Di norma

Alcuni lettori ci chiedono come debba interpretarsi la locuzione di norma usata in testi giuridici: si deve intendere “solitamente, tranne eventuali eccezioni” o “tassativamente, senza eccezioni”?

Risposta

L’espressione di norma, ove inserita in un testo legislativo (o più genericamente normativo), risponde all’esigenza di “ammorbidire” la perentorietà della prescrizione, al fine di rendere l’enunciato aperto alla possibilità che quanto in esso stabilito possa essere disatteso (o subire deroghe, eccezioni, ecc.) in situazioni particolari che il legislatore non è in grado di (o comunque non intende) prevedere.

Dire, ad esempio: “per l’esercizio del diritto di voto è necessario il possesso della cittadinanza italiana” oppure “per l’esercizio del diritto di voto, di norma, è necessario il possesso della cittadinanza italiana” significa per l’appunto passare dalla previsione di una condizione assoluta per l’esercizio del diritto di elettorato attivo a quella di un requisito che, pur se generalmente richiesto, può talora venir meno (o essere sostituito da altro).

In questo senso l’espressione non parrebbe differenziarsi nel significato e nella funzione dal sintagma di regola che pure si utilizza nel linguaggio comune. Vocabolario giuridico e vocabolario comune sembrerebbero nella specie sostanzialmente speculari.

È opportuno tuttavia fare qualche precisazione a riguardo.

Bisogna sommariamente ricordare che quello giuridico-normativo non è linguaggio descrittivo, ma prescrittivo, che pone, per lo più, regole di condotta in grado di imporsi ai consociati. È quindi espressivo di un “dover essere” cui bisogna conformarsi. In questo senso, il comando giuridico si palesa come coercibile.

Se così è, il ricorso in un testo normativo alla locuzione in esame parrebbe una sorta di contraddizione logica e funzionale. Il comando giuridico di fare o di non fare alcunché sembrerebbe, almeno in parte, spogliato della sua tipica capacità coattiva, perché reso in certo qual senso permeabile all’eventualità di un fare o non fare diverso da quello prescritto. Non solo, questa spoliazione appare rincarata dalla genericità della formula utilizzata che non definisce in alcun modo in quali casi il comando giuridico potrà subire deroghe o eccezioni.

Sennonché, l’uso della formula “di norma” non comporta – a ben vedere – deprivare l’enunciato di capacità prescrittiva. Da un lato, infatti, essa conferma che quell’enunciato resta la regola, ciò che deve valere nella generalità dei casi; mentre, dall’altro, seppur consente che quella regola possa non valere in alcuni casi, nondimeno richiede che il sottrarsi alla regola abbia a supporto una valida giustificazione. Del resto, si sa che, secondo logica, non la regola, ma l’eccezione deve essere sempre motivata.

Questo, peraltro, nell’ordinamento giuridico sta a significare che quella giustificazione potrà essere sottoposta a sindacato a opera del giudice competente, chiamato a vagliarne la consistenza e l’adeguatezza e, di conseguenza, accertare la liceità del comportamento non in linea.

Se ne ricava che, giusto quanto appena osservato, l’espressione di norma possa essere considerata equivalente a “salvo casi particolari”.

Le ragioni per cui vi si ricorre possono essere diverse.

Possiamo provare a fare qualche ipotesi.

Invero, una simile formula può essere utile per evitare che si determinino automatismi legislativi anomali, che si hanno in presenza di prescrizioni normative eccessivamente rigide che, prevedendo meccanicisticamente la produzione di certi effetti al verificarsi di determinati presupposti, possono risultare irragionevoli perché inidonee a far fronte a determinate fattispecie concrete. Esempio emblematico la disciplina un tempo vigente in tema di divario massimo di età fra adottanti e adottato. L’art. 6, secondo comma, l. n. 183 del 1984 – che allora prevedeva una distanza non superiore a quaranta anni di età – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di rigidità dalla Corte costituzionale (sentenza n. 283 del 1999), in quanto non consentiva  al giudice di disporre l’adozione nell’eventualità in cui l’età dei coniugi adottanti superasse di oltre quaranta anni l’età dell’adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, laddove dalla mancata adozione derivasse un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore (nella vicenda in questione il minore aveva già intrattenuto rapporti con la famiglia adottante).

Ebbene, in una simile eventualità, la presenza della locuzione di norma nella disposizione legislativa, offrendo il richiesto margine di flessibilità idoneo a garantire un certo spazio alla valutazione del giudice, avrebbe salvato la stessa dalla dichiarazione di incostituzionalità pronunciata dal nostro giudice delle leggi.

Cerchiamo di fornire una rapida esemplificazione.

L’espressione può essere utilizzata in prescrizioni in cui, pur volendo uniformare i comportamenti dei pubblici poteri individuando soglie o standard comuni, non si intende altresì escludere la possibilità di assumere determinazioni diverse in base a specifici apprezzamenti. Immaginiamo che si disponga che, “in ipotesi di patologie di un certo tipo, la presenza di un numero di casi inferiori a dieci nell’ambito del medesimo territorio, di norma non comporta l’adozione di misure di contenimento”. In tal modo, si vuole assicurare la possibilità che, in base a valutazioni medico-sanitarie, di contesto territoriale, nonché relative alle particolarità della concreta fattispecie, vengano adottate le misure in questione anche laddove vi sia un numero di casi inferiore a dieci.

A volte, poi, vi si ricorre per introdurre elementi di flessibilità nelle strutture organizzative per evitare effetti disfunzionali, come, ad esempio, quando si prevede che “di norma è compito di un certo soggetto svolgere una determinata attività”. In tal caso, la disposizione che attribuisce la competenza a quel soggetto apre all’eventualità che possano essere adottate soluzioni organizzative ulteriori, idonee a far fronte all’eventuale impossibilità di adempiere da parte del primo chiamato.

Talora, infine, la formula in parola può servire ad attenuare il rigore della imposizione di obblighi il cui adempimento può richiedere un’attuazione graduale nel tempo. Si pensi, che so, alla previsione del dovere di eliminazione delle barriere architettoniche nelle sedi di istituzione pubbliche. Ebbene, in questo caso l’uso del di norma finisce per assicurare che, per il tempo necessario alla realizzazione dell’operazione di rimozione, l’ente pubblico non sia certamente passibile di esser chiamato a rispondere per inadempienza.

È evidente che in questo caso l’espressione possa prestarsi ad abusi dinanzi ai quali, tuttavia, bisogna ribadire quanto sopra osservato circa la giustificazione di cui deve essere provvisto il comportamento che si sottrae alla previsione generale.

Paolo Carnevale

8 luglio 2024


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