] tramitare(-ittare) «trasferirsi» attraverso *tramatar e infine tramacar, con dissimilazione delle due dentali di sillabe successive t-t in t-k (cfr. stagnaco < stagnato e bis[iacco] tramucar «tramutare»)
Ammettendo i passaggi fonetici proposti da Doria, si potrebbe partire dal composto latino trans- ‘altrove’ e mutāre ‘trasferire’, da cui tramutare ‘spostare, trasportare da un luogo a un altro’, e anche ‘travasare un liquido’. Verbo attestato dal XIII secolo (GDLI, DELI), considerato di uso letterario (GRADIT) o, comunque, di uso non comune (Vocabolario Treccani, DISC), è presente nei dialetti veneti, nel friulano antico e moderno tramudar, stramudar (AIS IV, 1192a cp.; Vicario 2012) e nel bisiacco, dialetto diffuso intorno a Monfalcone (Domini e altri 1985), ma anche, ad esempio, in quelli toscani tramutare e stramutare col significato di ‘spostare qualcosa’.
Se da tramutare si ha tramacar, con assimilazione vocalica e dissimilazione consonantica, sulla base del tema verbale si forma il sostantivo tramaco, a suffisso zero, come per altri nomi derivati da verbi, soprattutto ma non solo, della prima coniugazione, sia in italiano sia nei dialetti: inviare/invio, guadagnare/guadagno, piemontese insogno ‘sogno’/insognar, napoletano apprietto ‘ristrettezza’/apprettare, calabrese mbischiu ‘miscuglio’/mbischiari (Rohlfs 1969, § 1171, pp. 472-3). Nel passaggio all’italiano, tramaco viene adattato col “ripristino” della consonante doppia, tramacco, contro la consonante scempia, tratto caratteristico dei dialetti settentrionali (lombardo strachin > stracchino; veneziano petegolesso > pettegolezzo e zogàtolo > giocattolo). Questa operazione cosmetica non è giustificata se accettiamo l’etimologia proposta, ma di fatto è in questa forma italianizzata che la parola si è diffusa.
Si tratta di una diffusione limitata al lessico tecnico dei servizi portuali e la parola trova riscontro in rete fra le offerte di imprese che si occupano di operazioni varie di movimentazione, fra cui appunto il tramacco, a volte tradotto shifting in inglese, da stiva a stiva e da stiva a stiva via terra (così Scarfato, p. 69 n. 29). Una vicenda di violazione delle disposizioni relative alla merce nei container per traffico di stupefacenti, è stata seguita dai giornali e così tramacco compare “fuori del suo ambiente d’uso”, con una cadenza legata all’evolversi del caso.
In tutti gli articoli è stato necessario spiegare cos’è il tramacco ed ecco alcuni esempi tratti rispettivamente dal “Mattino” (3 agosto 2021), da “Liratv” (3 agosto 2021), dalla “Repubblica” (4 agosto 2021):
Gli investigatori ritengono che presso lo scalo marittimo salernitano venivano emesse da parte dell'agente doganale delle nuove polizze di carico della spedizione mentre l'imprenditore elvetico provvedeva a una nuova fatturazione utilizzando aziende commerciali compiacenti e nella sua piena disponibilità. In estrema sintesi i due indagati utilizzavano la pratica doganale del «tramacco», attraverso la quale riversavano la merce del container di origine all'interno di un altro. In tal modo riuscivano ad eliminare tutte le tracce della provenienza […] (Droga per finanziare la Jihad, altri due arresti al porto di Salerno)
Nello specifico, per evitare ispezioni doganali negli scali portuali intermedi, essendo la Siria inserita nelle “black list” del sistema doganale Schengen (per i rischi connessi a spedizioni pericolose quali armi, droga ecc.) gli indagati utilizzavano, di comune accordo, la pratica doganale del tramacco, consistente nel riversare la merce del container di origine all'interno di un altro affibbiandogli così una nuova “identità”. (Francesca Salemme, Traffico internazionale di stupefacenti Presa la coppia del tramacco)
Droga dunque partita dalla Siria per arrivare a Salerno, dove grazie alla complicità dei due indagati veniva messa in pratica la tecnica doganale del “tramacco”, ossia spostare la merce dal container di origine ad un altro. (Droga per l’Isis: due arresti)
Dal momento che è implicato nella vicenda il titolare di una società di servizi svizzera, se ne occupa anche il “Corriere del Ticino” (30 agosto 2021):
Tramacco è un termine tecnico con cui si indica il riversamento di una merce (in questo caso la droga) da un container all’altro. È una pratica fraudolenta per far perdere le tracce della provenienza della merce. (Federico Storni, La «droga della Jihad» e i collegamenti con Lugano)
Per la verità il tramacco di per sé non è una “pratica fraudolenta”, lo diventa se non si rispettano le regole. Tanto per riportarlo nella legalità, vediamo che nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette “morti bianche” (Senato della Repubblica, XIV legislatura, Seduta 14 del 22 novembre 2005, pp. 17 e 18), si parla degli incidenti nei porti commerciali che riguardano “principalmente il tramacco e lo spostamento dei contenitori da nave a nave” e di “servizi di carico, scarico e tramacco delle merci o di altri beni”.
Ma questa è altra storia rispetto alla “storia” della parola di cui forniamo qualche altro tassello.
Abbiamo visto l’articolo di Carpenter sul “Piccolo” (12 agosto 2006), ma non è la prima volta che la testata triestina si occupa di “gergo” portuale. Un lettore, circa trent’anni fa, chiedeva la spiegazione di alcune parole e, fra queste, tramacco e tramaccare che, per sentito dire, figurerebbero nei documenti di caricazione (Segnalazioni, 29 luglio 1972). Risponde il direttore generale dell’Ente autonomo del porto, Ingegner Lorenzo Colautti che così sottolinea all’inizio della risposta:
[…] desidero informare che sulle banchine portuali, esiste, o meglio esisteva sino a molti anni orsono, un vero e proprio gergo comprensibile solo agli addetti ai lavori. Di tale gergo, che sta scomparendo con la scomparsa dei vecchi lavoratori portuali («el fachin de porto») sono sostituiti dalle nuove leve di lavoratori specializzati nelle operazioni sempre più meccanizzate, restano poche espressioni tradizionali. (Segnalazioni, 9 agosto 1972)
Testimonia poi l’uso di tramacar, col significato che ci è noto, che corrisponde all’italiano tramutare e aggiunge tramutamento, parole che figurano nei documenti come nella “Tariffa generale dell’Ente porto di Trieste”. Nessuno meglio di lui può saperlo, dunque si potrebbe concludere che al triestino tramacar corrisponde l’italiano tramutare, mentre tramaco è lasciato in margine e ce lo ritroviamo italianizzato e ben vivo ancora oggi fra gli addetti ai lavori nei porti.
Non resta che legare questa singolare assenza dai documenti dì portuali di Trieste, con la presenza nella relazione del Senato, portato prima ad esempio dell’uso ufficiale consolidato della parola. Oggi certamente troviamo tramacco, fra le attività portuali di cui si chiede l’autorizzazione: Apertura/tramacco di merci pericolose. Si tratta di due operazioni distinte e la seconda nell’apposito modulo è spiegata come “Istanza per l’operazione di svuotamento e riempimento di unità di carico” (Autorità di sistema portuale dei mari Tirreno meridionale e Ionio. Area amministrativa, Uff. Vigilanza e sicurezza, Gioia Tauro).
Rimanendo nell’ambito di leggi, disposizioni e richieste di autorizzazione e guardando alle prime attestazioni, che risalgono agli anni 1924-1925, si riuniscono prove sufficienti per dimostrare il momento in cui tramacco inizia la sua acclimatazione nell’italiano tecnico e per confermare l’ipotesi di un prestito dal triestino e/o dall’area giuliano-dalmata. Il 27 gennaio del 1924 si conclude a Roma l’Accordo, noto come pace di Fiume, fra Regno d’Italia e Regno dei Serbi, Croati, Sloveni con cui si stabilisce che “la città di Fiume ed il territorio attribuito all'Italia […] vengono a far parte integrante del Regno d'Italia”, come recita l’articolo 2 del testo convertito in legge il mese successivo (R.D.L. 22 febbraio 1924 n.11). In allegato troviamo il testo in francese con il dettaglio degli accordi: al capitolo 1, relativo alla «Location du bassin Thaon di Revel dans le “Porto Grande” de Fiume», si precisa che l’amministrazione del bacino affittato e la gestione dei servizi sono di esclusiva competenza del Governo serbo-croato-sloveno, che, per le operazioni d’imbarco e sbarco e di «transbordement (tramacco), carico e scarico della merce, si servirà esclusivamente di lavoratori del porto, iscritti alla Capitaneria di Porto, seguendo regole e tariffe fissate dalle autorità italiane» (articolo 14). Nella comunicazione ufficiale, l’accordo, ma soprattutto le disposizioni annesse, circolano per avviarne subito l’applicazione: Ministero delle finanze, Comando generale della Guardia di finanza, Bollettino ufficiale legislazione e disposizioni ufficiali, XLVI n. 6, 16 giugno 1924, p. 928; Ministero dell’economia nazionale, Direzione generale del commercio e della politica economica, Bollettino di notizie commerciali, Anno LI, n. 1, 8 gennaio 1925, p. 884; Ministero delle comunicazioni, Bollettino ufficiale delle ferrovie dello stato, XVIII n. 27, 2 luglio 1925, p. 502.
Nella relazione del generale della Marina Mercantile al Ministro delle Comunicazioni, Sulle condizioni della marina mercantile italiana dal 1915 a tutto il 1925 (Roma, Provveditorato Generale dello Stato, Libreria, 1926), fra gli allegati dedicati ai “Porti e servizi relativi”, compare tramacco e il plurale tramacchi. Si tratta del Compartimento marittimo di Trieste dove si indicano le tariffe di carico e scarico del carbone e per i tramacchi si deve contrattare il prezzo di volta in volta (p. 580). A seguire, si riportano le “Tariffe del Porto di Trieste per lo sbarco ed imbarco su natanti coll’aiuto di mezzi meccanici” dove sbarco e imbarco di merci differiscono da tramacco: così si precisa “tramacco di merci varie nelle stive per tonn[ellata] Lire 3” e “tramacco di merci nelle stive e ristivaggio per tonn[ellata] Lire 6,3” (p. 581). Si tratta di spostamento e ricollocamento di merci nella stiva, dunque sinonimo anche di stivaggio ossia il modo di disporre le merci e l’esecuzione del carico nella stiva (Dizionario di marina medievale e moderno, s.v.).
A riprova della iniziale difficoltà di diffusione di tramacco e della non appartenenza al veneziano, è interessante citare il “Bollettino del Provveditorato al porto di Venezia” (I, 1925, p. 16) in cui si trova necessario affiancare la traduzione “mossa”, termine probabilmente locale. Tuttavia tramacco continua il suo percorso di successo dopo il primo esordio come traducente del francese transbordement ‘l’azione di trasbordare’, dal verbo transborder ‘trasferire merce o persone da una barca all’altra’ e poi anche ‘da un treno o da un veicolo all’altro’. Eppure in italiano abbiamo trasbordare, prestito dal francese come altri termini del mondo marinaro, da cui deriva trasbordo; il verbo ha lo stesso significato del francese e poi si estende a ‘spostare oggetti o merci in altro luogo’ (GDLI s.v.), il sostantivo equivale a transbordement e poi acquista un ulteriore significato “traghettamento, trasporto di persone per mezzo di un’imbarcazione da una località a un’altra di un tratto di mare” (GDLI s.v.). Ma era disponibile trasbordo quando fu stilato l’accordo di Fiume? E trasbordare era un prestito consolidato? I dizionari datano 1792 l’ingresso del verbo, composto da trans ‘attraverso, oltre’ e bord ‘bordo dell’imbarcazione’ (DELI, GDLI); nel 1870 lo troviamo nel dizionario di marina di Luigi Fincati con la definizione di base “far passare persone od oggetti o mercanzie da una nave ad un’altra”; Alberto Guglielmotti, nel Vocabolario marino e militare (1889) aggiunge un secondo significato, non marinaresco ma ferroviario, ‘trasportare cose o persone da un carro all’altro, da un treno all’altro’ e aggiunge che la parola, in questa seconda accezione, è, per l’appunto, “divenuta solenne e tecnica per tutte le ferrovie del mondo”. Inoltre registra per la prima volta il sostantivo trasbordo termine marinaresco, legato alla prima accezione del verbo. Già nell’Enciclopedia del negoziante (1843, vol. VI, fasc. 69, p. 1126) troviamo trasbordo, limitato ad operazioni marittime e con ampi riferimenti anche alla situazione doganale del momento, e circolava nei regolamenti doganali, tanto che già nel 1861 è presente nella Collezione celerifera delle leggi, decreti, ecc. sempre in riferimento ad operazioni portuali:
Nessuna operazione di carico, scarico e trasbordo di merci può essere fatta sulla linea doganale senza permesso della dogana e senza l’assistenza dei suoi agenti. Ogni operazione doganale debbe essere fatta nei luoghi assegnati dall'Amministrazione. Prima di compiere le operazioni di scarico o trasbordo, i capitani non possono ricevere a bordo nuove merci. (p. 2214)
Con gli anni trasbordo sempre di più riguarda anche i trasferimenti di merce nel trasporto ferroviario, come già aveva osservato Guglielmotti, ed è probabile che l’applicazione in ambiti diversi, l’estensione dalle merci ai passeggeri, l’allargamento del significato, abbia richiesto un altro termine tecnico che fosse specifico dell’operazione di spostamento di merci da un contenitore all’altro in ambito portuale. Per questo in principio si è detto che trasbordo era un sinonimo “imperfetto” di tramacco: inoltre tanto il primo si è esteso fino a diventare parola “comune”, cioè usata e compresa da chi abbia un livello medio-alto di istruzione (GRADIT), quanto il secondo sia rimasto un tecnicismo noto e usato dagli addetti ai lavori.
Se tramacco è, come abbiamo ipotizzato, assunto dal dialetto, non può essere soltanto per il motivo semantico esposto poco sopra, per l’esigenza di avere un termine preciso. Deve aver giocato un ruolo l’area geografica, il patto interfrontaliero da stipulare fra governi di lingue distanti fra loro, le abitudini locali, dato che nel croato di Dalmazia (Spalato e Brazza) si ha il prestito tramakavat ‘tirare, trascinare’ ad esempio l’ancora sul fondo (Doria) e che il collega Nikola Vuletić conferma la presenza del verbo, non in relazione all’ancora, ma per ‘spostare una cosa qualsiasi’ e, in senso figurato, ‘portare qua e là’, ‘portare un peso’, ‘fare un lavoro difficile’, ‘stancarsi’ (Vinja, 2004, III, s.v. tramakât). Inoltre il sostantivo tramak vale ‘lavoro difficile’, anche ‘lavoro che non piace’. Lo slittamento semantico, rispetto al semplice spostare, evidenzia il tratto semantico della fatica, della difficoltà che tramacar e tramaco dei dialetti hanno esportato nel croato.
Nota bibliografica:
Annalisa Nesi
16 ottobre 2023
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