Donne che odiano gli uomini: misandre o misandriche?

Laura A. da Napoli si chiede e ci chiede se esista l'opposto della parola misoginia, se ci sia, cioè, un modo per definire l'avversione per il genere maschile, ben sapendo che misantropia si riferisce all'odio per il genere umano e alla società in generale. Analogamente Sara M. da Roma e Daniela C. da Taranto domandano quale sia il termine per indicare "una persona che odia le persone di sesso maschile", visto che abbiamo un termine specifico per designare sia chi prova tale sentimento verso le donne (misogino), sia chi odia sia gli uomini che le donne (misantropo).

Risposta

 

Donne che odiano gli uomini: misandre o misandriche?

 

Alla lettrice di Napoli rispondiamo subito che, per indicare l’avversione morbosa per le persone di sesso maschile, già esiste, almeno da quattro decenni, il termine misandrìa, come testimoniano le edizioni relativamente recenti di alcuni vocabolari di lingua (VOLIT, il cui volume relativo porta la data 1989, ZINGARELLI dall'edizione 1997, GARZANTI 2003, GRADIT 2007Vocabolario Treccani online; ma non Devoto-Oli 2014 e Sabatini-Coletti 2008) e GDLI (il volume in questione è datato 1978). È voce dotta, usata soprattutto nell'ambito della psicologia, risalente alla seconda metà del secolo scorso:  al 1957 per ZINGARELLI 2016, al 1976 per GRADIT (per quanto, stando a Google libri, la prima attestazione risalirebbe al 1938 nel "Bollettino di filologia classica", voll. 45-49, in riferimento alle Danaidi, come anche nel volume dell'anno successivo della stessa rivista). Non sono attestati però l'aggettivo e il sostantivo per indicare 'relativo alla misandria, caratterizzato da misandria' e 'che, chi prova repulsione o una profonda avversione nei confronti delle persone di sesso maschile', corrispondenti a misògino, che riveste entrambe le funzioni grammaticali, e a misantropico e misantropo.

È interessante notare che misogino, secondo l'Etimologico, risale al XVIII secolo e misoginia ne è derivato nel secolo successivo (anche se il DELI lo dà già attestato in A Worlde of Wordes, il dizionario anglo-italiano di John Florio del 1598) e che misantropo risale al XVI secolo, misantropico al XVIII e misantropia agli inizi dell'Ottocento (per quanto sia testimoniato un suo uso seicentesco nelle Voci italiane d'autori approvati dalla Crusca nel Vocabolario d'essa non registrate... di Gian Pietro Bergantini, come ricordato nel DELI). Quindi, a parte usi sporadici precedenti, le forme misantropo e misogino, indicanti l'individuo che ha un atteggiamento di avversione nei confronti dei suoi simili o delle donne in particolare, precedono nell'uso il sostantivo astratto.

Nel caso di misandria, molto più tardo – di almeno un secolo stando ai dizionari – rispetto a misoginia e misantropia, il rapporto parrebbe rovesciato. Ciò si verifica anche in altre lingue: in inglese misandrist (secondo l'OED attestato per la prima volta nel 1952) è successivo di quasi un secolo a misandry, la cui prima testimonianza è del 1885. In spagnolo la prima attestazione di misandria sul relativo corpus di Google libros risale al 1957 ("Misandria y misogynia no son caminos hacia Dios..." nella rivista argentina "Criterio") e dieci anni dopo è registrata nel Diccionario bachiller: con los vocablos y disposiciones más recientes de la Academia Española, mentre misándrico, che riveste sia il ruolo dell'aggettivo sia quello di sostantivo, appare nel 1981. Diversamente in francese (cfr. Trésor de la Langue Française) misandre risalirebbe al 1970 e misandrie al 1974; sembrerebbe quindi trattarsi di forme tarde e pressoché contemporanee tra di loro. Eppure, almeno per il francese, ci sarebbe un "antenato" particolare in forma di antroponimo che risalirebbe al XVII secolo: Lucilla Spetia nel suo Riccardo Cuor di Leone tra oc e oïl (BdT 420,2) ("Cultura neolatina", vol. 56, 1996, pp. 101-155: p. 147 n. 125), descrivendo i Fabliaux attribuiti al re d'Inghilterra: "Sono racconti di carattere seicentesco, in cui i personaggi che vivono situazioni tipiche delle favole (posseggono bacchette o vestiti magici), sono entità simboliche (si chiamano infatti Prudhomme, Longuevie, Misandre, ecc.)".

Anche in italiano esiste un antico antroponimo maschile: nel Mortorio di Christo, “Tragedia Spirituale” del padre francescano Bonaventura (al secolo Cataldo) Morone, nato a Taranto, edita per la prima volta nel 1611 e più volte ristampata, è presente tra gli accusatori di Cristo un rabbino di nome Misandro (il personaggio sembra tuttora in uso nel teatro sacro di area pugliese). Per il femminile l’antecedente onomastico è più recente e si tratta di un fitonimo: nel Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze, arti e mestieri che traggono origine dal greco compilato da Bonavilla Aquilino coll'assistenza del professore di lingua greca abate d. Marco Aurelio Marchi (tomo IV, Milano, Tipografia Giacomo Pirola, 1821) troviamo il lemma misandra (“da μισός, misos, odio, e da ανήρ, aner, marito. Nome metaforico da Commerson dato ad una specie di pianta, i di cui individui frequentemente trovò femminini, ed un solo maschio”), che successivamente appare come “Genere di piante della dioecia diandria di Jussieu” anche nel Dizionario Technico-Etimologico-Filologico pubblicato dall’abate Marco Aurelio Marchi per gli stessi tipi nel 1828. Il fitonimo è registrato anche nel Panlessico italiano, ossia Dizionario universale della lingua italiana diretto da Marco Bognolo (Venezia, Stabilimento enciclopedico di Girolamo Tasso, 1839).

Sondando il corpus di Google libri si trovano scarse attestazioni: nel XIX secolo quelle attendibili, poche decine,  sembrano tutte riferibili, per il maschile, al nome del personaggio della passione di Cristo – riferimento che rimane prevalente anche nel secolo successivo – e, per il femminile, alla denominazione della pianta. Il XX secolo vede poche attestazioni per misandra concentrate soprattutto nell'ambito degli studi classici, benché la prima testimonianza sembri usata in riferimento alle donne contemporanee: "Quando vogliono al massimo grado magnificare una donna veramente superiore, anche codeste misandre la chiamano una donna... virile!" ("Ars et labor: musica e musicisti", vol. 66, anno 1911). Sotto il testo appare la firma Americo Scarlatti, ovvero Carlo Mascaretti, erudito giornalista e bibliotecario della Biblioteca Nazionale di Roma. Nel 1941 l'aggettivo appare in Eschilo, di Raffaele Cantarella, riferito alle Danaidi ("Il poeta si trovava quindi di fronte al problema di conciliare due leggende così contradittorie, di fare cioè, delle Danaidi misandre e di Ipermestra in particolare, le capostipiti della dinastia regale argiva", Vol. 1, p. 146). Ancora alle figlie di Danao era riferito nel secondo volume della Letteratura greca di Filippo Maria Pontani del 1955. Ancora in funzione aggettivale appare nel 1963 nell'analisi di un testo letterario contemporaneo, Ehen in Philippsburg del 1957 (traduzione italiana del 1962): "orbene in codesto romanzo, di tono un po' scandalistico-strapaesano alla Grace Metalious, si riprende una problematica tipicamente misandra [...] e si descrivono gli uomini come mostri di sensualità e di cinismo, che conducono le loro mogli o amanti al suicidio o alla follia" (Aldo Rossi, La colpa nell'Universo Autodifesa della giovane letteratura tedesca parlando del romanzo, "Paragone", vol. 14, aprile 1963, pp.21-44: p. 36). Troviamo la forma sostantivata pochi anni dopo in un testo di Amalia Signorelli D'Ayala intorno a Dieci donne anticonformiste di Julienne Travers pubblicato in Italia l'anno prima: "nessuna neppure ci sembra che abbia i caratteri della femminista che si sforza di modellarsi su esempi maschili, né della misandra competitiva, esclusivamente impegnata a dimostrare la superiorità femminile" ("Rassegna italiana di sociologia", vol. 10, 1969, p. 120). Di nuovo all'età classica rimandano le successive attestazioni nel testo di Franco Ferrari dal titolo La misandria delle Danaidi pubblicato negli "Annali della Scuola normale superiore di Pisa" (Classe di lettere e filosofia, 1977, s. III, v. VII, f. 4) e in Camilla: amazzone e sacerdotessa di Diana di Giampiera Arrigoni del 1982. Ancora al mondo classico rimanda Misandra, nome del personaggio di Fuochi, traduzione datata 1984 di Feux, romanzo di Marguerite Yourcenar edito nel 1936. Il XXI secolo ha poche decine di attestazioni e molte sono in forma di antroponimo, spesso in riferimento alla Misandra della Yourcenar.

Anche l'alternativa aggettivale misandrico (in tutte le forme flesse) ha poche occorrenze nel corpus di Google libri. Le prime tre sono del XX secolo: una del 1984 riferito a Clitemnestra ("un'Amazzone misandrica di eschilea memoria") nelle pagine della "Rivista storica italiana" (vol. 96); nel 1995 troviamo il termine nell'edizione Mondadori di Schiava di mio marito, traduzione italiana di My feudal Lord (1991) di Tehmina Durrani; l'ultima occorrenza, del 1996, è in un brano in cui si cita il testo della Arrigoni già ricordato a proposito di misandra ("Giornale italiano di filologia", vol. 48).
Nel primo decennio del nostro secolo ci sono solo cinque occorrenze e dal 2010 a oggi siamo a venti attestazioni. Troviamo l'aggettivo in testi di interesse letterario, ma anche in opere sul rapporto conflittuale tra uomini e donne, di cui citiamo qualche titolo a mo' di esempio: Maschio addio (2010), di Pasquale Romeo; Amori distruttivi e vampirizzanti. Come difendersi e come uscirne (2012), di Pier Pietro Brunelli; Viaggio verso Utopia: “L’impatto con il femminismo e il naufragio nella misandria” (2013), di Fabrizio Napoleoni;  Il re di picche e la regina di cuori (2014), di Angelica Cremascoli; I pensieri di un giovane maschilista (2015), di Jan Quarius.

Quale forma scegliere tra misandro e misandrico? Due grandi quotidiani italiani, "il Corriere della Sera" e "la Repubblica", hanno trattato la questione in due “pezzi unici” (i testi rappresentano a oggi le sole testimonianze nei due rispettivi archivi in rete): il 17 settembre 2004, nella rubrica Lo Scioglilingua da lui allora condotta sul "Corriere", Giorgio De Rienzo così rispondeva alla domanda: «Non è attestato nei dizionari l'aggettivo del raro sostantivo "misandria" che significa violenta avversione per il sesso maschile. Forse non è mai stato usato e perciò non registrato. Tuttavia se dovessi scegliere tra i due [...] opterei (in sintonia con "misantropia") per "misandrica"».
Dodici anni prima, il 14 febbraio del 1992 sulla “Repubblica” veniva pubblicata questa intervista a Tullio De Mauro:

 

Professor Tullio De Mauro, lei che fa il linguista come spiega che le lingue di tutto il mondo, fino ad oggi, non hanno previsto che le donne possano odiare gli uomini? Non esiste infatti il corrispondente di misoginia, termine largamente in uso per un sentimento ammesso e coltivato, l'odio degli uomini per le donne... De Mauro va a sfogliare i suoi moltissimi dizionari: "È vero. Nel dizionario inglese si trova la parola misandry, 'misandria', ma non si cita altro che Euripide, che, evidentemente, una volta o due l'ha usata. 'Misandria' non esiste nei dizionari italiani, mentre per la parola 'misoginia' c'è un'intera colonna di dizionario, con riferimenti, praticamente, a tutta la letteratura italiana, da Savinio a Gozzano, da De Robertis a Carducci, da Panzini a D'Annunzio". Conclusioni, professore? "È evidente che non c'è stato interesse a qualificare un sentimento di odio delle donne nei confronti degli uomini: delle donne, interessavano solo i sentimenti positivi nei confronti di padri, figli, mariti, amanti, fratelli. Tutto quello che non rientrava in questa previsione, costituiva 'devianza': mentre l'antipatia degli uomini per le donne, la 'misoginia', è largamente accettata. C'è, culturalmente, una liceità ad essere misogini. Non altrettanto ad essere 'misandre': ma chi sa, nel prossimo futuro, non è detto che non ci capiterà di leggere un romanzo intitolato appunto La misandra. Anzi, lo suggerisco: è un bel titolo..." (Vi odio cari maschi, senza firma).

 

Alle conclusioni di De Mauro aggiungo il suggerimento di usare, come nel caso di misantropia, entrambe le forme aggettivali: misandrico (che mostra una diffusione in rete sensibilmente superiore), per l’inanimato, e misandro, anche sostantivato, per le persone.

 

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca

 

24 gennaio 2017


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