Quale forma è da preferire al singolare: eclisse o eclissi ? Oppure ecclissi? E per il plurale? Il genere è maschile o femminile?
La parola di cui ci stiamo occupando suscita dubbi in chi deve adoperarla non da oggi. Se consultiamo il documentatissimo Tesoro della lingua italiana delle origini (il grande dizionario online dell’Opera del Vocabolario Italiano che raccoglie e descrive le parole presenti in testi diversi per destinazione, contenuto, livello di lingua e di stile scritti in area italiana fra il primo Duecento e il terzo quarto del Trecento), constatiamo che il termine è accolto in una gran varietà di forme, diverse nel suono e soprattutto nella grafia (ecclipsi, ecclissi, eclipsi, eclisse, eclissi, eclypsi, ecrissi), nell’uscita (in -i e in -e) e perfino nel genere grammaticale. Tolti di mezzo i casi in cui è impossibile stabilire se chi scrive consideri la parola maschile o femminile, quelli residui documentano una forte oscillazione: valga, per tutti, l’esempio di Giovanni Boccaccio, che nelle sue Rime (1375) dimostra di considerare la parola maschile, mentre nel Filocolo (1336-1338) e nelle Esposizioni sopra la Commedia di Dante (1373-74) la accoglie come femminile.
Tanta mobilità nella pronuncia, nella scrittura e nella forma dipende dal fatto che eclissi (o eclisse) ha l’identità tipica di una parola rara e difficile: è un termine scientifico (riguarda l’astronomia) di trafila dotta, passato dal latino all’italiano attraverso i libri. Il suo ascendente è il latino eclīpsis, che a sua volta è l’adattamento del greco ékleipsis, nome derivato dal verbo ekléipein ‘lasciare’, ‘abbandonare’. La doppia uscita italiana eclisse / eclissi continua quella dell’accusativo latino eclīpse(m) / eclīpsi(n).
Nel corso dei secoli l’antica oscillazione si è progressivamente ridotta a un numero minore di forme e di alternative, senza però esaurirsi, come dimostrano gli esempi che seguono, tratti da libri di recente pubblicazione: “In realtà, negli ultimi anni dell’XI secolo non sembra che alcuna eclisse totale di sole sia stata visibile dalla Toscana. Si segnala solo un’eclisse anulare, che nel 1084 poté essere osservata dalle regioni meridionali della penisola” (Franco Cardini, L’avventura di un povero crociato, 1997); “Che cometa era? O era un’eclisse di luna?” (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006); “Dopo aver toccato lo zenit, le teorie e la sensazione del sublime conoscono un’eclisse nel momento in cui pare capovolgersi la bilancia delle forze” (Remo Bodei, Paesaggi sublimi: gli uomini davanti alla natura selvaggia, 2008); “le sagome scure degli alberi parevano i raggi minacciosi di un’eclisse” (Paolo Sciortino, L’ultima battaglia dei pirati, 2014); “Un effetto affascinante è il verificarsi delle eclissi totali e parziali di Sole schematizzate in figura: nella zona d'ombra che si crea sulla Terra si ha eclissi totale, nella zona di penombra si ha eclissi parziale” (Paolo Corazzon, Stefano Bertocchi, Fisica 2, 1999); “Ad esempio, all’eclissi di luna dell’11 agosto del primo anno segue quella dell’11°, ma all’eclissi del primo febbraio del primo anno non segue quella del 13 febbraio dell’11°” (Leonardo Magini, Astronomia etrusco-romana, 2003); “I giornali stanno facendo tutto un casino per preparare l'evento, l'eclissi solare” (Rossana Campo, Sono pazza di te, 2010); “Nel 1869 ci fu un’altra eclissi totale di sole, questa volta visibile nel Nord America” (Massimo Capaccioli, Silva Galamo, Arminio Nobile e la misura del cielo: ovvero Le disavventure di un astronomo, 2012).
Sciogliamo i dubbi dei lettori dando le indicazioni che seguono: la forma più ricorrente della parola al singolare è eclissi, di genere femminile; eclisse ne è la variante meno comune (dunque chi la usa non fa un errore). Al plurale, invece, l’unica forma corretta è le eclissi.
Giuseppe Patota
Piazza delle lingue: Lingua e saperi
22 giugno 2015
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