Con questa scheda si risponde ad alcune domande intorno ai termini mandolino e sassofono.
Il termine mandolino, sulla cui origine ci interroga un lettore, interessato anche a conoscere le varie declinazioni inerenti allo strumento musicale, presenta una storia, potremmo dire, linguistico-musicale piuttosto intricata.
La sua forma diminutiva ne rivela la derivazione dal sostantivo mandòla ‘strumento a corde della famiglia dei liuti’, dal XVII secolo, e dal XVI nella forma mandora, proveniente dal latino tardo pandura, dal greco πανδούρα, incrociato probabilmente con mano. Ma forse mandola-mandora sono entrati in italiano attraverso i francesi mandoire e mandore, che hanno la medesima origine tardolatina e greca e sono attestati rispettivamente nel sec. XIII e nel XVI.
E, al di là dell’etimologia delle due parole, se le principali fonti lessicografiche dell’italiano definiscono il mandolino come uno strumento di minori dimensioni e maggiore acutezza rispetto alla mandola, i dizionari e le enciclopedie musicali, descrivendo la storia dei due strumenti, ne indicano un più stretto intreccio, anche terminologico.
Nato verso la fine del XVI secolo, il mandolino figura nelle fonti italiane a partire dal 1580 con il nome di mandola, e qualche decennio più tardi, dal 1634, con il diminutivo mandolino: ma si tratta del medesimo strumento, indicato con l’uno o l’altro nome fino al XVIII secolo inoltrato.
Due sono i tipi principali di mandolino: il mandolino milanese, più antico, e il mandolino napoletano, più comune e diffuso.
Il mandolino milanese, che risale nella sua forma originaria appunto alla fine del sec. XVI, e che venne nel XIX secolo modificato, è derivato dalla mandola: è dotato di sei corde, prima di budello successivamente di acciaio, accordate solitamente come quelle della chitarra e pizzicate con le dita o con una penna (ma dall’Ottocento, con le corde di acciaio ad alta tensione, si usò il plettro).
Il mandolino napoletano, sviluppatosi a Napoli verso la metà del XVIII secolo, è dotato di quattro corde doppie, accordate a quinte come quelle del violino, che vengono suonate con il plettro, utile per ottenere il tremolo, abbellimento molto caratteristico di questo strumento.
Molto meno note e diffuse alcune varianti regionali del mandolino napoletano, come il m. romano, il m. siciliano, il m. padovano e il m. senese, che si differenziano tra loro per l’accordatura e per alcuni particolari costruttivi.
La storia del mandolino lo vede come strumento popolare, in Italia e fuori d’Italia, ma anche della musica colta, in epoca barocca in modo particolare, e poi nell’opera nel XVIII e XIX secolo (nel Don Giovanni di Mozart, nel Barbiere di Siviglia di Rossini, e, a fine secolo, nell’Otello di Verdi, nel cui libretto Boito richiama lo strumento con il nome di mandòla, in rima con vola: “Mentre all’aura vola/ lieta la canzon, / l’agile mandòla/ ne accompagna il suon”) e strumentale nel XX secolo (Mahler, Schönberg, Webern, Hindemith). Interessante è stata la sua popolarità in Italia dopo l’Unificazione, aiutata anche dalla passione della Regina Margherita. Ma anche in Europa e negli Stati Uniti, il mandolino ebbe all’inizio del XX secolo una grande diffusione anche amatoriale. Se Napoli vanta la palma della presenza e diffusione di questo strumento tipicamente italiano, ancora oggi molto diffuso, il mandolino ha avuto una grande vitalità anche in altre città.
Dopo questi brevi cenni storici sullo strumento, torniamo alle parole, ricordando en passant che di mandolino è attestata nei secoli passati la variante popolare mandorlino: forse a indicare la somiglianza fisica con il frutto della mandorla? Così ipotizza il filologo e lessicografo Giuseppe Meini nel Dizionario della lingua italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini (Tommaseo-Bellini), portando l’attestazione di Lodovico Adimari (seconda metà del ’600: “Corron d’intorno i mandorlini a corbe, Van le vïole e i contrabbassi a flotta”).
Ma lasciamo questa domanda con il necessario punto interrogativo e passiamo a notare qualche altra curiosità lessicale. Una riguarda un significato esteso, metaforico della parola mandolino, non molto diffuso in verità (se non forse a Roma), come ‘sedere, deretano (in particolare di donna giovane e avvenente)’ (GDLI), documentato per esempio in Gadda: “Erano passati li tempi belli…che pe un pizzico ar mandolino d’una serva a Piazza Vittorio, c’era un brodo longo de mezza paggina” (Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, 1946-1947). Un altro caso lessicale legato alla famiglia di mandolino è quello di mandolinista, che all’inizio della prima guerra mondiale veniva dagli austriaci riferito come ingiuria ai soldati italiani poco inclini a combattere. Lo documenta il Dizionario moderno di Alfredo Panzini nella sua terza edizione (1918): “Mandolinisti: quasi suonatori di mandolini, e non guerrieri: voce di spregio usata dagli austriaci contro i nostri soldati, al principio della Guerra, perché poi fu mutata opinione. Certo è che l’italiano non è stato, come il tedesco, ubbriacato dalla guerra: l’italiano si batte con furore, ma nel tempo stesso aborrisce la guerra perché ha il senso religioso delle cose eterne”. Un’espressione legata a un contesto storico specifico e che si lega evidentemente alla vitalità del mandolino tra fine XIX e inizio XX secolo, come abbiamo visto.
Un caso ancora più curioso, dell’italiano di oggi, è quello della parola mandolina a indicare un attrezzo da cucina. Ma prima di chiarire questo caso, che ci fa uscire dall’ambito musicale per entrare in quello della cucina, è opportuno osservare che mandolino ‘strumento musicale’ è un italianismo passato al francese mandoline e all’inglese mandolin (sull’inglese ha agito anche la mediazione francese: DIFIT, Dizionario di italianismi in francese, inglese e tedesco); mandola, invece, è passato in forma invariata alla lingua inglese e alla tedesca.
Torniamo ora all’attrezzo di cucina mandolina “utensile consistente in un supporto genericamente di metallo o plastica provvisto di una lama regolabile e talora di grattugie per affettare più o meno sottilmente verdure, patate ecc.” (Zingarelli 2024), documentato dal 1999 e registrato solo da pochi dizionari (Devoto-Oli 2019, Zingarelli 2024). La lessicografa Licia Corbolante, nel suo blog Terminologia etc., ritiene probabile per mandolina, più che una derivazione da mandolino, un calco dal francese mandoline o dall’inglese mandoline (slicer), riconducibile al francese e allotropo di mandolin ‘strumento musicale’, che abbiamo appena citato sopra come italianismo musicale. L’attrezzo mandoline in inglese è documentato prima che nell’italiano. Un curioso intreccio tra musica e cucina, tra prestiti in andata e prestiti di ritorno.
Se mandolino fa parte dell’enorme bagaglio di voci musicali che la nostra lingua, espressione di una cultura e un’attività musicale di straordinario dinamismo, ha prestato alle altre lingue europee nei secoli dal Seicento all’Ottocento, sassofono o saxofono, a cui passiamo rispondendo a due domande di lettori sulla esatta grafia della parola, appartiene invece al meno nutrito contingente di termini che la musica italiana ha attinto da altre lingue.
Sassofono “strumento a fiato, generalmente in ottone, composto da un tubo conico a un’ancia semplice che termina con un becco; diffuso a partire dalla metà dell’Ottocento, ha trovato larghissimo impiego nel jazz e nella musica leggera” (Sabatini-Coletti) è la forma adattata all’italiano del francese saxophone, coniato dal nome del musicista belga Adolphe Saxe (1814-1894). La voce francese è documentata dal 1843, il francesismo in italiano dal 1895. I nuovi generi di musica nati verso la fine dell’Ottocento hanno portato una terminologia nuova: il jazz in particolare, ha comportato la diffusione di strumenti di tipo nuovo, come quelli elettrici ed elettronici, o già esistenti ma destinati a un grande sviluppo, come quelli a percussione. Le nuove voci, come il genere di musica a cui appartengono, sono in massima parte anglo-americane e indicano nuovi strumenti, nuovi ritmi nel jazz, nel rock, nel pop, come band, blues, boogie-woogie, gospel song, reggae, swing, oppure provengono dal francese, come il nostro sassofono/saxofono. Si introducono anche nomi per nuovi referenti tecnico-acustici, come decibel, pick-up, playback, sound, transistor; ma anche, attraverso altre lingue, voci relative a ritmi e strumenti centro- e sudamericani, come maraca, rumba, o l’africana marimba.
Per tornare a sassofono/saxofono e alla domanda dei lettori, la variante adattata all’italiano è più comune nell’uso e preferita dai lessicografi, che la registrano come lemma d’entrata accostandogli (non sempre) la variante saxofono. Molto comune nell’uso è l’abbreviazione novecentesca (1970) sax, che potrebbe rafforzare la variante non adattata della parola intera.
Ilaria Bonomi
13 settembre 2024
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