Acusmatico: un doppio tecnicismo (e qualcosa in più)

Un nostro lettore ci chiede notizie a proposito dell’aggettivo acusmatico, di cui “è nota l’origine greco-pitagorica”, oggi “generalmente riferito e riferibile alla pratica della musica sperimentale-acusmatica e al suono di cui è nascosta la sorgente”, e in particolare ci domanda se se ne possano rintracciare usi in italiano precedenti alla Seconda guerra mondiale.

Risposta

Probabilmente molti hanno incontrato l’aggettivo acusmatico in un manuale di filosofia. Sembra, così spiegano gli storici, che nelle prime scuole pitagoriche gli studenti fossero divisi in gruppi (oggi diremmo “classi”) sulla base di un rigido programma di iniziazione scientifica ed etico-religiosa. Acusmatici erano chiamati quelli che potevano solo ascoltare – senza commentare – le teorie di Pitagora, il quale, si dice, facesse loro lezione dietro lo schermo di una tenda. Altri discepoli, quelli che avevano superato i primi anni di tirocinio silenzioso, erano chiamati matematici: a loro era consentito accedere alla conoscenza delle questioni teoriche specialistiche, alla loro discussione e a un rapporto più diretto con il maestro (cfr. Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. I, L’antichità e il medioevo, Milano, Garzanti, 1970, p. 40, o anche la voce pitagorismo dell’Enciclopedia Treccani online).

I due aggettivi acusmatico e matematico (usati spesso in funzione nominale per identificare i due gruppi di discepoli) sono prestiti dal greco antico: il primo dall’aggettivo akousmatikós ‘destinato, disposto all’ascolto’, formato sulla base del sostantivo ákousma, che indica letteralmente ‘ciò che si ode’ (un suono, una voce, un racconto, una musica), a sua volta derivato del verbo akoúo ‘odo, ascolto’; il secondo da mathematikós ‘studioso, propenso a imparare’, da máthema ‘studio, scienza, apprendimento’, e dal verbo mantháno ‘imparo’ (ma della storia di matematico non ci occupiamo qui).

I dizionari e le fonti testimoniano un impiego molto circoscritto di akousmatikós: lo usano sicuramente, nel III secolo dell’era volgare, Clemente Alessandrino negli Stromata (V, 9.59) e poco più tardi Porfirio e Giamblico nelle proprie Vite di Pitagora (rispettivamente nel paragrafo 36 e nei paragrafi 30, 81, 87, 88, 149).

Assente nei vocabolari di latino classico, acusmaticus riaffiora nel lessico scientifico del latino moderno: lo troviamo, per esempio, ancora usato per indicare gli studenti pitagorici, nelle traduzioni latine delle Vite di Giamblico e Porfirio (la prima è quella cinquecentesca di Nicola Scutelli (Pythagorae Vita ex Iamblico collecta per Nicolaum Scutelleum, Roma, Vincenzo Luchino, 1556, in cui la forma plurale Acusmatici occorre a p. 64), e anche in opere originali (citiamo, ancora, la più antica che incontriamo, che è il trattato di Francesco Patrizi Discussiones Peripateticae, Basel, Peter [Pietro] Perna, 1581, in cui Acusmatici si trova a p. 70 del tomo I, libro VI).

L’aggettivo confluisce poi nei secoli successivi nel lessico filosofico di diverse lingue europee, in forma di volta in volta adattata. In francese è acousmatique, attestato dal 1751 (cfr. TLFi). In inglese, acousmatic è un prestito dal francese documentato dal 1753, ma sono attestati anche i sostantivi più antichi (XVII secolo) Acousmatici (con l’iniziale maiuscola) e acousmaticks, formati sulla base del latino e del greco per indicare esclusivamente i discepoli pitagorici (cfr. OED). Nel tedesco troviamo akusmatiker, che, stando ai materiali raccolti in Google libri, ha attestazioni almeno dall’inizio del ’700. Lo spagnolo e il portoghese adottano acusmático, presente in un dizionario spagnolo-portoghese del 1864. A partire dalla metà dell’Ottocento, infatti, l’aggettivo compare in diversi vocabolari bilingui europei, lemmatizzato quasi esclusivamente con il suo preciso significato storico-filosofico, a conferma della sua natura di tecnicismo “internazionale” (caratteristica condivisa con molti altri prestiti classici adottati più o meno contemporaneamente in diverse lingue nel corso dell’età moderna).

In italiano se ne trovano esempi d’uso in testi di storia della filosofia e del pensiero dal XVIII secolo a oggi. Naturalmente si tratta di usi circoscritti, specialistici. La prima attestazione reperibile proviene da un trattato del 1778:

Erano convenuti tra loro i Pittagorici di alcuni simboli e segni, con i quali esprimevano, e comunicavano le idee, in guisa che potevano anche innanzi ai non iniziati, da essi detti αλλοφυλοι, discorrere senza essere né punto né poco intesi; i quali segni come narra Jamblico tali erano, che vedendoli senza intenderne gli arcani sensi, comparivano ridicoli e puerili, ma che contenevano una Filosofia profonda; i quali ai nuovi iniziati, che essi dicevano Acusmatici si davano, come una pruova del loro talento, acciò riflettendoci, ed esaminandoli si potessero poi mostrare degni di essere tra i Scolari numerati della più intima Ammissione. (Matteo Barbieri, Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli, Napoli, Vincenzo Mazzola-Vocola Impressore di Sua Maestà, 1778, pp. 46-47)

Come sa il nostro lettore, acusmatico oggi “vive” in italiano anche nella lingua della musica contemporanea, sempre in veste di tecnicismo. Qui l’aggettivo identifica un suono (quello di un concerto, per esempio) di cui non si vede la fonte di produzione. Il concetto fa il suo ingresso nella teoria musicale in Francia negli anni Cinquanta, nell’alveo delle prime riflessioni sulla nascente musique concrète, musica concreta in italiano. Con questa espressione si identificavano (e si identificano anche oggi) un genere musicale e un tipo di composizione in cui si usano suoni registrati (voci, suoni generati da strumenti, oggetti o dall’ambiente circostante, “separati” dalla loro sorgente reale dal gesto della registrazione) come elementi di partenza, per poi manipolarli in vario modo grazie all’uso di apparecchiature elettroniche: la musica concreta è oggi considerata un’esperienza che ha precorso e influenzato quella della musica elettronica.

Nel corso di una trasmissione radiofonica registrata nel 1955, lo scrittore Jerôme Peignot usa l’espressione “bruit [‘rumore, suono’] acousmatique” per descrivere l’esperienza dell’ascolto della musica concreta, e qualche anno dopo impiega di nuovo l’aggettivo per parlare del genere musicale nel saggio Da la musique concrete à l’acousmatique (“Esprit”, 280/1, 1960, pp. 111-120). Nel campo degli studi musicali, il successo della parola è ricondotto però soprattutto all’opera di Pierre Schaeffer, compositore e musicologo considerato il “padre” della musica concreta, che usa per la prima volta acousmatique nel Traité des objets musicaux (Paris, Éditions du Seuil, 1966), esito letterario di una sperimentazione già decennale. In quest’opera, Schaeffer paragona il ruolo del registratore a quello della tenda di Pitagora e spiega come entrambi abbiano la capacità di isolare l’esperienza dell’ascolto nella sua purezza (nel caso della musica rinnovando radicalmente la natura dell’esperienza e dei fenomeni sonori), chiarendo come, di fatto, la musica concreta sia una musica acusmatica.

In Italia, correndo veloce sulle vie del dibattito (e della polemica!) teorico-musicale, già agli inizi degli anni Sessanta (quindi ancora prima della pubblicazione del Traité) acusmatico compare con il suo nuovo significato tecnico in un trafiletto del “Corriere della Sera” e in un articolo all’interno della rivista mensile della Scala. Gli autori, Luigi Ronga e Paolo Fragapane, sono entrambi musicologi:

Secondo le ultime notizie, la musica concreta si sta trasformando in acusmatica; in attesa dei risultati, il fascino ed il prestigio della novità sono attualmente rappresentati dalla musica elettronica propriamente detta, che si è già autoproclamata l’equivalente esperienza dell’età atomica. (Luigi Ronga, Musiche sempre più nuove, “Corriere della Sera”, 4/8/1960, p. 3)

E lasciamoli divertire!
Lasciamo divertire con la musica concreta e con quella elettronica, con la musica acusmatica e con quella algoritmica, con la musica scomponibile e con quella da improvvisare; lasciamo divertire coi pezzi di durata imprevedibile (“un minuto come un anno”) e con quelli nei quali gli esecutori si presentano in pubblico a menar bòtte al pianoforte o ad aprire la bocca senza emettere alcuna voce… (Paolo Fragapane, Zibaldone, “La Scala. Rivista dell’opera”, gennaio 1961, 134, p. 53)

Si tratta di usi all’avanguardia e, pare, isolati: così risemantizzato, acusmatico è adoperato in modo più consistente a partire dagli anni Settanta. Google libri ci permette di apprezzarne diversi esempi, il primo dei quali in questo decennio è quello dell’Enciclopedia Einaudi, che associa l’aggettivo al nome di Shaeffer, “per il quale l’ascolto acusmatico deve farci dimenticare l’origine del suono” (Enciclopedia Einaudi, diretta da Ruggero Romano, vol. 13, Torino, Einaudi, 1977, p. 844).

Attualmente acusmatico, usato in questo senso, pur mantenendo il carattere di tecnicismo, compare anche in contesti non strettamente specialistici. Lo suggeriscono per esempio i dati forniti dal web, dove la ricerca sulle pagine italiane di Google dell’aggettivo associato alla parola musica produce circa 10.000 risultati e la stringa “musica acusmatica” ne fornisce circa 4.000, provenienti in gran parte da siti che si occupano di arte (musica e cinema), ma in modo divulgativo (cercando acusmatico in pagine che non contengono la parola musica, i risultati scendono a 1.200 circa).

Anche gli archivi online dei quotidiani, che non raccolgono testi ad alta specializzazione, testimoniano una certa notorietà della musica acusmatica (oggi generalmente ricondotta sotto il concetto-ombrello di musica elettronica), e di conseguenza una qualche diffusione dell’aggettivo: cercandolo nelle forme singolare e plurale, maschile e femminile, complessivamente l’archivio del “Corriere della Sera” fornisce 68 risultati spalmati sugli anni che vanno dal 1956 (ma con soltanto 2 casi isolati fino alla fine degli anni Novanta) al 2023, uno solo dei quali proviene da un articolo in cui non si parla di musica e spettacoli ma di filosofia; l’archivio della “Repubblica” fornisce 164 risultati negli anni dal 1993 al 2023, di cui solo 6 non riferiti a musica ma alla filosofia; quelli negli archivi storico e moderno della “Stampa”, infine, sono 30, distribuiti negli anni dal 1981 al 2023, e di questi 25 si trovano in articoli che parlano di musica e argomenti correlati (i restanti in articoli che riferiscono la parola ai pitagorici). In tutti gli archivi consultati, i risultati appaiono in crescita nel corso degli anni: di pari passo, sembra, con la crescente notorietà e capacità del genere musicale di dialogare con altre espressioni artistiche come, appunto, il cinema. Nel web italiano è reperibile anche qualche esempio d’uso del sostantivo acusmatizzazione e del verbo acusmatizzare (che tuttavia sembrano mantenere il carattere di occasionalismi), e dei poco più fortunati deacusmatizzazione e deacusmatizzare, riconducibili all’opera del critico cinematografico francese Michel Chion.

La curiosità manifestata dal nostro lettore a proposito di questa parola appare condivisibile se si considera il fatto che i vocabolari italiani contemporanei ignorano, o quasi, acusmatico in entrambi i suoi significati (quello filosofico e quello musicale): fanno eccezione soltanto il GRADIT e il Supplemento 2009 del GDLI, che recuperano la parola nel senso tecnico storico-filosofico, il primo facendola risalire al 1892 (data, abbiamo visto, anticipabile): “Nella scuola pitagorica, termine che designava i discepoli ammessi all’ascolto della dottrina, ma ancora privi del diritto di parola” (GDLI).

GRADIT e GDLI non sono i primi vocabolari italiani in assoluto ad accogliere acusmatico, che aveva figurato in diversi repertori otto- e novecenteschi prima di scomparire o quasi dai radar della lessicografia. Il primo a registrare il termine, chiaramente inteso nel significato storico-filosofico (“Così denominaronsi i Discepoli di Pitagora, perché per sette anni dovevano tacere e ascoltare il loro maestro senza mai poterlo vedere in faccia”), è un vocabolario specializzato, il Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze, arti e mestieri che traggono origine dal greco di Aquilino Bonavilla (Milano, Giacomo Pirola, 1819). Negli anni e decenni successivi, lo accolgono diversi altri dizionari enciclopedici o dedicati ai grecismi. Il Vocabolario universale della lingua italiana di Anton Enrico Mortara (Mantova, Fratelli Negretti, 1845) sembra essere il primo dizionario italiano generalista, quindi non dedicato a particolari settori del lessico, a fare della parola un lemma. Il Vocabolario universale della lingua italiana del Tramater segue l’esempio, registrando acusmatico dalla seconda edizione, che ha la cura di Mortara ed è edita a Mantova dai Fratelli Negretti (1845), come il vocabolario citato appena sopra. Ne riportiamo la definizione, riferita al senso etimologico dell’aggettivo e leggermente più ampia del solito:

Acusmatico: (Lett.) Che ode senza vedere. Tal nome fu applicato ai discepoli di Pitagora, che per cinque anni ascoltavano il loro maestro dietro una cortina, serbando un rigoroso silenzio.

La definizione è costruita in modo molto simile a quella che di lì a poco comparirà nel Nuovo Alberti. Dizionario enciclopedico italiano-francese di Francesco Alberti di Villanova (Milano, Arzione e C., 1859) e in altri dizionari bilingui stranieri, tra i quali, come abbiamo accennato in apertura, il lemma rimbalza nel corso dell’Ottocento. Il Nouveau dictionnaire portugais-français di José Ignacio Roquette (Paris, Aillaud, 1850), per esempio, aggiunge anche “udito senza essere visto (un concerto, un cantante, ecc.)” [“qui entende sans voir: entendu sans etre vu (concert, chanteur, etc.)”], riferendo l’aggettivo non solo al soggetto che intende, ma anche all’oggetto inteso, lasciando immaginare la possibilità di impiegarlo in modo più libero.

Non è forse un caso che due delle definizioni più ampie reperibili in Google libri abbiano a che fare con il francese, che è la lingua in cui la parola è stata usata per la prima volta, con successo, in senso esteso, in un ambito diverso da quello della storiografia filosofica e proprio in riferimento all’oggetto della percezione, il suono. Aggiungiamo una curiosità: in un clima di generalizzata, non solo italiana, scarsa propensione dei dizionari a tenere traccia dell’aggettivo (o della tendenza a registrarlo esclusivamente come riferito ai discepoli di Pitagora), francese, portoghese e inglese sono le lingue in cui troviamo dizionari contemporanei che lo definiscono con minor ossequio nei confronti della storiografia filosofica, accogliendo il riferimento alla sfera uditiva e anche alla musica. Il Dicionário Priberam da Língua Portuguesa definisce acusmático, tra le altre cose, anche “relativo a un suono la cui fonte non è visibile” (“Relativo a som cuja fonte não está visível”); il Dictionnaire de français Larousse spiega che acousmatique “si dice di una situazione d’ascolto nella quale, per l’uditore, la fonte del suono è invisibile” (“Se dit d'une situation d'écoute où, pour l'auditeur, la source sonore est invisible”); l’Oxford English Dictionary inserisce tra le accezioni del termine anche “detto di, designante o caratterizzato da un suono prodotto in assenza di una causa visibile […]. Udibile ma non visto” (“Of, designating, or characterized by sound produced without a visible source […]; audible but unseen”).

Lasciando da parte le altre lingue, osserviamo come anche in italiano, nei fatti, acusmatico si presti a usi non rigidamente letterali. Per completarne il contorno semantico e capirne le potenzialità, può essere utile notare che molti vocabolari italiani accolgono il sostantivo acusma, nuovamente con la marca di tecnicismo, questa volta della fisiologia e della medicina, dove con acùsma (con l’accento tonico spostato sulla penultima sillaba rispetto all’àkousma del greco antico di cui è l’adattamento e che, ricordiamo, indicava ‘ciò che si ode’) si identifica la “sensazione consistente nell’udire rumori, come fischi e ronzii, dovuta a disturbo dell’apparato uditivo periferico” (Zingarelli 2023). O meglio: si identificava, dato che oggi il termine è considerato obsoleto. Palazzi-Folena e DIR (Dizionario Italiano Ragionato, a cura di G. D’Anna, Firenze, Sintesi, 1988) lo segnalano come sinonimo del più noto acufene. Forse perché affiancato da un sinonimo più affermato, acusma non ha prodotto l’aggettivo acusmatico nel lessico della medicina (è attestato invece acufenico).

Anche nel caso di questo sostantivo, comunque, siamo in presenza di una sensazione sonora slegata da una causa fisica esterna e visibile. È la dimensione uditiva nel suo isolamento ciò che anche i significati dei nostri due acusmatico hanno in comune: isolamento che può impedire di cogliere la realtà nella sua completezza (per cui acusmatico diventa chi è escluso da una parte della conoscenza), ma che può anche valorizzare la natura del dato che viene percepito (da cui l’acusmatico musicale).

Considerato questo, diventa forse più facile immaginare usi non strettamente tecnici della nostra parola, usi di cui effettivamente troviamo esempi anche non recenti. In una puntata di Lascia o raddoppia? del 1956, per esempio, il campione Gianluigi Marianini (laureato, tra le altre cose, anche in Filosofia) poteva chiamare acusmatici i telespettatori, alludendo al loro trovarsi (come i veri acusmatici) in una condizione di limitata possibilità di comprensione. Lo sappiamo grazie alla trascrizione del “Corriere” di allora:

MIKE BON: Mi ha detto che diceva due parole, invece ha detto un poema.
MARIANINI: Questa poesia ha un carattere autarchico e comunico, o mio interlocutore esimio e coltivatore diretto di questi mostruosi fiori teleradiofonici… e comunico agli stupiti acusmatici, che non si sforzino le meningi a capirla, perché nemmeno io la comprendo. (Storia della moda: Marianini conosce i gesuiti-mandarini. Il “viveur” ha vinto così 1.280.000, “Corriere della Sera”, 19-20/10/1956, p. 6)

Anche Luigi Lombardi Vallauri, docente di Filosofia del Diritto, usa acusmatico in un saggio del 1967 per riferirsi a uno stato di conoscenza parziale (in questo caso della materia giuridica):

Ricordo ancora una volta il carattere che il diritto ha in Roma di arte esoterica […]. Gli avvocati, che vivono in mezzo al diritto, e a maggior ragione i privati ne conoscono solo la parte che potremmo chiamare, pitagoricamente, acusmatica. (Luigi Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Roma, Giuffrè, 1967, p. 67, in nota)

In un saggio del 1955, invece, troviamo acusmatico riferito a quello che l’autore chiama “eidetismo”, definendolo come la capacità di rievocare in modo particolarmente vivido sensazioni avute in passato: in particolare, sarebbe acusmatico l’eidetismo dei ciechi, per i quali l’impossibilità di vedere potenzierebbe le risorse della sfera auditiva.

È invalso l’uso del termine “eidetismo” (proprio della percezione visiva, secondo l’etimologia) anche per le percezioni uditive. Per esattezza, potrebbe dirsi “acusmatismo”, dato che acusmatico, in greco, significa : [sic] disposto, abituato ad udire. (Salvatore Gallo, Psicologia della radio e della TV, Firenze, La voce, 1955, p. 145, in nota)

L’ultima attestazione ci permette di rispondere alla domanda del nostro lettore: se anche non anteriori agli anni Quaranta, in italiano sono reperibili usi di acusmatico sicuramente precedenti rispetto al diffondersi della conoscenza della musica concreta e non direttamente riferiti ai discepoli di Pitagora.

Si possono fare altri esempi più recenti, successivi e probabilmente generati dal diffondersi della conoscenza e degli studi sulla musica acusmatica. Ne riportiamo due, entrambi relativi al cinema (nel cui linguaggio, si è visto, acusmatico è filtrato negli ultimi decenni). Il primo è in un saggio dedicato all’opera di Dario Argento, dove sono acusmatici gli assassini dei suoi film, di cui spesso lo spettatore è costretto a sentire la voce senza vedere l’aspetto fisico (Alberto Boschi, Il suono rivelatore, in Giulia Carluccio, Giacomo Manzoli, Roy Menarini (a cura di), L’eccesso della visione. Il cinema di Dario Argento, Torino, Lindau, 2003, pp. 137-146). Il secondo si trova nel blog di cinema i400calci, dove si legge acusmatico nella recensione di un horror del 2012, e precisamente nella parte dedicata alla descrizione del suo aspetto sonoro: un “visionario delirio acustico” fatto di “rumori di masticazione, di spappolamento, di fratture ossee, di carne tranciata, masticata, lappata, tritata, strizzata…”, “rumori che via via si propagano e dilagano fino a perdere un centro di riferimento reale per estendersi al di là di ogni possibile evento, fino a incarnare il rumore masticatorio originario di ogni organismo dell’universo. Un trionfo acusmatico” (Jean-Luc Merenda, Lezioni di cannibalismo: Wrong Turn 4, 10/05/2012). L’autore chiosa “Dio, erano anni che volevo usare questa parola!”: e in effetti, quando le parole ci sono, perché non usarle?

Simona Cresti

2 settembre 2024


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